Le tracce dell’uomo preistorico, nel territorio di Vieste, sono evidenti: la zona ha infatti restituito manufatti riferibili alla fase più arcaica dell’incivilimento umano.
Le ricerche, iniziate nell’ultimo ventennio del secolo scorso, sono continuate fino ai nostri giorni.
Tra i primi studiosi ricercatori si ricordano il Centonza, il Nicolucci e l’Angelucci; a questi seguirono il Maurea, il Redini e il Battaglia, i quali esplorarono parecchi punti del Gargano e molti scavi da loro eseguiti hanno messo in luce importanti stazioni preistoriche. Nè si può ignorare il grande contributo dato dal Puglisi per la conoscenza dei primitivi abitatori del Gargano, che potrà opportunamente valutarsi attraverso la ricerca e lo studio dei loro abitati.
Dopo questa breve premessa, c’è subito da dire che, per quanto riguarda l’età paleolitica (o età della pietra grezza), pochi sono i reperti dati dal nostro territorio. L’unica testimonianza è data dal ritrovamento, nel primo strato della Grotta Drisiglia, di un raschiatoio ricurvo, ottenuto da una scheggia staccata da un arnione, del quale rimane parte della superficie originaria, in cui è riconoscibile la tradizione paleolitica e precisamente la facies « Romanelliana » (1). Il Paleolitico è stato, invece, conosciuto più frequentemente nella fascia interna del Gargano, come dimostrano i ritrovamenti della Piana di Carpino, di Umbra e Paglicci, e soprattutto presso i torrenti Correntino, Romandato e Campane, prestandosi questi molto favorevolmente ai bisogni della vita dell’uomo primitivo. In questo periodo il rito funebre è quello dell’inumazione; tuttavia, sembra che l’uomo paleolitico garganico non seppellisse i suoi morti e ignorasse qualsiasi rito funebre, dal momento che non è stato possibile identificare con sicurezza resti umani. Sembra pure che egli non fosse in grado di costruirsi ancora dei ripari (2), vivesse di caccia ed esercitasse « una sola industria, quella della lavorazione della silice, con cui fabbricava grosse asce amigdalari, che adoperava a mano » (3).
Tra il Paleolitico e il Neolitico taluni pongono il Mesolitico, un’età intermedia caratterizzata da forme sempre più evolute che precedono l’età neolitica (o età della pietra levigata).
- Peroni R., Archeologia della Puglia preistorica, Roma, 1967, pag. 19.
- Le stazioni rintracciate sono quasi tutte all’aperto; tuttavia non si esclude che anche in questo periodo remotissimo l’uomo usufruisse di ripari naturali.
- Iatta A., La Puglia preistorica, Bari, 1914, pag. 395.
![](https://www.retegargano.it/wp-content/uploads/2022/03/FOTO-2-768x1024.jpg)
![](https://www.retegargano.it/wp-content/uploads/2022/03/FOTO-3-768x1024.jpg)
![](https://www.retegargano.it/wp-content/uploads/2022/03/FOTO-4-768x1024.jpg)
Nel territorio viestano, però, non è possibile cogliere gli elementi caratteristici di questo periodo transitorio, anche se alcuni rinvenimenti di abitati possono portare a classificare e differenziare approssimativamente un’età « pre-neolitica ». Un’interessante stazione pre-neolitica fu scoperta dal Puglisi nel primo strato, il più basso, della Grotta Drisiglia (4), posta alle pendici settentrionali di un’altura immediatamente a Sud di Molinella. La vicinanza del villaggio di Molinella e quindi la possibilità di trovare in quel ricovero naturale i riflessi culturali della vita che si svolse in quell’abitato capannicolo indussero il Puglisi a eseguire a Drisiglia un’indagine stratigrafica.
Nella grotta, quasi interrata, fu stabilita la presenza di almeno due fasi culturali anteriori all’occupazione dell’altura di Molinella da parte dei capannicoli. Lo scavo venne eseguito aprendo una trincea con un fronte di m. 5 (comprendendo tutta la parte di fondo della grotta) e raggiunse la profondità di m. 3,10, dove fuarrestato da una grande frana, i cui massi furono rimossi senza incontrare tracce culturali, per cui è da ritenere che essi siano il prodotto d’un crollo originario, anteriore ad ogni stanziamento umano (5). Lo strato, il primo fra i quattro riscontrati, spesso
- Puglisi S. M., Le culture dei capannicoli del Promontorio Gargano, in Memorie Accad. Lincei, Voi. II, 1948.
