Gaetano delli Santi, scrittore e artista, ha completato il suo “trittico teorico”, dopo i libri sull’Espressionismo e sul Plurilinguismo, tornando sul Barocco che aveva già affrontato nel 2006 nello splendido saggio sulla Forza generativa del Barocco. Nel nuovo approccio, ancora una volta a cura dell’editore milanese D’Ambrosio, il titolo è Conflitti del Barocco.
Si tratta di un saggio decisamente fuori del comune, che si segnala per alcuni inusuali aspetti qualificanti. Punto primo, l’esuberanza cronologica antiaccademica: dotato di una erudizione notevolissima, l’autore è però assai lontano dal procedere lineare degli storici dell’arte, nonché da qualsiasi contemplazione dei cosiddetti capolavori. È invece autore di una continua raggera di collegamenti che unisce l’operare artistico del Seicento alle prove più moderne. In buona sostanza il Barocco è interpretato come la prima avanguardia (in questo si pone sulla scia di Walter Benjamin e del suo libro che fu bocciato, non a caso, alla libera docenza). Così non ci si deve stupire di trovare Mallarmé e Giacometti accanto a Bernini e Bruno, in quanto li investe la stessa corrente propositiva ed estetica che attraversa l’intero saggio. Si rammenti che proprio Giordano Bruno era il protagonista di uno dei testi principali di delli Santi, il Fra’ Giordano Bruno redivivo (2001, anch’esso editore D’Ambrosio, realizzato poi in teatro e in film), dove la figura contestativa del grande eretico veniva attualizzata contro il potere e le sue ideologie vecchie e nuove.
Punto secondo, lo stile: quanto allo stile, questo saggio si situa davvero al confine. Il suo tenore argomentativo ha tutte le carte in regola ed espone con assoluta chiarezza i suoi obiettivi e le sue prese di posizione senza mai nascondersi. Nello stesso tempo, però, lo fa con una scrittura estremamente brillante, quale di rado possiedono non dico i critici-scrittori, ma nemmeno gli scrittori-critici. Non è soltanto il fatto che l’estro creativo prenda la mano; lo stile qui è il preciso corrispettivo dell’argomento stesso. Come si fa, infatti, a parlare di “dinamismo” senza esserne in qualche modo “dinamizzati”? La teoria e la critica, giustamente, tengono a situarsi allo stesso livello del loro oggetto e ciò ne aumenta la carica dimostrativa. Questa sorta di contagio è ancora più forte, non a caso, quando la figura di confronto è quella di Giordano Bruno. Sentiamo:
Il sermone bruniano s’impermalisce contro grammaticastri scostanti e coticoni, reagendo con una briosità linguistica fatta di secrezione angolosa di humour furbesco e di causticità scorticante, utilizzando una propalazione dirotta di repulse con un’acrimònia guardinga e ringhiosa, esauriente nell’affronto, acèrrima e sàdica nel verdetto. Dà addosso alle idee morte, perché la moralità si rigeneri senza farisaismo, senza bigotterìa, imposture e fintàggini.
Punto terzo: la costellazione teorica. L’ipertrofia barocca si intreccia capillarmente con il precedente libro sull’Espressionismo e con quello sul Plurilinguismo (Il Plurilinguismo: logosfera dei vacillamenti quotidiani), uscito in contemporanea dallo stesso editore, con una parte esemplificativa curata da Carmine Lubrano ed una mia introduzione. Tra i diversi tracciati c’è più di un contatto. Comune è l’intento di collegare con la dovute intersezioni e le dovute articolazioni alcune nozioni-cardine, che non solo attraversano il tempo della modernità, ma anche i diversi specifici artistici (così il Barocco coinvolge letteratura, pittura, scultura, architettura, teatro e quant’altro) e, con il loro supporto, convergere verso un rifiuto del classicismo e dei suoi dogmi, che sono quelli della proporzione e dell’unità, promuovendo al contrario l’eterogeneo, l’eccessivo, il complesso. E ancora: il deforme e il disarmonico. Contro l’apollineo, delli Santi si pronuncia a favore dello “sconfinamento dionisiaco”:
l’antinomia tra rette e curve, tra angoli e smussi, tra òvoli e accartocciamenti, tra piegature e volúte, tra curvature e arrotolamenti elabora una selva di trasformazioni e deformazioni, che attribuiscono alla massa corpòrea del decentramento e della dismorfòsi uno sconfinamento dionisiaco.
