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RANDAGISMO, FENOMENO DA COMBATTERE

Sempre alti i rischi per chi gira a piedi o in bici, fuori dal centro abitato.

 

“Bimbo muore azzannato dai cani”: era questo il titolo di un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 6 ottobre scorso. Il piccolo aveva nove anni, sul suo collo e sul suo volto tracce di morsi e graffi. Era successo nel Beneventano – Ad uccidere Mattia erano stati, probabilmente, dei cani randagi di cui non vi era più traccia. Quella triste notizia aveva riportato il mio pensiero ad un lontano ottobre del 1991, quando nel nostro paese una povera vecchia di 81 anni, sig.ra Raffaella Pennetta, era stata assalita da un branco di cani randagi nei pressi del centro abitato e deceduta fra atroci sofferenze quattro ore dopo in ospedale. La morte di quel bimbo, le sollecitazioni da più parti pervenute al nostro giornale, ma anche esperienze personali, mi hanno indotto ad occuparmi della questione e delineare un quadro d’insieme che faccia capire come stanno le cose e quali possono essere le eventuali soluzioni. Quello del randagismo è un problema antico, mai del tutto risolto; dai dati rilevati sul territorio nazionale risulta, infatti, che in molte regioni, soprattutto del Sud, il fenomeno ha raggiunto livelli drammatici ed è spesso fuori controllo. Dall’ultima rendicontazione annuale (riferita all’anno 2006) inviata dalle regioni e dalle province autonome al Ministero della Salute, risultano in Italia 6.000.000 di cani in proprietà e 590.000 cani randagi di cui solo un terzo ospitati nei canili rifugio. E’ davvero amaro constatare come da questi dati statistici emerga che proprio la nostra Regione detiene il primato del maggior numero presunto di cani randagi, ovvero 70.671 esemplari, seguita poi dalla Sicilia, la Calabria, e così via. Sappiamo come i cani abbandonati continuino ad alimentare la popolazione vagante, inoltre, molte femmine gravide partoriscono ed i cuccioli che non muoiono di stenti, diventando adulti, rappresentano un ulteriore serbatoio di randagi. Alcuni di questi cani, inoltre, sono poco socializzati con l’uomo e si trasformano in soggetti “inselvatichiti” il cui controllo è più problematico, soprattutto quando si riuniscono in branchi. I cani vaganti sul territorio, singoli o in branchi possono, rappresentare un potenziale rischio di aggressione per le persone, diventare serbatoio e veicolo di malattie infettive ed infestive, alcune delle quali trasferibili all’uomo, non essendo sottoposti ad alcun controllo sanitario; possono essere causa di incidenti stradali, di degrado ed inquinamento ambientale, sia nel contesto urbano che nelle campagne; alimentare il fenomeno del randagismo in quanto non sterilizzati e spesso notevolmente prolifici.
Il randagismo a Deliceto, si sviluppa in due direzioni; il primo, di tipo canino, è evidente ai tanti cicloamatori o semplici amanti del tracking e della natura, soprattutto all’esterno del centro abitato, il secondo riguarda i gatti, diffusissimi nel centro storico. Il fenomeno è disciplinato da norme, da sanzioni, ma abbiamo anche potuto constatare come lo Stato metta a disposizione fondi per farvi fronte. Sarebbe auspicabile che sul nostro territorio, grazie all’intervento della Comunità Montana dei Monti Dauni Meridionali ma anche dei Comuni del comprensorio, fosse realizzata una struttura-rifugio per tutti i cani e i gatti randagi ed attuata una seria profilassi su queste specie di animali; questo darebbe maggiore sicurezza ai cittadini ed eviterebbe il verificarsi di altri episodi di cronaca come quelli accennati all’inizio dell’articolo. Ci auguriamo che il nostro appello trovi accoglimento.
 
 
 
 
Le norme che disciplinano il fenomeno del randagismo
 
Il 14 agosto 1991 è stata approvata dal Parlamento la Legge n. 281 – Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo. La legge ha rappresentato un elemento di forte innovazione rispetto alla precedente normativa nazionale. Tra le innovazioni introdotte vi è il divieto (art. 2 c. 2) della soppressione dei cani vaganti accalappiati o comunque ricoverati o detenuti presso canili sanitari. La stessa legge all’art. 8 prevede l’istituzione, presso il Ministro della Sanità, di un fondo per la sua attuazione a decorrere dall’anno 1991, l’identificazione dei cani e l’istituzione dell’anagrafe canina a livello locale. Un’altra legge, la 189/2004, ha apportato modifiche al codice penale e, in particolare, ha introdotto, con il titolo IX bis, “i delitti contro il sentimento per gli animali”. In particolare, sono disciplinati i reati di uccisione e maltrattamento di animali e combattimenti tra animali. Inoltre l’art. 727 del codice penale è stato sostituito con il seguente: (Abbandono di animali) – Chiunque abbandona animali domestici è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Dopo aver illustrato per grosse linee il quadro normativo, aggiungiamo che, ogni anno, a partire dall’anno finanziario 1991, il Ministero della Salute ripartisce, con proprio decreto il fondo per la tutela del benessere e per la lotta all’abbandono degli animali da compagnia istituito con la Legge 281/1991, destinando il 33% della disponibilità in base al numero dei cani e dei gatti randagi. Per il solo 2007 la dotazione di questo fondo era di ben € 4.986.000, di cui il 40% ripartito in quote di pari entità tra le Regioni, sulla base dell’attivazione della banca regionale dell’anagrafe canina. Con un Decreto ministeriale del 12 giugno 2008, il Ministero ha stabilito che le Regioni devono individuare, nell’ambito della programmazione regionale, le priorità d’intervento, elaborando il Piano operativo di prevenzione del randagismo. Va aggiunto che, con Decreto ministeriale 13/5/2005 il Ministero della Salute, ha ripartito i fondi previsti nella Legge 376/2003 assegnando € 6.000.000 per l’anno 2004 e € 3.000.000 per l’anno 2005 per la realizzazione di rifugi per cani randagi, strutture per la sterilizzazione di cani e gatti, centri di adozione e di rieducazione comportamentale canina. 2.800.000 euro (il 33,11%) di questo budget sono finiti alle Regioni del Sud ed Isole. Nella Provincia di Foggia gli unici enti richiedenti cui è stato concesso e definito un contributo per il 2007 sono i Comuni di S. Giovanni Rotondo, Manfredonia e San Severo.
 
Michele Roselli