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RICCARDO BACCHELLI TURISTA SUL GARGANO “LA DOLCE COSTIERA, I TRABUCCHI E LE TORRI”

Nella primavera del 1929, sulla Stampa vedono la luce al­cuni interessanti articoli che Riccardo Bacchelli scrive dal Gargano, rac­colti poi nel libro “Italia per terra e per mare” (1952;. Il futuro autore de “Il Mulino del Po” è ospite a San Mar­co in Lamis dell’amico Giustiniano Serrilli che non vede dai tempi dell’Università a Bologna. Partendo dalla «rusticale e ci­vile cittadi­na» va alla scoperta di quegli aspetti del Pro­montorio ancoraoggi di forte va­lenza ambientale.

Nel reportage “Strade e paesi” percorre la strada che da Jacotenente, cuore della Foresta Umbra, porta a Vieste passando per Mat­tinata. Costruita per esi­genze belliche dagli inge­gneri della Regia Marina, ora i pochi automobilisti che vi transitano potreb­bero sbizzarrirsi in corse spericolate, se i muli dei carbonai e i cavalli riottosi dei carrettieri, poco abi­tuati al moderno traffico, non si parassero improv­visamente davanti in qual­che tornante. La strada, ricca di mandorleti, boschi di querce e lecci, «erma, solenne, accompagnata dalla vista mare, si inoltra fra selve, selvette e prati», ter­mina a Vie­ste, che appa­re adagiata «sopra il declino d’uno scoglio nel mare, bianca, moresca e marina, simile nell’indolenza a una bella creatura spossata vo­luttuosamente dal bagno, che si sia sdraiata sul letto dello scoglio per prendere il sole facendosi baciar i piedi dal mare». Due gran­di golfi e «due spiagge fug­genti, lunate» si aprono a levante e ponente. Nella Marina Piccola si tirano a secco le paranze; su uno scoglio vicino si erge il fa­ro.

Dietro, sonnecchia il Ca­stello: i suoi cannoni non rimbombano più dagli spalti. Il piroscafo bisettimanale delle Tremiti ani­ma «la gentilezza deserta delle onde primaverili». Alcune massaie versano in mare cestelli di im­mondizia, e «i rauchi volatori vi s’avven­tano, fa­cendo go­dere la più bella giostra e scherma­glia e ronda di voli che si possa desidera­re».

Trabucchi e torri pun­tellano la litoranea tra Vie­ste a Peschici: «Fremono al vento fresco le lunghe braccia, le gracili impal­cature e i cordami delle gran reti a bilancia, che si sporgono sull’Adriatico pescoso dalle rupi nelle vi­cinanze d’ogni paese della riviera – commenta Bacchelli – Dappertutto vi so­no gabbiani, come, dap­pertutto, la storia racconta terremoti e rovine di sa­raceni, di pirati dalmati, di turchi bestiali in questi paesetti, ai quali oggi il mare dà tan­ta pace quanta già diede guerra nei tempi andati».

E conti­nua: «La maggior dolcezza del­la costiera è da Peschici a Rodi, che si guardano di lon­tano, candide sulle loro due rupi alte al capo della spiaggia piena d’amenità. Peschici era un paese po­verissimo, senz’acqua, af­fastellato sullo scoglio. La gente viveva in parte in caverne scavate dentro la roccia tenera. La miseria stringeva il cuore, e vi si conosceva la mancanza di molte cose di prima ne­cessità. Ebbene, Pèschici ha nome d’essere il paese che dà le più belle ragazze del Gargano. E devon esser belle assai, giudicando da quel che ho potuto scor­gere passando».

Passato Pèschici, Bacchelli attraversa l’ultimo lembo della grande pineta (Marzini) che riveste quel tratto di costa, prima di lasciare il posto agli aran­ceti di Rodi Garganico.

Inoltrandosi verso l’in­terno, prende la strada che conduce a Vico, «entra­tura alla regione dei grandi boschi interni». Da Vico si reca a Ischitella, «aprica e ben murata», dove un Francesco Emanuele Pinto, principe di Ischitella, elevò ai primi del 700 «un palazzo di castigata grazia mirabile».

Approfitta di un lento tramonto «aureo ed argen­tino» per recarsi a Car­pino, «bianca sul gran pia­no verde» e a Cagnano. Osserva il Monte d’Elio in­cupirsi contro il cielo cre­puscolare, e la vasta, immota palude del lago di Varano trascolorare pian piano al tramonto. «Questo lago, e l’altro di Lesina – spiega – diffondono la ma­laria in questa parte del Gargano, fertile e pur bel­lissima Nei prati e nei se­minati, più cupi, nelle roc­ce e nei monti, nel color del mare e degli uliveti pallidi, c’è una gravità, una me­lanconia, che ben si sposa e si rivela con il tramon­to».

Sul Varano, che durante la prima guerra mondiale fu un’importante base di idrovolanti «e che potreb­be esser porto superbo» sono state aperte due foci «per renderlo salino, ri­sanarlo e impedir la ma­laria». I tentativi di bo­nifica sono una storia lunga e ardua da raccontare, ma quando era palude d’acqua dolce, il Varano era pescoso, e i suoi gustosi capitoni erano «celebra­tissimi». Ora anche loro lo stanno abbandonando.

maria teresa rauzinoedicoladelseud