Scagionato Albanese Il presunto killer «salvato» dall’esponente della mafia garganica di Monte S.Angelo Per lui furono i manfredoniani e viestani.
L’ultimo pentito della mafia garganica, Matteo Pettinicchio del clan Li Bergolis, “scagiona” il foggiano Giuseppe Albanese, e racconta d’aver saputo che furono Mario Luciano Romito, Pasquale Ricucci (uccisi nel 2017 e 2019 proprio dai Li Bergolis) e Francesco Scirpoli a cercare di uccidere il boss della “Società foggiana” Roberto Sinesi nell’agguato del 6 settembre 2016 al rione Candelaro nel capoluogo. Un altro pentito del Promontorio, il viestano Danilo Pietro Della Malva ex alleato del clan Romito, riferisce d’aver appreso che Francesco Sinesi, figlio di Roberto, sospettava di Mario Luciano Romito per l’agguato al padre.
E’ quanto emerso nell’ultima udienza del processo a Albanese, 45 anni, foggiano detto “Prnion”, presunto componente del gruppo di fuoco del clan Moretti/Pellegrino/Lanza, sotto processo dal luglio 2023 in Tribunale a Foggia per il triplice tentato omicidio aggravato dalla mafiosità di Roberto Sinesi, della figlia Elisabetta e del nipotino di 4 anni. Agguato collegato alla guerra tra i Moretti e i Sinesi/Freancavilla che tra settembre 2015/ ottobre 2016 contò 10 sparatorie con 3 morti e 11 feriti/scampati.
Tre o quattro sicari fecero fuoco con mitra e pistola da una “Fiat 500” rossa contro la “Fiat 500” nera guidata da Elisabetta Sinesi, illesa, con a fianco il padre Roberto e dietro il bambino che fu colpito alla schiena. Roberto Sinesi benché ferito gravemente al petto scese dall’auto e rispose al fuoco mettendo in fuga i sicari.
Albanese detenuto dal novembre 2018 si dice innocente; assiste alle udienze in videoconferenza dal carcere di Parma dov’è rinchiuso al 41 bis. Al momento è stato condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Rocco Dedda ucciso a Foggia il 23 gennaio 2016 nella guerra tra clan della “Società”; a 11 anni e 6 mesi in appello per mafia e tentata estorsione in “Decimazione”; a 8 anni in primo grado per traffico di droga in “Araneo”. Pettinicchio, 40 anni di Monte Sant’Angelo, pentitosi a febbraio, ha confessato d’essere entrato nel clan Li Bergolis nel 2000 quando aveva 15 anni e d’essere stato per anni il braccio destro del compaesano Enzo Miucci al vertice del clan Li Bergolis-Miucci.
Le dichiarazioni rese alla Dda il 5 marzo sono state depositate dal pm Bruna Manganelli; su accordo con l’avv. Francesco Santangelo difensore di Albanese, sono state acquisite per cui non ci sarà bisogno di interrogarlo. “A raccontarmi in carcere come andò è stato…” (un garganico) “che portò le armi. A sparare a Sinesi fu il clan avverso al nostro, il gruppo Romito. Mario Luciano Romito guidava l’auto e aveva una pistola, e lui colpì Sinesi; a fianco c’era Ricucci, dietro Scirpoli” (imputato di mafia nel processo Omnia nostra) “con un mitra che si inceppò: avevano anche un fucile, ma non lo usarono.
A me hanno riferito che Sinesi non era armato. Certamente c’era uno di Foggia a fare da bacchetta, a fare la chiamata” (per avvertire il commando) “ma chi sia non lo so. Ricucci si lamentò che non erano riusciti a uccidere Sinesi perché c’era il bambino di cui ignoravano la presenza, e si erano fermati a sparare. Ricucci disse: ‘se l’è scappottata; ci hanno fatto la chiamata senza dirci del bambino’.
Escludo la presenza di altri soggetti. Conosco Albanese, so che faceva parte dei Moretti. So che era Albanese l’obiettivo principale dell’omicidio avvenuto un mese dopo in un bar a Foggia” (il 29 ottobre 2016 il clan Sinesi per vendicarsi uccise Roberto Tizzano e ferì Roberto Bruno, parenti di esponenti del gruppo Moretti/Lanza) “e se la cavò perché era in bagno. I Sinesi ce l’avevano con Albanese perché era del clan contrario; sospettavano poi di lui per il tentato omicidio di Roberto Sinesi anche se non è stato così”.
Danilo Pietro Della Malva, 39 anni, viestano, pentitosi nel 2021, reo confesso di 3 omicidi, ex componente del clan Raduano alleato dei Romito ora denominato gruppo Lombardo/Ricucci/La Torre, citato come teste a discarico dall’avv. Santangelo, ha deposto in videoconferenza da una località segreta.
“Ero in carcere a Foggia con Mario Luciano Romito dopo l’arresto a ottobre 2016 nel blitz Ariete per un progetto di rapina a un portavalori sul Gargano. Mario Luciano incrociò Francesco Sinesi mentre andavano a colloquio con gli avvocati. Sinesi si presentò: ‘Sono il figlio di Roberto, come mai è successa questa cosa?’” (riferito all’agguato al padre) “Mario rispose: ‘non so, sono cose vostre, a me non interessa’.
Mario me lo riferì in cella. Francesco Sinesi dubitava di Mario Luciano Romito e di Francesco Scirpoli. Quando fu scarcerato Scirpoli disse a uno del clan Sinesi: ‘diteglielo a Sinesi che noi non c’entriamo niente, noi rimaniamo a casa nostra e non andiamo a rompere….”
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