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VIESTE ANTICA/ L’ETA’ DEL FERRO (5)

L’età del ferro, che ha inizio verso il 1000-900 a. C., presenta nel nostro territorio numerose testimonianze. Fra le stazioni di questo periodo è da considerare innanzitutto il quarto strato della Grotta Drisiglia, formato da terra nera e sassi e spesso m. 0,70, sul quale è stato osservato un piccolo strato di terreno superficiale, degradante verso il fondo della grotta (1). Il notevole materiale archeologico rinvenuto in,questa stazione, dalla civiltà della pietra a quella dei metalli, dimostra in essa la continuità della vita umana, mentre l’associazione, in quest’ultimo strato, di ceramica di impasto con quella di età storica serve ad indicare la fase ultima delle manifestazioni preistoriche tradizionali in questo tratto del litorale garganico. Una sorprendente documentazione offre l’industria litica, il cui fondamento è costituito da una numerosa produzione di schegge e lame di notevole dimensione. Alcuni nuclei a « pane di burro » documentano poi la lavorazione sul posto.

  • Puglisi S. M„ op. cit., pag. 49.          

Assai caratteristico è un raschiatoio rostrato, espanso, le sue dimensioni indicano che esso fu tratto da una larga scheggia. La faccia di stacco è notevolmente concava e ben in rilievo il bulbo di percussione, il cui piano fu accuratamente predisposto; la faccia superiore presenta regolari scheggiature, mentre i margini dello strumento risultano corretti con radi ma sicuri ritocchi. La rarità degli strumenti silicei esprimenti una decisa tipologia dimostra, invece, che l’arte litotecnica fu esercitata (da pochi artigiani) anche durante l’età del ferro e fino alla penetrazione sul Promontorio della civiltà storica. E l’uso di utilizzare ancora strumenti di pietra in questa tarda età è documentato dal ritrovamento di due finissimi coltelli di selce bionda nello strato superiore di Molinella, che è riferito alla prima età del ferro. Di spessore non molto notevole, esso si differenzia dal primo per il complesso della ceramica e per il colore nerastro del terreno, dovuto ad una maggiore percentuale di elementi organici. Numerosi, in questo strato, i residui di cenere, i carboni e le tracce di focolari, uno dei quali, formato da una grossolana piastra rettangolare di argilla, fu trovato quasi intatto. La ceramica non annovera grande varietà d’impasto; essa è polarizzata su due direttrici principali: ceramica e superficie grezza, generalmente color marrone, e ceramica lucidata a stecca. La prima riguarda particolarmente il vasellame d’uso corrente, in cui sono frequenti presa a linguetta o a protuberanze. Le anse sono ad anello semplice, impostate verticalmente; in qualche caso l’ansa è posta molto in basso rispetto all’orlo. Nel settore della ceramica lucidata sono frequenti i frammenti di ciotole emisferiche, lievemente svasate e munite di gola sotto l’orlo. Una di queste, conservata per due terzi, d’impasto bruno-nerastro levigato con cura, misura cm. 10 di diametro e cm. 0,55 di altezza. È notevole, per la sagoma, un vasetto frammentario, d’impasto marrone lucidato, alto cm. 9, la cui foggia è tendenzialmente biconica, ad alto collo cilindrico, con traccia ben chiara di un’ansa impostata orizzontalmente sulla pancia e leggermente piegata in alto che richiama quella ben nota degli ossuari del ferro. A Macinino, località a pochi chilometri da Vieste, furono raccolte due fibule ad arco, con grande occhio
opposto alla staffa, mentre il Rellini segnala nella collezione del Petrone anche «fibule ad arco serpeggiante e pendagli a doppia spirale» (2). Nello strato superiore di Punta Manaccore, in territorio di Peschici, furono reperiti anche alcuni frammenti di ceramica dipinta. Notevoli, in esso, alcuni cocci di ceramica dauna, che testimoniano «il perdurare del villaggio capannicolo di P. Manaccore fino al V-IV sec. a. C.» (3). Insediamento ricco di rinvenimenti dell’età del ferro,

Rellini U., Rapporto prelim. sulle ricerche paleo-etn. condotte sul Prom. Garg., in Bollett. di Paletn. Ital., Roma, 1929-31.

