Menu Chiudi

IL VIESTANO PANTANELLA, PORTO DEL CONTINENTE E DELLA CITTÀ DI VIESTE NATIVA DI OMERO

PRIMA PARTE

Della identità di quelli che “furono i Vestani assai potenti anco nel mare in quei primi tempi del mondo”, tramandato da E. Bacco che “Nel Regno di Napoli diviso in dodici Provincie” dedica un intero capitolo alla città di Vesta, non è rimasta più alcuna traccia dei due porti anticamente esistenti a Vieste ai lati dell’istmo del suo Muntarone, Montarone, toponimo derivante dalla fusione di etimi greci Mòn(uz)-taur(os)-one(m) col significato di un: “peduncolo isolato ma non distaccato dalla forma di corna di un toro possente”. Isolamento e solitarietà che si trova pure nel greco monias e monios, ionico mounios da monos con i loro simili e derivati, che porta all’essere solitario, selvaggio e al latino singularis che, stando al vocabolario greco del Rocci e alla realtà del singolare, separato, unico, isolato, quindi pure un pizzo, angolo, atlante, porta a uno specifico territorio viestano che legittima l’identità del solitario Montarone con un cinghiale e nel nostro caso con la sua isolata femmina chiamata troia da cui il nome di Iapyga Mesapia per la Puglia. Nomi che provengono dal greco Ia, latino unus, col significato di uno, unico, quindi solitario, isolato, singolare, monade troia per il Montarone. Pyga proviene dal greco pygè derivante dal sanscrito pugah con il significato di cumulo, che con un po’ di fantasia è da rapportare con una troia sempre per il Montarone. Mes, abbreviazione del greco mesos, sanscrito madhyah, con il significato di centrale, lo stesso di centro. Apia dal greco apios presenta il significato di lontano, remoto, quindi pure dell’antichità. Iapyga Mesapia in definitiva conduce a una “monade, o isolato cumulo, o troia – centro dell’antichità” che nello stesso tempo deriva sia all’omerica bassa collina, o poggio, o cumulo, per Omero tomba della molto balzante Myrina davanti alla città di Troia, ora Merino, e sia all’isolato, o solitario Montarone che come singularis Pizzomunno porta la Iapiga Mesapia da identificare come una monade troia – centro dell’antichità. Uno specifico riferimento alla viestana Troia decantata da Omero nell’Iliade e del Montarone in quanto Pizzomunno e il suo Pantanella decantato da Omero nell’Odissea e nomi poi passati, come sempre, dalla singolare Vieste all’intera Puglia. Dati di fatto che servono ad escludere l’appartenenza della Troia di Omero all’attuale Grecia che verrà fuori anche dal seguito. E’ assai verosimile che il declino di questi due remoti porti viestani sia dipeso da bradisismi negativi di cui c’è traccia nell’anno 1000 e che in quello del 1600 interessò la costa adriatica innalzatasi fino all’insabbiamento del porto di Brindisi. Cui si aggiunge il bradisismo del 1627 con le conseguenze degli effetti di un maremoto che interessò alcune città della Puglia settentrionale, del versante nord del Gargano e del Molise. Ma bradisismo che perdura tuttora per l’accertato slittamento della penisola italiana verso la Croazia. Ciò si deduce dal fatto che da dopo il 1600 non esistono più tracce di un porto viestano funzionante, trovandosi nel 1923 notizia di un porto “ora interrito” (M. Petrone) per i lavori di bonifica durati “dal 6 Settembre 1868 al 5 Giugno 1874”, resisi necessari per la putrescenza della sua poca acqua interna (A. Perrone), perché già un secolo prima, nel 1770 circa, il porto viestano chiamato per l’occasione Pantanino per il Pantanella: “aveva picciola profondità ed era incapace di contenere grandi vascelli” (V. Giuliani).

Occorre andare al 1500 per scoprire dai registri Angioini e dal Codice Diplomatico Aragonese che Vieste era un importante Arsenale e Cantiere Navale per la presenza di legnami idonei alla costruzione di navi provenienti dal Bosco e dalla Foresta Umbra, con un apposito percorso ferrato usato da carrelli che da questa Foresta conduceva direttamente a Vieste. La vita di questo cantiere si era protratta fin dai tempi più antichi se si pensa che Livio scrive che i Viestani, citati come Uriti, “inviano ben quattro navi trireme a sostegno della flotta degli alleati romani”. A ritroso nel tempo, dall’anno 1500 al 1000, troviamo importanti documenti sulla presenza di due buoni porti a Vieste, che ancora nel 1400 vantava una flotta maggiore di quella di Bari.

