“Voglio tornare a essere il ragazzo che ero prima di drogarmi. Ho sbagliato e sto pagando”. Sono le parole di Giuseppe Della Malva, detto “Grillo”, collaboratore di giustizia ed ex spacciatore della mafia garganica, che nel processo “Omnia Nostra” in corso al Tribunale di Foggia ha raccontato il suo passato criminale, il suo coinvolgimento nella gestione della droga a Vieste e il dramma personale che lo ha spinto a collaborare con la giustizia.
Il pentito, già vicino agli ambienti del clan Raduano, ha ammesso di aver spacciato per anni, distribuendo droga ai giovani del territorio, ma anche di aver vissuto nel terrore, temendo per la propria vita e per quella dei suoi figli.
Dalla droga all’omicidio Notarangelo: il pentito svela le dinamiche criminali
Della Malva ha rivelato il suo ruolo nel traffico di stupefacenti e i rapporti con il boss Marco Raduano, oggi latitante, e con il clan Notarangelo. Ha raccontato di aver chiesto aiuto quando il capoclan Angelo Notarangelo gli aveva imposto di interrompere lo spaccio. “Mi obbligarono a fermarmi, ma io volevo continuare e chiesi aiuto a Danilo (altro figlio di Della Malva, da tempo pentito, ndr), che era in carcere. Mi mandò da Francesco Scirpoli e Matteo Lombardi, che mi dissero che avrebbero sistemato la situazione”.
Ma le rivelazioni più pesanti riguardano l’omicidio di Pasquale Notarangelo, vittima di una lupara bianca. Della Malva ha ammesso la sua partecipazione al delitto, eseguendo gli ordini di Raduano. “Pasquale voleva i soldi delle estorsioni sulle barche che portavano i turisti alle Tremiti, più uno stipendio mensile. Raduano gli disse di sì, ma in realtà voleva eliminarlo. Gli diede appuntamento con la scusa di dover trasportare un T-Max e quella sera lo abbiamo ucciso”.
Le alleanze e i contrasti nel controllo del territorio di Vieste
Durante il suo interrogatorio, Della Malva ha dichiarato di essersi inizialmente rivolto a Enzo Miucci per risolvere il problema legato all’ostilità di Angelo Notarangelo, che gli impediva di svolgere le sue attività. “Miucci lo rimproverò duramente, lo fece diventare piccolo, piccolo – ha raccontato il pentito – ma alla fine non risolse nulla. Io non potevo comunque lavorare”. Nonostante l’intervento di Miucci, il potere di Notarangelo su Vieste rimase saldo, costringendo il collaboratore a cercare altre vie per proseguire i suoi affari.
Della Malva ha riferito che, su indicazione del figlio Danilo, si rivolse poi a Francesco Scirpoli, legato al gruppo Lombardi, per tentare di trovare una soluzione. “Mi mandò una lettera – ha spiegato – dicendomi di andare a parlare con Francesco a Mattinata e raccontargli la situazione. Io andai, ma neanche lui riuscì a sistemare le cose”. Successivamente, entrò in contatto diretto con Matteo Lombardi, che gli assicurò che il problema sarebbe stato risolto, ma i contrasti con Notarangelo continuarono.
Nel corso della deposizione è emerso anche il legame tra il gruppo di Marco Raduano e il traffico di droga, in cui Della Malva aveva un ruolo di rilievo. “Io gestivo la cessione di cocaina e hashish e pagavo 10.000 euro per ogni pacco. Mio fratello Matteo, tramite Giovanni Cristalli, consegnava il denaro a Quitadamo Andrea o Quitadamo Antonio“, ha raccontato il collaboratore, precisando di non aver mai avuto contatti diretti con Scirpoli per le transazioni finanziarie.
Un passaggio significativo riguarda il periodo in cui Pietro La Torre era ospite a casa della sorella di Della Malva. Il collaboratore ha riferito di averlo visto fino al giorno dell’omicidio di Girolamo Perna, ma di non aver mai notato armi nella sua abitazione. “Io uscivo di casa per pochi minuti a fare la spesa, ma posso dire con certezza che La Torre non ha partecipato all’omicidio di Perna”, ha dichiarato.
La deposizione ha inoltre chiarito le dinamiche della lite avvenuta in carcere tra Enzo Miucci e Angelo Notarangelo proprio a causa delle tensioni legate al controllo del territorio. Un episodio che, secondo il collaboratore, avrebbe contribuito ad acuire le fratture all’interno delle organizzazioni criminali attive a Vieste.
Infine, Della Malva ha raccontato il periodo di detenzione con Michele Lombardi, figlio di Matteo, specificando che fu deciso che dovessero condividere la stessa cella su indicazione del padre. “Mi arrivò un’ambasciata dalla cucina: ‘Vedi che il figlio di Lombardi deve stare con Della Malva Giuseppe’”.
Le dichiarazioni del pentito si inseriscono in un più ampio quadro di ricostruzione della mafia garganica, caratterizzata da una violenza spietata e da una gestione feroce del traffico di droga e delle estorsioni. Il processo in corso a Foggia si sta rivelando una miniera di informazioni sui retroscena della criminalità organizzata del promontorio, con i racconti di Della Malva destinati ad avere un peso significativo nelle indagini e nei futuri sviluppi giudiziari.
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