Anche l’allegoria, in questo quadro, assume l’aspetto di un apparato antinomico, fortemente polarizzato. Non per nulla il libro s’intitola ai conflitti; ma conflitto di cosa, con chi, come? Prima di tutto all’esterno, contro i poteri del canone artistico e, in fondo, contro tutto il dogmatismo culturale, usando le armi polemiche (e anche qui Bruno docet) della invettiva (la tapinosi) e dell’ironia. Ma conflitto anche dentro il linguaggio, dentro una parola che non può mai acquietarsi in se stessa, senza derogare in molteplici direzioni. Così scrive delli Santi nel libro sul Plurilinguismo:
Di qui la sonorità materica della parola: messa in rilievo sia da un reticolo di diversi linguaggi, sia dalla voce lesa da conati lùdici in opposizione all’ordinarietà della norma. Scartando l’approccio dell’Io contemplativo, il plurilinguismo fisicizza la acolloquialità sociale tramite la creolizzazione magmatica fra arcaismo e lingua àulica, fra lingua zerga e gergo malavitoso, fra dialetti e linguaggi settoriali e mass-mediali, fra neologismi e idioletti giovanili… a restituire oggettivamente la struttura alògica del caos esistenziale.
E così di rinforzo nel libro sul Barocco (sempre nella zona di commento a Bruno):
Le parole (come masse aggettanti barocche) si úrtano per separarsi, si separano per ricongiungersi. Simili a tante pietre che ròtolano spinte dalla forza motrice di un fiume, si órdinano seguendo la corrente, smaniose di saggiare le loro contusioni. Provocano una struttura linguistica trasfigurata dallo sforzo di conferire immagini anche dal fiotto spumoso di un’evocazione pulviscolare. Indi esòrtano la scrittura ad aver fiducia in un arsènico genesiaco mimetizzante e in un’impietosa norma giuridica in cui si leggano condanne contro le ineluttabili ruberie petrarchiste di stili appiattiti e stenti.
Il dinamismo si configura altresì come conflitto interno.
Delli Santi conclude nella contemporaneità con l’arte cinetica e il concretismo, tendenze assai diverse dal Barocco, eppure concordanti nell’incentivazione del movimento e della complessità. «Nel Barocco sussiste un’estetica che non cela l’incompletezza relativistica», scrive l’autore e subito dopo aggiunge:
a maggior ragione l’arte della modernità dev’essere compresa all’interno di tensioni strutturali che si sforzino di presentare l’oggetto estetico quale operazione di uno stato spaziale iperteso (non certamente collocabile nelle dimensioni fisiognomiche di un ordine statico), che si opponga non solo ad una concezione artistica classicheggiante, ma anche alla struttura fissa e monolitica di un’armonia che ignori la disarmonia. (pluralistica) del mondo.
In sostanza si elabora qui una complessiva “teoria dell’avanguardia” che specifica e allarga le dimensioni del dibattito sull’“avanguardia permanente”. Una teoria – si badi bene – non manualistica e soprattutto non prescrittiva, ma per così dire indicativa, disegnata con ampio respiro per grandi circoscrizioni. Esposizione saggistica non solo da leggere come retroterra dell’autore e sua personale poetica (sebbene ciò non sia illegittimo), quanto piuttosto come comunicazione di energia
a pro di un radicalismo artistico proiettato nel futuro.
Francesco Muzzioli
prof. di letteratura italiana moderna e contemporanea, insegna a “La Sapienza” teoria della letteratura