A fare riferimenti al porto di Vieste nel 1400 sono alcuni portolani. Di essi meritano particolare attenzione il Magliabecchi e B. Rizo i quali scrivendo di un porto con due entrate confermano che a Vieste c’erano due porti. la cui reale presenza viene dedotta dalla realtà dei luoghi, da testimonianze archeologiche tra cui la presenza di alcune bitte per legare le gomene delle navi, e da altre prove documentali del Pisani (1660-1700), del Giuliani (1770) e del Masanotti (1830). Di questi due porti, che sono gli stessi sintetizzati nel nome di Skeria, città centrale dell’Odissea di Omero, quello ubicato a levante dell’istmo del Montarone nell’ansa della ripa di <sotte u Castidde>, sotto il Castello, che soltanto in un paio di occasioni Omero identifica come una “piccola roccia grandi flutti trattiene”. Roccia bassa che partiva da sotto le fondamenta dell’Hotel Merinum, si innalzava con la più corposa roccia contenente alcune bitte che fu divelta poco più di venti anni fa (anno 2000) per fare posto all’Hotel Bikini, finendo sul fianco della collina detta “u Pitte”, il Petto, un prolungamento del Montarone. L’altro porto, il Pantanella, toponimo di origine greca che da panta-ne(a)-el(os)-la(às) indica un “tutto nave approdo rupe”, quindi una rupe completamente di nave approdo, che dall’indeuropeo sker, greco sceripto, nasce il nome dell’omerica Skeria per Vieste, era situato a ponente dell’istmo del Montarone, sul lato occidentale di Vieste, ed era accessibile con i venti rovinosi di scirocco levante dai quali era ulteriormente riparato dai due sporgenti corni marini del Montarone, All’interno del Pantanella tuttora scorre un canale d’acqua buona di origine carsica chiamato Canale della Chiatà, o della Biatà, che origina dalla collina di Costa Martine (Martino), che dal gr. martys è un testimonio (per ricordare), che precisamente sgorga ai piedi di Coppa Cardille (Cardillo), che dal greco cardias, indica un cuore, o un orifizio, dal quale sgorga tuttora questo canale. Canale della Chiatà che viene dal greco cyathos indicante una coppa per attingere acqua, che difatti avveniva con gli acquaioli che la prelevavano dall’adiacente Pozzo della Chiatà, sul quale bisogna immaginare l’omerico Podalirio che forniva gratuitamente la sua acqua e che per ricompensa qualcuno gettava volontariamente qualche monetina in una fessura della roccia adiacente questo pozzo, sulla quale venne poi costruita una minuscola chiesetta, originariamente detta della Chiatà, o della Biatà, ora diventata Chiesa della Pietà, ma soltanto per buona eufonia. Il letto di questa corrente diventata storicamente e poeticamente famosa, ora canalizzata in tubazioni sotterrate sotto Via Pertini negli anni 1980 e in seguito sotto le sue aree a monte e negli anni 1970 sotto Via della Repubblica, ma canale sfociante tuttora nel mare all’angolo del molo turistico. Canale che da qualche tempo veniva utilizzato per l’entrata e l’uscita da e per il mare delle imbarcazioni, equivalente al greco òuròs, da cui Uria per Vieste. L’accesso al porto del Pantanella era ristretto dal prolungamento di due scogliere basse e piatte formate sul suo lato orientale dalla Chianghe de l’Onne, che sta per una “roccia levigata dalle onde marine” che si infrangevano su di essa. Chianghe de l’Onne che parte dalla fiancata delle collina del Carmine, toponimo che dal greco e latino carme ricorda la realizzazione in versi dei poemi di Omero che li fa cantare da tre cantori muniti di cetra: Demodoco in Scheria, Femio in Itaca e il terzo anonimo in Argo, città che come si vedrà sono nomi inventati da Omero sempre per Vieste. Su questa Chianghe de l’Onne è stato ultimamente eretta un’antenna satellitare e il dislivello tra questo poggio e l’antico piano del Pantanella è stato ancora ridotto da un ulteriore riempimento per la creazione di un giardino pubblico completato nel 2022. Dal lato occidentale dell’entrata del Pantanella c’era la punta un po’ più arretrata della prima, ricordata nel 1760 dal Giuliani come la Chianghe de l’Orne, una prominenza che partiva dal piede interno della collina della Chiesiola adiacente il Pantanella. La Chianghe de l’Orne è stata divelta nella parte più significativa negli anni 1980 e in altra parte nell’anno 2010 per far posto a due fabbricati. Contro queste due contrapposte basse protuberanze si infrangevano le onde rendendo l’entrata nel Pantanella difficile e tortuosa ricordata dallo storico P. Mela che, citando il Monte Gargano, scrive: “vi è un seno cinto dalla continuità della costa Appula, di nome Uria, piccolo di spazio e con l’entrata difficoltosa” ma che in compenso rendevano calme e sicure le acque interne del Pantanella, alimentate e rese meno salate da una grande polla sorgentifera di acqua buona detta “Canale della Chiatà” adiacente il Pozzo della Chiatà dal quale si estraeva l’acqua da bere attinta da acquaiole per provviste di casa e venduta in città da acquaioli fino alla entrata in vigore dell’Acquedotto Pugliese alla fine degli anni 1940.

