Ebrei convertiti ma anche giunti dal paese di David e Salomone per sfuggire a persecuzioni o magari a caccia di nuovi spazi per affari. Ha ormai quasi mille anni – la presenza acclarata di comunità ebraiche in Capitanata con presenze cospicue di attività e nuclei familiari a Foggia, Lucera, Manfredonia e San Severo, e poi in ordine sparso ramificazioni o migrazioni diffuse un po’ ovunque così come si evince dalle cronache dell’epoca. Fondamentale nella ramificazione di uomini e commerci si registra con i regni di Federico n (1220-1250) e di suo Aglio Manfredi (1258-1266). I due monarchi svevi diedero spazio alla presenza di studiosi ebrei: traduttori medici, alchimisti, commercianti legittimando anche i prestiti di soldi purché con tassi non superiori al 10 per cento. E se a Foggia la presenza di Ebrei viene accertata con un documento del 1690 conservato all’Archivio di Stato, quando si parla dell’esistenza di un “fondaco di donna Andriana Ebraica”, legato al mondo della pastorizia e del commercio della lana, di contro si va indietro nel tempo – per la precisione al 1294 – quando si fa riferimento a dieci ebrei convertiti al Cristianesimo.
La presenza di una comunità ebraica a San Severo è invece documentata sin dal 1141. Nel centro dell’Alto Tavoliere c’era un “rione Ebrei” ben individuato tra le vie Minuziano, Daunia, Sant’Antonio Abate e Soccorso. Gli Ebrei arrivarono a San Severo con l’imperatore Federico II e ci rimasero fino al 1541 quando vennero espulsi dall’imperatore Carlo V. Di quel periodo resta A toponimo vico Ebrei, la dizione popolare del “quarto Ebrei”. A confermare la loro presenza case basse con architettura tipica di quell’epoca, presenza di giardini con palme. E in più un edificio, a più piani, sempre in via Sant’Antonio Abate (attualmente deposito della falegnameria comunale e in fase di alienazione da parte dell’Ente) che avrebbe ospitato per molto tempo la sinagoga della comunità ebraica della città. Un percorso tuttora interessante con stradine che si intrufolano nel cuore del borgo antico di San Severo nei secoli arricchito da chiese palazzi gentili in stile barocco.
A Lucerà un nucleo di Ebrei era presente sin dalla metà del XII secolo: lo attestano le conversioni avvenute nel 1294. Due anni prima, il centro dauno venne invece individuato come rifugio da un gruppo di Giudei per sfuggire a una delle tante persecuzioni di natura religiosa mosse contro di loro.
Fatti attestati se è vero che, nel 1452, a Lucera, Raffale Zaghi di Faenza vendette a Mordekay di Viterbo la “Bibbia ebraica sefardita”; che, nel 1476, gli Ebrei ottennero con un privilegio del re l’esenzione dall’obbligo di accompagnare lo stendardo alle fiere che si fossero svolte di sabato e che, nel 1472, Yeudah b. Shelomoh da Camerino copiò, sempre a Lucera, per Rafael Kohen da Lunel, residente a Manfredonia, la cronaca “Yosippon”. E ancora: nel 1526 l’Università di Lucera si rivolse alla Sommaria (magistratura), accusando un prestatore locale di esigere tassi d’interesse troppo alti. E poi: nel 1538 un Maumecto di Lucera risultò coinvolto, con i soci Moyse Alfa di San Severo e Samuele Abravanel, in una causa concernente 50 carri di grano da gli stessi acquistati alla fiera di San Giovanni Rotondo.
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Ma a Manfredonia pare si registri la presenza più importante della cultura ebraica. Dati e riferimenti scanditi in un convegno di qualche anno fa con i riferimenti storici elencati dallo scrittore Paolo Cascavilla.. Perché alla fine del X secolo è stato accertato che un gruppo di giovani della comunità ebraica di Siponto si sarebbe recata a Pumpedita, in Asia Minore, per studiare in una delle sedi più rinomate dell’Accademia Talmudica (il “Talmud” è il testo classico dell’Ebraismo, secondo solo alla Bibbia). Alcuni di questi giovani studiosi tornarono a Siponto e, a loro volta, insegnarono a discepoli del posto, tra questi i rabbini locali Anan bar Marinus e Isaq bel Melchisedeq che si farcirono di questo sapere religioso. E proprio Isaq bel Melchisedeq nel 1160 diffuse un commento sulla “Mishnah” altro autorevole testo di riferimento per la cultura ebraica.
Antonio D’amico