Biancofiore F., La civiltà dei cavernicoli delle Murge baresi, Bologna, 1964, pag. 149

A Nord-est del nostro territorio, è la stazione di Ariola (4), posta su un’altura a breve distanza da Sfinale. Si tratta di uno sperone roccioso, alle cui estremità si si apre la pittoresca Caverna dell’acqua, dove il Rellini trovò un abitato trogloditico, composto da quattro caverne.  Le indagini condotte in una zona adiacente la palude si Sfinalicchio, al limite di uno strapiombo, misero in luce resti di muretti rettilinei costituenti il perimetro di una capanna rettangolare, in cui è evidente l’analo­gia strutturale con le capanne dello strato superiore di Punta Manaccore. Tracce di muri a secco si notano anche sulla sommità dell’altura: qui, però, l’esigua quantità di terra accumu­latasi non permise di eseguire indagini. I prodotti litici di Ariola si presentano sotto un aspetto atipico, soprattutto pratico ed occasionale, che non lascia scorgere alcuna derivazione diretta dalla com­plessa tipologia industriale dei più antichi capannicoli garganici. La ceramica rinvenuta, riferibile a stoviglie d’uso comune, è piuttosto spessa e a superficie marrone o ne­rastra, opaca o con sommaria e discontinua lucidatura. La ceramica fine lucidata è di impasto buccheroide; in qualche caso, specie nei vasi più grandi, l’irregolarità della cottura ha dato luogo a «maculazioni rossicce».

(4) Puglisi S. M., op. cit., pag. 39.

Ad Ariola apparvero anche due punteruoli ricavati da ossi cavi, spaccati longitudinalmente, mentre un singolare esempio di decorazione su osso (5) è fornito da un frammento di osso cranico, sul quale i margini suturali presentano, in diversi punti, una rientranza assai accentuata. Non si esclude che tale frammento avesse un carattere sacro (come amuleto), anche se si tratta finora di un rinvenimento isolato. Esso comunque rappresenta il primo esempio di decorazione su osso apparso sul Promontorio e potrebbe indicare, unitamente alle «piramidette fìttili», alcuni aspetti della vita spirituale dei capannicoli garganici. Numerosi, pure, i rinvenimenti di tombe in diverse località del nostro territorio, fra le quali degne di nota quelle scoperte, nell’estate del 1933, dal Rellini nella Grotta dei Carri, in località Isolagna, il cui corredo, funebre era costituito da ceramica, anelli ed armille di bronzo (6). Il tipo di sepoltura che contraddistingue l’età del ferro nel Gargano è quella scavata nella roccia, in cui si possono distinguere due varianti: quella con riempimento di pietrame e quella con lastrone di copertura. Caratteristica di tale tipo di sepoltura è la forma a tronco

  • L’utilizzazione e la lavorazione dell’osso segue, presso i capannicoli garganici, all’abbandono della complessa litotecnica eneolitica. I pugnali ossei dello strato inferiore della Caverna di Manaccore e i rinvenimenti dello stesso tipo dello strato medio della punta omonima e dello strato inferiore di Molinella documentano, infatti, una tecnica già diffusa nella prima età del ferro.
  • Rellini R., in Japigia, Fase. IV, 1933.

di piramide della fossa (7). Tombe di questo tipo, con vari oggetti di bronzo (fibule, aghi, crinali, spirali, anelli), sono venute in luce anche a Vieste, in località « Car­mine » in modo particolare.

Altre tombe, del tipo «a cassetta», furono rinvenute in località Pantanello, dove le deposizioni, accompagnate da corredo funebre, erano nella tipica posizione rannic­chiata: ciò dimostra che l’uso del seppellimento rannic­chiato certamente era praticato nel territorio viestano anche in età protostorica. Queste le principali testimonianze della civiltà del ferro nel nostro territorio.

Con la fine dell’VIII ed il principio del VII secolo a. C. si entra poi nell’età pre-romana, allorché i co­stumi, l’organizzazione civile, le industrie, i commerci, i riti funebri risentono ormai dell’influsso della civiltà greca. È dalla Grecia che l’uomo garganico della tarda età del ferro apprende una religione più evoluta, ricono­scendo i suoi dei, che spesso saliva ad adorare sulla vetta dei monti (8).

Il Gargano ha sempre avuto nei secoli rapporti molto facili con l’Oriente; tuttavia, non si conosce alcuna tra­dizione storica di arrivi in massa e quindi di sovrapposizioni

  1. Peroni R., op. cit., pag. 31.

Un tempio dedicato a Giove Dodoneo era stato eretto sul Gargano. La sua fondazione viene attribuita a Pilunno II, o a un suo discendente, Dauno, re dei Dauni. Il culto si sarebbe mantenuto vivo per molto tempo e Monte Sacro, secondo un’an­tichissima tradizione, si chiamò appunto Monte Dodoneo sino alla fine del V sec. d. C.

di genti nuove dopo l’immigrazione degli Japigi, venuti intorno al 1000 a. C. dalla Penisola Balcanica, attraverso l’Adriatico. Soltanto al principio del VII secolo a. C. si ebbero le prime colonie greche sui lidi garganici, che influenzarono notevolmente la vita delle genti locali.

Conclusione. Da quanto esposto, si può affermare con sicurezza che il territorio di Vieste fu abitato sin dall’età della pietra. Questi uomini primitivi, chiamati genericamente Aborigeni, furono poi distrutti o interamente assorbiti dalla civiltà dei nuovi popoli invasori, prevalentemente di stirpe Indo-Europea: gli Japigi.

Michele Potito

Giorgio Vario

Da Vieste Antica – 1970 –