Il citato portolano Magliabecchi nel 1420 scrive: “lisola (bestia) e buon surgitoio e puoi entrare da ponente (e daleuante e puoi stare a anchora e prodese alli pali)”. Quindi i porti sono due, uno a ponente e l’altro a levante dell’isolato Montarone col nome di isola Bestia per Vieste.

Il portolano Rizo nel 1490 scrive: “Bestie e cita e sia per tramontana do ixole che li fa porto. la sua intrada si e di leuante e perche la bocha da ponente e pizola et iui per esserui picol fondi usa grandissima chorente de aque pero darai li prodexi in terra ale ixole e le anchore in fondi verso la terra”. L’entrata da levante (orientale) sottintende l’omerico porto che “piccola roccia grandi flutti trattiene”, mentre la piccola bocca di ponente (occidentale) e con l’uso per l’entrata e l’uscita delle navi di poppa sulla grande corrente d’acqua del Pantanella, un particolare percorso navale che si trova nel significato del greco òuròs da cui Uria per Vieste. Le due isole che li fa porto sono da riferirsi ai due porti (li fa) generati dalla continuità delle rupi dei due corni del Montarone presente nel greco skeros, altra possibile origine dell’omerica Skeria per Vieste. Oppure l’isolato Montarone, sul quale in effetti sorge il centro storico della città di Bestia, con l’annesso Scoglio.

Altri documenti storici e avvenimenti reali, che per evitare prolungamenti non si citano, rivelano che il mitico principale porto del Pantanella ebbe nomi diversi con i quali spesso si identificò pure la città, tra i quali Uria per Vieste, dalla quale passarono tutti gli antichi popoli italici ed europei che dopo lo sbarco amarono farsi discendere per le valide ragioni che emergeranno.

Dal Codice Diplomatico del Monastero Benedettino di S. Maria di Tremiti si scopre che: “nel 1155 la Chiesa di S. Lorenzo è fondata sulla punta medesima sopra il porto Aviane, che si trova dalla parte dove si vede la punta della chiesa rupestre di S. Eugenia (Petrucci)”. Il nome Aviane dal greco auò-anò (da anièmi) diventa il porto dell’emissione di un grido alto, che avviene con il nome Italia gridato per prima da giovani immigrati (Virgilio), come pure dell’ave mattiniero gridato da una sentinella viestana allo sbarco degli invasori Lidi di cui si dirà in seguito.

Il viestano G. Pisani nel 1660 scrive: “prima li Saraceni nell’anno 914, entrando in Italia et sconfitti da Papa Giovanni X, se restrinsero in detta falda di monte et città di Viesti et fortificati ivi se fermarono per grandissimo tempo con danneggiare il Regno“. E’ possibile individuare questa falda, o fessura, con il Pantanella con quanto tramandato dal Sarnelli quando scrive: “nel 920 Papa Giovanni X creò re d’Italia Ugone Conte di Orliens, il quale per prima bruciò le navi dei Saraceni nel Porto Matino”, rivelando che i Saraceni usarono il porto di Vieste: figlia del Mattino, o dell’appena citato ave mattiniero da cui il Porto Matino per il Pantanella e con il Montarone usato come loro roccaforte fino al 964, anno della cacciata dei Saraceni dal Gargano.

