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S. GIOVANNI ROTONDO/ ALLA VIGILIA DELLA VEGLIA DEL 23 SETTEMBRE, VIAGGIO NELLA CITTÀ VUOTA DI S. PIO

C’era un orizzonte «del prima», scandito da un’immensa pia­nura, le montagne intorno e gli ulivi a fare da garitta al ma­re. E c’è un orizzonte «del poi», in cui la monumentale chiesa che avrebbe dovuto abbreviarne la distanza sembra aver scavato un fossato tra fede e turi­smo. Come se Renzo Piano avesse pre­visto la fragilità dei molluschi, la cadu­cità di ima religione troppo fragile per rimanere estranea alle tentazioni, e avesse cercato di proteggere l’eternità di San Pio sotto una conchiglia da venti­mila posti: una chiesa tanto ardita quanto inutile, che rivolgendosi alle montagne e al mare avrebbe dovuto at­trarre verso sé la pace che evocano gli spazi siderali. E invece il guscio ha retto a tutto, tranne che alla vanità degli uo­mini.

Avrebbe dovuto diventare una senti­nella, questo «stadio cattolico» avrebbe dovuto dominare l’orizzonte e offrire una nuova (immensa) casa ai fedeli del frate, almeno negli auspici dell’archistar genovese. Perché subito dopo l’in­sediamento del cantiere, alberghi, bed&breakfast, costruzioni abusive e no, chioschi addetti alle vendite di og­getti religiosi, hanno accerchiato la conchiglia fino a renderla marginale, fi­no a farla rinnegare dal suo stesso pa­dre: «Non è come avevo chiesto che fosse, se si viola l’idea di partenza si viola tutto il progetto». Così 36 milioni di co­sto e 20 anni di tempo, tra progettazio­ne e costruzione, persero senso all’im­provviso. E con essi persero senso il grandissimo sagrato su cui sorge una croce di 40 metri, colonnato e campani­le orizzontale con 8 campane, 12 vasche in cui scorre acqua destinata agli ulivi, un monumentale organo a canne realizzato a mano, 36 nicchie con mosaici realizzati da Marko Ivan Rupnik (artisti e presbitero sloveno) che raccontano le vite di San Francesco e San Pio (come possano conciliarsi tanta ostentazioni e la povertà di due severissimi cappuc­cini, resterà un mistero).

Il 1° luglio 2004 viene inaugurata li nuova chiesa di San Giovanni Rotondo, momento storico che in molti fanne coincidere con l’inizio della caduta del­la città di San Pio, con il compimento di una nemesi. Da allora i fedeli diminui­scono progressivamente e la risposti dei frati a una presunta crisi devoziona­le (in realtà i fedeli autentici non sole non l’hanno mai dimenticato, ma non hanno mai messo in discussione San Pio) diventa man mano sempre piè scomposta, istintiva, a tratti imbarazza­te. Si potrebbero citare la traslazioni della tomba dalla vecchia alla nuovi chiesa (forse il tradimento più eclatan­te, così ostile all’umiltà del frate), la ma­schera di cera sul suo volto, l’ostensioni perpetua di chi non amava esporsi di vivo (figurarsi da morto), e recentemen­te il viaggio delle ceneri di Raffaella Carrà: basterebbero questi episodi, tra mil­le altri, per raccontare la lunga serie di scivoloni che, contrariamente alle in­tenzioni di chi li ha ispirati, denotano debolezza e non forza, perdita del con­trollo e non affidamento alla fede. Niente sembra aver insegnato nem­meno il commissariamento dei cappuc­cini avvenuto a maggio 2003, quando il Vaticano interruppe una speculazioni fin troppo evidente. «Riappropriarci di San Pio nella dimensione autentica» tuonò l’allora vescovo Domenico D’Am­brosio, aggiungendo «ci sono realtà belle ma fuorvianti, c’è il rischio che il nome di Padre Pio possano operare re­altà estranee a lui». Quelle realtà non solo si sono impossessate dell’identità civica e spirituale di San Giovanni, ma ne sono diventate il simbolo. San Gio­vanni oggi è un’icona pop, una città re­clame su cui incombe una necessità fin troppo laica, anzi commerciale: tenere il Santo in vita il più possibile, alimen­tarne il Mito per alimentare la città. Tut­to mentre, ben più che paradossalmen­te, la vecchia e piccola chiesa della Ma­donna delle Grazie – che avrebbe dovu­to essere sfrattata dalle funzioni di memoria storica – acquisisce nuovo magnetismo, come quando un posto che stava per essere abbandonato si scopre dotato di una missione impossi­bile da seppellire.

Oggi San Giovanni Rotondo è una cit­tà in cui oltre la metà degli alberghi, spuntati come funghi intorno alla chie­sa di Piano, è vuota. Alcuni dismessi, al­tri in vendita. Una città in cui l’ibrido dell’ospedale fondato proprio da San Pio – Casa sollievo della sofferenza, ente di ricerca privato sostenuto con soldi pubblici – testimonia la difficoltà e in­sieme la drammatica urgenza di individuare un’altra strada, un’altra idea di fu­turo oltre a quelle percorse finora.

Sembra esserne consapevole il sinda­co Michele Crisetti, chiamato a un im­pegno rivoluzionario. Stanare facoltà e talenti, riscoprire San Giovanni oltre San Pio. «Lo dobbiamo a noi stessi, alle nuove generazioni» urla dal palco del Gargano Film Festival, una delle inizia­tive con cui sta provando a sfilare San Giovanni dal cappio dell’identità turistico-religiosa. «Per anni San Giovanni è stata solo questo, ma sono convinto che a San Pio sarebbe piaciuto che qual­cuno avesse provato a scommettere sul­la tenacia e sulla grinta dei suoi concit­tadini, abbiamo il dovere di provarci». Può darsi abbia ragione lui, ma per te­nere accesa la giostra che a ondate illu­mina la città («vengono qui solo per cu­riosità, in chiesa ci vanno in pochi» mu­gugna un cappuccino fuori dalla Ma­donna delle Grazie) sono pronti a scommettere che prima o poi si ricadrà negli stessi errori, che ci s’inventerà qualcos’altro in grado di suscitare stu­pore. A cominciare dalla veglia del 23 set­tembre, in occasione del 53esimo anni­versario della morte di Padre Pio da Pietrelcina: quando a San Giovanni torne­ranno televisioni, radio, giornali e qual­che collegamento in diretta con la tivù pruriginosa e pietista del primo pome­riggio, per poi fare di nuovo silenzio. In­fine, la famigerata questione legata all’aeroporto Gino Lisa di Foggia (che c’è ma non c’è, specialità della casa), a cui molti affidano le speranze di un rilancio del turismo di «prima» e «seconda bat­tuta»: quelli che, dopo aver fatto visita a San Giovanni, dovrebbero fermarsi in vacanza sul Gargano.

E la fede? Che c’entra, quella c’è sem­pre. Ma si è nascosta bene, così bene che nessuno sa dove sia finita. Forse sotto una conchiglia.

Davide Grittani

corrieremezzogiorno