In Puglia (così come nel resto d’Italia) si pagano più pensioni che stipendi. Semplificando al massimo i numeri, in questo momento a ricevere l’assegno previdenziale sono 276mila unità in più rispetto a coloro che stanno percependo una busta paga o sono dei lavoratori autonomi. Complessivamente nel Tacco d’Italia ci sono 1 milione e 482 mila pensionati, contro 1 milione e 207 mila lavoratori.
Ma c’è di più: in relazione al numero di cedolini emessi dall’Inps rispetto alle buste paga mensili, la Puglia è al secondo posto in Italia, seconda solo alla Sicilia. A diffondere questi dati particolarmente allarmanti è l’Ufficio studi dell’Associazione artigiani e piccole imprese Cgia di Mestre.
A livello nazionale il numero delle pensioni erogate agli italiani (pari a 22 milioni e 759 mila assegni) ha superato la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti occupati nelle fabbriche, negli uffici e nei negozi (22 milioni 554 mila addetti). La situazione più “squilibrata” si verifica nel Mezzogiorno. Se nel Centro-Nord (con le eccezioni di Liguria, Umbria e Marche) i lavoratori attivi, anche se di poco, sono più numerosi delle pensioni erogate dall’Inps e dagli altri istituti previdenziali, nel Sud il sorpasso è già avvenuto e la Puglia, come detto, è la triste conferma.
«La colpa non è certo degli anziani – spiega il segretario generale dello Spi Puglia, Gianni Forte -. Al Sud non si fanno politiche demografiche affinché i giovani rimangano al Sud e mettano su famiglia. Quando c’è instabilità e ci comincia a lavorare in età avanzata è chiaro che ne risente la parte occupazionale».
In linea di massima, evidenzia Cgia di Mestre, le ragioni di questo divario tra lavoratori e numero di pensioni vanno ricercate nella forte denatalità che, da almeno 30 anni, sta caratterizzando il nostro Paese. Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva. Si segnala che tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre un milione e 360 mila unità (-2,3 per cento). Per quanto concerne il risultato «anomalo» del Sud, va segnalato che, rispetto alle altre ripartizioni geografiche d’Italia, il numero degli occupati è sensibilmente inferiore.
«Va anche evidenziato – aggiunge il segretario generale del Sindacato pensionati italiani della Puglia, Gianni Forte – che le pensioni al Sud sono basse. C’è un gap molto forte rispetto al Nord e anche gli interventi del Governo («Quota 100», «Quota 101», «Quota 102» e «Quota 103») sono indirizzati soprattutto verso il Nord perché lì risiede la grande platea che ha usufruito di questi benefici di anticipo pensionistico. Anche la prospettiva non è entusiasmante».
Destano preoccupazione le pensioni soprattutto alla luce dei numeri del Rendiconto sociale 2020–2021 dell’Inps. «Il dato più allarmante – spiega Forte – riguarda l’entità dell’assegno medio mensile liquidato in Puglia in seguito al passaggio dal sistema misto (retributivo e contributivo) a quello contributivo puro. Con il primo la pensione media è di 967,53 euro, con quello in vigore si arriva a un terzo: 376,87 euro». In Puglia le pensioni più base si percepiscono nel Salento e nel Foggiano. Pensioni da fame, nuove povertà all’orizzonte.
«Lo Spi Cgil Puglia auspica l’introduzione di “pensioni minime di garanzia”, interventi sui periodi figurativi a fronte di contratti a termine e precari sempre più in crescita e il riconoscimento dei lavori di cura, svolti soprattutto da donne. Il rischio è quello di far saltare il “sistema a ripartizione” che oggi è alla base del patto di solidarietà tra generazioni. Il Governo, senza giustificazione e confronto con le parti sociali ha messo le mani nelle tasche dei pensionati considerandoli alla stregua di bancomat, tagliando ben 3,7 miliardi di euro e bloccando parzialmente la rivalutazione senza prevedere reinvestimenti nel sistema pensionistico. Di tutto questo si parlerà nell’ambito del XVI congressi Spi Cgil Puglia che si terrà domani e il 17 gennaio a Bari.
Ieri intanto, c’è stato un nuovo tentativo tra governo e parti sociali per mettere mano al sistema previdenziale con una riforma organica che non si limiti a interventi tampone. Giovedì 19 è fissato un incontro al ministero del Lavoro ma la Cgil sottolinea già la necessità di andare oltre i tavoli con decine di sigle per iniziare un confronto nel merito con i soggetti veramente rappresentativi. La ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, si è detta ottimista, convinta delle necessità di razionalizzare il sistema. Per la Cgil però la legge di Bilancio ha «gettato un’ombra» sul confronto peggiorando la situazione precedente per quanto riguarda le donne e i precoci e sottraendo risorse ai pensionati con il taglio alla rivalutazione degli assegni rispetto all’inflazione.
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