Plinio (1° sec. d.C.), che annotava in ordine alfabetico i nomi di cui veniva a conoscenza nei suoi viaggi, quando cita i popoli Dauni scrive: “di qui l’Apulia dei Dauni, dal nome del duce suocero di Diomede, in cui la città di Salapia ..: Siponto Uria .., Porto Aggasus, la punta del Monte Gargano, che dista 234 miglia dal Salento o Japigo, comprendendo in questa distanza il periplo del Gargano, il porto Garnae, il lago Pantano”. Ilporto Aggasus punta del Monte Gargano, il porto Garnae e il lago Pantano sono sempre il Pantanella, poiché il greco aggos di aggasus indica tanti significati che sarebbero tutti da evidenziare perché oggetti reali della storia di questo porto, tra i quali: un recipiente d’ogni genere, come pure un utero, che difatti emette urina, che è lo stesso di acqua da cui pure il nome Uria, questa volta dal greco oureò, ma che è pure l’organo che matura ovuli che una volta fecondati danno origine alla nuova vita di popoli. Ne è prova il nome Ourion citato da Strabone per Vieste con il significato di uovo infecondo che, una volta fecondato, da origine a tutto lo scibile umano. Nella fattispecie il Montarone con l’originario nome di Estia che con il significato di focolare, dimora, famiglia e di altare, sacrario, santuario come pure di mezzo, centro, la fa diventare il focolare dell’altare posto al centro della terra, quindi una remota metropoli, identità data da Omero per Scheria come capitale del Continente Apeira, dovuta alla remota funzione di Vieste come casa comune e di sacrario, santuario e altare, che da Istia, da isthemi, diventa un sisto, un unico punto che è lo stesso di pizzo, di atlante, di angolo, o di punto di riferimento del singolare porto di approdo, marittimo a cominciare dall’omerico Ellesponto. Estia è sorella di Zeus che come il loro fratello Poseidone, che forgia l’attuale Montarone con il nome di Skeria, venivano raffigurati con le corna, ma unicamente per la loro potenza. Zeus, lo stesso di Dieus, è una divinità di origine indeuropea rappresentante il cielo luminoso ed è figlio come tutti gli altri fratelli di Crono, il Tempo, e di Rea, la Grande Madre, i quali generano Estia, poi romana Vesta e ora Vieste; Demetra, dea della Terra è presente come damatira in una iscrizione su pietra viestana indicata come Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva; Era, sorella, sposa e miticamente madre di Zeus; Plutone sostituisce Ade citato da Omero come dio degli Inferi e dei morti, in riferimento al Regno dei Morti di Omero la cui esistenza a Vieste si dirà fra poco; Zeus ed infine Poseidone. Zeus, dio del cielo luminoso che fa da moderatore nelle sorti di Troia, sposa sua sorella Era, la Signora, più determinata contro i Troiani, ma che insieme decidevano l’andamento della guerra di Troia da sopra il monte Ida: luminoso selvoso, sede dei loro amorosi incontri nella Troade, quindi viestana. Luminosità poi passata al Gargano, che da gar-ganos o da gar-ganoò è per davvero luminoso, ora identificato come Montagna del Sole, alla estremità meridionale della Troade c’era il Gargaron, il Montarone per davvero gorgogliante, nome derivante dai gargarismi che tuttora avvengono nei gargarozzi, o gole, o ugole delle correnti carsiche che emettendo il classico suono e scorrono sugli storici litorali viestani. A sua volta il padre dei predetti Dèi, Crono, il Tempo, è