Ibidem, pag. 43.
cm. 40 e costituito da terra rossiccia, è caratterizzato, dall’assenza di ceramica; abbondano, invece, i manufatti litici, mentre rifiuti di pasto, rappresentati da ossa di animali, e residui carboniosi stanno ad indicare il carattere fisso dello stanziamento. L’industria litica mostra esclusivamente aspetti scheggioidi e laminari di tradizione paleo-neolitica, come quella della stazione di Macchia a Mare, la cui industria, però, viene universalmente riferita all’Eneolitico. Le lame sono larghe e sottili, prive di ritocco, ma staccate quasi sempre con sicurezza dal nucleo. Un esemplare di selce bionda, a sezione trapezoidale, dimostra chiaramente la pratica della produzione laminare. Il piano di percussione è accuratamente predisposto; la costolatura mediana risulta asportata mediante il distacco di una sottilissima lamella longitudinale.
Una lama espansa, la cui foggia non è rara nella tipologia paleo-neolitica, completa la serie degli strumenti più significativi di questo primo strato; nella parte ricurva dello strumento è praticato qualche ritocco. Corrispondente al primo strato della Grotta Drisiglia è il riempimento di una grotticella aperta nella parete Nord di essa (6). Lavatura del riempimento della grotticella è in genere la medesima del primo strato, e cioè terra rossiccia sabbiosa, poggiante però su uno straterello con cretizio assai duro. Il deposito riscontrato, ricco di materiale litico, è caratterizzato dall’assenza di ceramica e corrisponde nel suo complesso a quello già descritto. Numerosi i resti
di ossa di animali (equidi ed altra fauna attuale). Tra le schegge, alcune sono di dimensioni notevoli (un esemplare misura cm. 13×8; spessore mm. 15), mentre è da segnalare, tra gli oggetti finiti, un raschiatoio probabilmente acuminato, la cui tecnica di lavorazione ricorda quella delle « punte » musteriane. Rilevante è la produzione laminare. Nell’atipicità che generalmente si osserva in tale lavorazione, si distingue nettamente un magnifico oggetto finito. Si tratta di un coltello a taglio ricurvo, di selce bigia, a sezione triangolare, con il tallone accuratamente arrotondato e assottigliato.
Il Neolitico propriamente detto comprende invece una fase molto lunga, per cui viene suddiviso in tre periodi: antico, medio e superiore. A quest’ultimo periodo viene attribuita l’industria campignana. In Puglia, il Campignano si presenta concentrato e quasi limitato all’area garganica, dove è posto in tale evidenza da indurre molti studiosi a definirlo come una facies locale o addirittura una cultura. Nella tipologia dell’industria campignana garganica si conoscono « forme che altro non sono se non la traduzione in selce scheggiata di strumenti, i quali solitamente si fabbricavano con la tecnica della levigatura della pietra» (7). Palma di Cesnola distingue due facies nell’ambito di tale industria: quella delle stazioni della zona montuosa interna del Gargano e quella della fascia costiera. La prima è caratterizzata dalla presenza di elementi a scheggiatura bifacciale, lavorati con tecnica piuttosto evoluta; la seconda, invece, è ricca di prodotti finiti, quali gli scalpelli e i tranchets garganici. Al Neolitico antico (8) risale il secondo strato della Grotta Drisiglia. Si tratta di un deposito omogeneo di circa cm. 40, costituito da terra bruna e contenente prodotti litici associati a ceramica. Notevoli due frammenti che, secondo il Battaglia (9), allacciano decisamente lo strato all’orizzonte neolitico. Il primo è un frammento di impasto spesso e nerastro nella fattura, non buccheroide; il secondo, di impasto bigio a superficie ruvida e porosa, presenta sulla sua superficie un motivo a fronda, ottenuto con la contrapposizione armoniosa di due cavità ondulate (10).
- Peroni R., op. cit., pag. 72.
- Questo periodo è caratterizzato essenzialmente dalla ceramica a decorazione, impressa con una particolare tecnica. Sulle superfìci ancora molli dei vasi si praticava una « follaj» disordinata di impressioni mediante colpi di stecca, ditate, unghiate e con la pressione di rudimentali punzoni, come il margine dentellato di una conchiglia. Il periodo successivo, il Neolitico medio, è caratterizzato, invece, dalla ceramica a decorazione « graffito, », praticata dopo la cottura.
- Battaglia R., Ricerche paleo-antroprogeografiche del Gargano, in Riv. di Antrop., 1957, pag. 35.
Puglisi S. M., op. cit., pagg. 47-48.
