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ANCH’IO HO VISTO VIESTE …..

Riceviamo e pubblichiamo

Anch’io ho visto Vieste. Un titolo che presuppone un qualche tipo di consequenzialità con un dato fatto antecedente al presente. Un titolo che evidenzia un’opinione diversa da una già espressa e uno sguardo differente su un determinato aspetto. Uno sguardo che dura da circa tre decenni, uno sguardo che è cambiato col tempo, con la consapevolezza, con la conoscenza e con l’esperienza.
Anch’io ho visto Vieste. L’ho vista con gli occhi di un bambino, con i sogni di un adolescente e con la speranza di un adulto. Sguardi che sono stati irrimediabilmente disattesi uno dopo l’altro.
Anch’io ho visto Vieste, l’ho vista cambiare, trasformarsi di anno in anno, cambiare volto,
abitudini, abitanti e obiettivi. E l’ho vista rimanere sempre così maledettamente uguale a se stessa.
Ho visto la meraviglia scaturire da ogni suo anfratto, la sua natura risorgere rigogliosa da terribili disastri ambientali. Ma ho anche visto soprusi edilizi fuori da ogni mondo possibile, aberranti scelte di stile, veri propri pugni in occhi che si riempiono di lacrime quando vedono frotte di turisti apprezzare una banale quanto pericolosa scalinata dipinta di bianco e rosso. E ho visto gente anche vantarsene. Ho visto ragazzini scorrazzare per le strade dei vicoli del centro storico, poi non li ho più visti. E ho visto prendere il loro posto da altri ragazzini che non scorrazzano affatto, ma rimangono in attesa del prossimo “cliente”. Ho visto brutali omicidi in pieno giorno per le strade del centro, conoscenti sparire nel nulla e rivisti solo sulle pagine di un giornale. Ho visto (o meglio non ho visto) strutture ospedaliere e di cura alla persona adeguate fantasmi, corse impazzite di autoambulanze per fare centinaia di chilometri al fine di raggiungere centri ben più attrezzati e ben più lontani. Ho visto la mancanza di servizi adatti all’utenza, sovraccarichi alle reti idriche e fognarie all’ordine del giorno, ma una sovrabbondanza assurda di attività commerciali, alberghiere e ristorative nascere e morire nell’arco di quattro mesi, come il sintomo temporaneo di una malattia terminale che affligge tutto il paese. Ho visto operai fare turni infiniti da più di dodici ore, essere pagati una miseria, gente affetta da sindrome da Burn Out, Depressione e Stress, tutte patologie lavoro correlate. Le ho viste rimproverate, disumanizzate e umiliate da titolari senza alcun titolo, se non quello del profittatore o fortunato arricchito, melma della peggior specie facente parte di un sistema turismo-centrico malato e autodistruttivo che non ammette errori, non conosce diritti o un semplice giorno di riposo. Tutto asservito al dio del guadagno veloce, senza scrupoli, che passa su tutte le norme del buon senso, e a volte anche quelle sanitarie più basiche, al lavoro a tutti i costi che “tanto sono solo tre mesi” per giustificare i trattamenti più impensabili, che in altri termini verrebbe chiamato a ragion veduta schiavitù. Tutto asservito al volere degli “imprenditori” viestani e alle loro meritate crociere invernali nei posti più esotici, che al ritorno cercheranno di spiegarti come quest’anno ci sia crisi e bisogni tirare la cinghia, e che quindi ci sarà meno personale dell’anno passato o stipendi più miseri, perché qui siamo una famiglia e in famiglia si fanno sacrifici. Ho visto il disagio dilagare per le strade alla stessa velocità con cui le strade venivano chiuse al traffico per ospitare questo o quell’evento, totalmente incurante dei bisogni di cittadini che non hanno la fortuna di poter richiedere permessi al comune per aprire una nuova attività, o pagare affinché i suddetti eventi passino “casualmente” davanti al loro negozio, ma che come dei fessi si recano al lavoro come tutti gli altri giorni. Ho visto anche le suddette attività litigare per una pianta spostata un po’ più in là, o litigarsi clienti da tirare ed attirare (metaforicamente e non) al loro locale per evitare che possa fermarsi dal confinante distante ben trentadue centimetri più a destra. Ho visto menti brillanti di amici preferire altre realtà più soddisfacenti e remunerative a livello personale, economico e di crescita per non soccombere alla mediocrità dilagante e imperante. Ho visto l’ego smisurato degli amministratori crogiolarsi nell’autocelebrazione più sfrenata, ben nascosta sotto la maschera della finta umiltà e annegare in applausi stordenti per aver reso questo paese più instagrammabile che vivibile. Ho visto l’ipocrisia di cittadini che sempre e da sempre si lamentano di ciò che non funziona come dovrebbe, ma che non hanno mai provato ad alzare un dito per cercare di cambiare lo stato delle cose, e tra questi ci sono ahimè anch’io, che tra i tanti ho preferito cambiare città e contesto, e che ora non posso fare a meno di osservare con occhio deluso il ridente paese dei racconti dei miei genitori e nonni, trasformarsi in una bieca realtà totalmente vuota e priva di una vera identità collettiva, se non quella finta facciata sorridente che si mostra d’estate agli ignari ospiti, i quali non conoscono la reale chimera che si nasconde dietro alle vetrina illuminata e addobbata a festa che è Vieste per tre mesi su dodici. Vieste, un paese arroccato sulla punta estrema del Gargano, ambita meta turistica di successo, dove più che far fruttare il territorio, valorizzandolo a dovere, lo sfrutta senza alcun criterio, asservendolo a criminalità e malagestione.

Anch’io ho visto Vieste e la conosco profondamente.
Anch’io ho visto Vieste ma non ne sarei così fiero.

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Un cittadino qualunque che davvero tiene a questo paese

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