figlio di Urano, il Cielo, e di Gea, la Terra, tuttora presente nel toponimo viestano “la Gioia”, il loro figlio Zeus si trova pure nella voce greca O’ròs da cui oros che come confine, limite, termine, equivale al pizzo di Pizzomunno, alla singolarità del Montarone e all’atlante di Atlantide, anche perché venendo definito come Zeus Acreo significa Zeus delle Cime, in origine in riferimento anche alle punte dei promontori marini a partire dai corni del Montarone. A questi significati di aggos si aggiunge quello di urna funeraria, che difatti lo diventa per Vieste, oltreché per i significati di Estia anche perché tomba di Diomede, del capo degli Argonauti Giasone, di Vesta e altri, tutti seppelliti sullo Scoglio. Ma soprattutto perché vicino a Vieste c’è tuttora il poggio, o cumulo, o urna funeraria, destinata a tomba della molto balzante Myrina che Omero situa davanti alla città di Troia, ora sprofondata Merino. Tant’è vero che per passaparola tutti gliemigranti indeuropei sbarcati nel Pantanella presero i loro nomi tutti popoli Italici. A cominciare dagli Umbri (gr. Ombricoi, dal verbo gr. ombreò: orino: emetto acqua) sinonimi di Uriatini (dal gr. oureò: emetto orina, cioè acqua), nomi originati dallo scorrere delle storiche correnti viestane, e finire con i popoli europei col nome di Celtici, nome originato dalla cella, luogo semichiuso del porto del Pantanella presente in aggos di Aggasus. Ma ancora meglio se fatti provenire dal verbo greco cellò indicante un approdo dal cui equivalente indeuropeo sker nasce l’omerica Skeria per Vieste. Anche perché il porto del Pantanella è formato, come l’altro orientale, dalla continuità delle rupi del Montarone presente nel greco skeros, altra possibile origine di Skeria. Il finale gr. ticto, da cui tico: origino, dò origine: sta per l’origine dei nomi di tutti i popoli indeuropei approdati nel Pantanella che alla loro ripartenza prendevano la loro nuova identità dalla singolarità del Montarone in quanto Pizzomunno, mondo che nell’identità di Continente Apeira ha come capitale la Skeria, città che è analogamente situata sul mare all’estremo del mondo da Omero. Il Porto Garnae si riferisce al Pantanella poiché dal greco gar-nae indica: perché, o per davvero, navale. Il lago Pantano è da riferirsi in primo luogo al Pantanella, chiamato in una rivista di architettura Lago della Vittoria, qualifica originata dall’adiacente grotta di (S.) Nicola, che dal greco nike-laàs è vittoria rupe, quindi Rupe della Vittoria che ultimamente e come da sempre è avvenuto, santificata come chiesa di (S.) Nicola di Mira. E in via secondaria al Lago Pantano (V. Giuliani) noto ai Viestani poiché esisteva in prossimità di Merino dove tuttora c’è il toponimo Pantano, sul quale emerge la bassa collina detta in viestano “u Munduncidde”, indicante un poggio, o un cumulo, presente in pyga di Iapiga, che Omero tramanda come tomba della molto balzante Myrina e che tuttora funge da altare di (S.) Maria di Merino, poco distante “u Muntincidde”, il Montincello, che è lo stesso della Bellacollina di Omero, che si trova nel Piano Grande, da intendersi come Antico, o Greco,a fianco del Canale della Macchia, che dal greco make è battaglia, luogo di battaglia, canale che è da identificare con l’omerico Scamandro sul quale si è combattuta l’ultima battaglia contro Troia, la sepolta Merino.