L’industria litica, tratta da schegge e lame, mantiene, nel suo complesso, come base fondamentale un aspetto atipico; vi è tuttavia qualche lama regolare senza ritocco. Gli elementi nuovi, rispetto al livello precedente, sono forniti dalla presenza di un oggetto litico caratteristico. Si tratta di un’accettina di tipo « Macchia a Mare », abbozzata a larghe scheggiature bifacciali, ben riconoscibile malgrado lo stato iniziale della lavorazione. Altre testimonianze della civiltà neolitica sono rappresentate dai numerosi frammenti vascolari fittili, rinvenuti in diverse località del territorio, il cui impasto, secondo il Benucci (11), è lavorato a mano ed è composto di argilla grossolana, nerastra, sparsa di grossi granelli bianchi quarzosi e mal cotta. Dei frammenti recuperati, alcuni, appartenenti a fittili più sottili, sono di impasto compatto di terra argillosa mescolata con carbone e rari, nonché minutissimi, granelli quarzosi; sono di uguale cottura nello spessore e presentano le pareti lisce. Il Benucci ha osservato, pure, resti di fondi e di orli, taluni con protuberanze e tubercoli, a forme predominanti di scodelle a tronco di cono con la base piatta, nonché anse ad occhiello verticale o a bugnette più o meno grandi e sporgenti, di cui una a guisa di fronda ornata con la semplice impressione delle dita.
(11) Benucci A., L’età della pietra nel Garg., Foggia, 1884.
Il Quagliati ha recuperato « una ciotola bassa mm. 30 a tronco di cono rovescio, con stretto fondo piano del diametro di mm. 52, con parete liscia e largamente aprentesi al sottile orlo, dove il diametro raggiunge mm. 132. Il vaso, lavorato a mano e di impasto cotto di colore rossiccio, ha una ingubbiatura lisciata alla spatola e di tono brunastro. Nel fondo interno della ciotola si vedono ancora tracce di residuo d’ocra rossa, che molto era adoperata per colorire dai nostri neolitici c moltissimo dai paleolitici di Grotta Romanelli, colla quale ornavano la persona » (12).
Altra notevole testimonianza della civiltà neolitica del nostro territorio è data dal « dolmen »(13) di Molinella, che taluni, sulla scorta di alcuni esemplari esistenti in Terra di Bari, attribuiscono all’età del bronzo. Sull’altura di Molinella furono scoperti tre grandi lastroni emergenti verticalmente dal terreno e ravvicinati l’uno all’altro nelle loro estremità. Poiché « la roccia compatta dell’altura non presentava sfaldamenti e non vi erano altri massi in superficie, quei blocchi isolati, di dimensioni così notevoli, nonché la loro posizione, suggerivano l’idea di un monumento megalitico » (14).
A Sud-est del lastrone più grande, dove si era for-
- Quagliati Q., La Puglia preistorica, Trani, 1956, pag. 116.
- I dolmen sono monumenti funebri costituiti da più massi monolitici fissati nel suolo e sostenenti un lastrone, che fa da copertura. Le lastre, generalmente grezze all’esterno, sono lisciate internamente.
Puglisi S. M., op. cit., pag. 32.
mato uno spesso deposito, venne eseguito un saggio che portò al rinvenimento di uno scheletro, appartenente ad un individuo dolicocefalo, di struttura ossea ben sviluppato. Era adagiato sul fianco sinistro, con la faccia rivolta verso Ovest. La sua posizione, tuttavia non era propriamente rannicchiata (15), anche se presentava un forte ripiegamento degli arti inferiori, in quanto le ginocchia si mantenevano assai lontane dalla testa. Un rincalzo di pietre, disposte a semicerchio, difendeva ‘ la sepoltura dal lato scoperto, e da ciò si ritiene che i lastroni siano stati utilizzati in tempo posteriore per addossarvi il cadavere. Altra prova che la sepoltura sia posteriore al dolmen potrebbe essere fornita dalla sua scarsa profondità rispetto al piano su cui poggiano i lastroni. Ma si tratta, tuttavia, di semplici ipotesi. Il monumento di Molinella, pressocchè unico nell’area garganica, rientra per le sue particolarità strutturali nella cerchia dei « dolmen » pugliesi.
(15) In questo periodo, il rito funebre è ancora quello del- rinumazione, ma i morti vengono per lo più deposti sul fianco sinistro, nella tipica posizione di rannicchiati.
Michele Potito
Giorgio Vario
Da Vieste Antica – 1970 –