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IL MESTO EPILOGO DEL CARPINO FOLK FESTIVAL: DA “SETTA SATANICA” A UN ADDOMESTICATO SILENZIO.

Non sono solo Festival. E quello di Sanremo a livel­lo nazionale ne è ancora l’esempio. Una kermesse di musica su cui dirigenti di reti, istituzioni e arti­sti si giocano carriere e reputazione. Perché citiamo San­remo? Perché nell’immaginario collettivo è l’emblema dell’evento canoro che divide, distrugge e santifica. In Pu­glia c’è quello salentino, che ormai è volato oltre i confini regionali, la Notte della Taranta e poi c’erano i Festival del­la Capitanata, eterna controversa Cenerentola, che al­meno in questo era riuscita a dire la sua, esprimendo con Apricena, Orsara, Carpino e Monte Sant’Angelo il meglio della musica tradizionale popolare. Oggi, di quel fermen­to che ha fatto la storia, di artisti e territorio, è rimasto mol­to poco. Troppo poco, diremmo. Solo Festambiente resi­ste. E diventa Festival del Territorio. Manifestazione itine­rante, quest’anno fra Monte Sant’Angelo e Vieste. “Non ci fa piacere – dice l’ideatore e organizzatore Franco Salcuni – essere rimasti l’unico Fe­stival del territorio. Dovrem­mo interrogarci e capire che cosa non ha funzionato”.

La domanda è più che lecita.

La risposta oggi la troviamo guardando poco lontano.

Carpino. Un luogo che tutti hanno conosciuto grazie al suo Festival. Quel Carpino Folk Festival fondato nel 1996 da Rocco Draicchio.Primo evento che è riuscito a trasformare un paese in un teatro, in cui ad andare in scena erano l’arte, la cultura, la musi­ca, le tradizioni popolari. Agosto era Carpino. E Carpino era il Festival. Ora questo ricordo genera solo rabbia e amarezza. In tutti. In un territorio mortificato da questa per­dita, avvelenato da guerre di principi che non fanno che impoverire e dividere. Superfluo spiegare cos’era il Car­pino Folk Festival. “All’inizio non lo volevamo – ci ha rac­contato uno dei commercianti del centro garganico- per­ché portava gente strana, che beveva e fumava. Gente che ci faceva paura. Ma con il passare degli anni è diven­tato la nostra vera ricchezza. Da ogni punto di vista. Sia per l’indotto economico che generava. Sia per l’enormità dei contenuti che passavano di qua. Era una gioia vedere quanta gente e quanta festa si faceva intorno a questo evento. Oggi, quello che è successo, è un dispiacere per tutti”.

Ma cosa è successo? Al Festival è successo quello che da queste parti succede spesso: l’esempio del fallimento di una classe politica che non riesce a vedere oltre il pro­prio perimetro. Che non coglie opportunità di crescita e di cambiamento, che non vede come risorsa, le espressioni del territorio. Che non vuole supportare, ma controllare, e dove non può, distrugge, il Carpino Folk Festival si è fer­mato per ragioni legate ufficialmente alla scelta della se­de, a divergenze con l’amministrazione comunale sulla lo­cation. Il Sindaco, quando l’associazione Carpino Folk Fe­stival decide di non andare avanti con l’evento, definì quel­le motivazioni strumentali, disse che erano invece legate a finalità politiche. Che si voleva boicottare l’amministra­zione. E dichiarò che anche chi aveva tentato di trovare una soluzione per mediare, era stato invitato ad attenersi alle decisioni prese dai vertici dell’associazione e così era andato via. Polemiche su polemiche anche per la deci­sione di tenere la conferenza stampa di presentazione della nuova associazione, il Carpino in Folk, nella sede della Federazione provinciale del Pd di Foggia.

“Una scelta – questa fu la spiegazione fornita dal sindaco Rocco Di Brina-, dipesa solo dalla difficoltà di reperire un altro luogo così velocemente, lo ho coperto personal­mente i simboli del partito. Non avrei mai coinvolto il Pd se avessi trovato un altro spazio. Mi sono fatto prestare la se­de dopo aver coperto i simboli ma il partito non c’entra nul­la”. Ma su che fondi ha contato la nuova manifestazione lo hanno visto tutti. Era il 2019 quando vennero destinati 10mila euro al Carpino in Folk, la tre giorni sostenuta da Comune e Regione che stava cercando di compensare l’as­senza del CFF e che è costa­ta oltre 88mila euro, stando al piano finanziario complessi­vo presentato al Parco. Non sono mancati i contributi ad al­tre, numerose manifestazioni estive, ma la spesa più rile­vante è legata a Gargano in Folk, fra comunicazione, stampa, grafica, spese di tra­sporto. Tutto per affidamento diretto. Ecco perché la classe politica non ricuce, ma gestisce. Distribuisce. Dove necessario, mette una pietra e affossa. Toglie l’aria. E l’aria sono i soldi. Fondi che come per magia si tolgono a uno e si distribuiscono a un altro. Nasce quindi la nuova asso­ciazione che non si chiama per ragioni legali nello stesso modo, ma ne scimmiotta nome e finalità e cerca – per il be­ne del territorio, s’intende di portare avanti oltre vent’anni di lavoro, sacrifici, passione e cultura. Ma è un favore a chi? Un contenitore per cosa? Dall’altra parte oggi, alme­no ufficialmente, il silenzio. Senza voglia di dire nulla. “Non potevano mettersi insieme e trovare il modo di fare meglio, di fare di più, qualcosa di più grande?”. No. C’è chi sostiene che “l’associazione storica era una sorta di setta satanica, difficile da penetrare, rigida e irragionevole, qua­si una casta”. E in effetti non è stato possibile parlare o ca­pire le posizioni, né con il Presidente, Pasquale Di Viestie nemmeno con l’altra anima del Carpino Folk Festival Lu­ciano Castelluccia,chiusi in un silenzio asfittico.

Ma le guerre di principi le perdono tutti. I vinti, che si sono rassegnanti, “in attesa di tempi migliori” che chissà se e quando arriveranno, i nuovi, che pur essendo scesi in campo non hanno saputo o potuto dimostrare di supera­re i confini locali di un evento che per tradizione è ormai leggenda nell’Immaginario di un territorio. E perde la co­scienza politica, che invece di unire continua a dividere. E impone la dittatura di un silenzio che fa più rumore di una condanna.

Tommi Guerrieri

l’attacco