        Lo scrupoloso poeta e storico Virgilio del porto di approdo dell’omerico Enea scrive di: “un porto che si curva ad arco verso l’onda orientale (il concavo Pantanella aperto verso l’oriente), con gli scogli avanzanti (i corni del Montarone!) che grondano spuma e spruzzi salmastri (lat. aestus di cui si dirà), ma esso è al riparo (per la presenza delle due Chianghe): in doppio bastione allungano i bracci le rupi turrite (i corni del Montarone con le falesie delle sue Ripe!) e il tempio (l’attuale Cattedrale!), dedicato a Minerva, arretra da riva comparendo sulla vetta (del Montarone!)”. Le greche dèe Estia o Istia e le romane Vesta e Minerva si sincretizzano, cioè diventano un’unica divinità, per la loro comune perenne verginità.

Il Montarone, il Pantanella e il Canale della Chiatà compaiono nella storia dei Lidi (Erodoto 1.94; Plinio) che dal greco Ludios il Rocci indica una loro provenienza dalla Lidia, regione dell’Asia, ma che come ludopatès diventano un popolo molle, di timorosi, che si orinano addosso pervenuto, per pura ilarità da ludopatici, dalle numerose correnti che scorrono sui litorali viestani a fianco del Montarone. Lidi che da ludiòn diventano anche degli istrioni, per la sfrontata resistenza del Montarone ai flutti del mare, poi un difetto derivante dall’urinare acqua degli Uriatini, o Umbri, che una volta durante l’arrivo di nuovi naufraghi si videro cambiare il nome di Thuria, città rifondata dagli sbarcati popoli asiatici che in seguito presero il nome di Thurii. Città di Vieste che dall’indeuropeo thura di Thuria si identifica come Porta per la remota funzione di porto di approdo del Pantanella e del Montarone in quanto Pizzomunno, e nome di Thuria cambiato con Caere per il saluto “Caire (gr. cairios)” dato di primo mattino, di cui Vieste è figlia, da una sentinella viestana agli invasori Lidi,poi Etruschi autori della presunta cacciata degli Umbri (Strabone, Italia VI.3,6) dal Gargano. Popolo dell’Etruria che prende il nome dal trovarsi dall’altra parte, dal restante territorio di Uria che va esteso fino alla Liguria. Caere, città etrusca mai prima identificata, detta pure Agylla: via maestra, che è lo stesso del sentiero, o braccio del vasto e forte mare chiamato Ellesponto da Omero; del passaggio stretto del Laurento di Plinio e nome tuttora esistente nella punta di (S.) Lorenzo e nell’iscrizione su pietra viestana in lingua greca arcaica Lauren si avinas poi raccolta in Laurensianus; dello Stretto Ionico oltre il quale c’è il Golfo Adriatico di Polibio; della via senza via di Virgilio; della via luminosa di Iria, altro nome di Vieste, città dalla quale tutte queste vie avevano origine per il suo Pantanella. Sta di fatto che per Strabone “Caere è una città che si trova su una rupe marinara (il marinaro Montarone già all’origine di Adria (Strabone) da cui il Golfo Adriatico che originava da Vieste – Omero; Tolomeo) con concavi colli che chiudono in cerchio (le colline che circondano il Pantanella) il gelido fiume (il Canale della Chiatà) di Cere (altro nome di Vieste) con nere abetine” (pioppi appaiono nel porto viestano dei Ciclopi di Omero). Canale della Chiatà che miticamente appare a volte gelido e altre volte caldo, come nel caso della sorgente calda del viestano Timavo di Strabone e di Plinio. Caere, per la mattiniera Vieste, è una città restia alla pirateria, opulenta, molto potente e famosa per la sua giustizia (Virgilio. VIII, 797) codificata nelle Tavole Ceretane, ed è una città che ha avuto una parte determinante nella fondazione di Roma. Città che col significato di forte presente nel greco rome, di fatto prende concretamente il suo nome dal potente Montarone e dalla forza del greco fes e ves di Vesta, come è avvenuto per la forte Adria (gr. adros) e per l’infaticabile Atlantide (gr. a-tlenai), la cui identità col Montarone viene pure confortata dalla sinonimia di atlante con pizzo di Pizzomunno. Miticamente Roma nasce dalla discendenza del figlio di Enea, Iulo, da Ilio, altro nome omerico di Troia, da cui la Gente Giulia per i Romani, e indirettamente da Diomede perché suocero di Dauno, personificazione della sposa dormiente qual’era la greca vergine Oria, che significa confine, estremità per il Pizzomunno in quanto Montarone questa volta in versione femminile. Il figlio di Dauno, Turno, ha come discendente Latino, da cui il nome di Latini per i Romani. Questo significa che la loro tuttora introvabile madrepatria città di Albalonga: alba lontana, detta pure Alba Iulia (troiana, quindi viestana) sia la stessa città fondata dai Romani con il nome di Alba Adriatica che è lo stesso di Alba Ionica, in sostituzione dell’impronunciabile, pena di morte, nome di Vesta, ora Vieste, città figlia dell’Alba lontana che si vede nasce dal lontano orizzonte del mare e città di divisione del Golfo Adriatico e il Mare Ionio, da cui pure il porto Matino per il Pantanella. Gli Uriatini, o Umbri, o Thurii poi Lidi nella loro partecipazione ad alcune guerre puniche da codardi e istrioni, in quanto ludopatici, fu la causa della scomparsa della lasciva Uria per volere degli dèi, che parte dalla scomparsa della Troia di Omero pure per volontà degli dèi; con identica modalità dovuta a un diluvio di nove giorni e per il tempo di un giorno e una notte che avviene per lo sprofondamento di Troia e poi passato vanamente all’introvabile Continente Atlantide.

seconda parte

Sulle sorgenti che nello stesso tempo diventano fredde e calde, c’è la spiegazione nella fantasia di Omero (Il, XXII, 146) quando racconta le origini del fiume Scamandro, ora Canale della Macchia che dal greco make indica un luogo di battaglia, scrivendo: “e giunsero alle due belle fontane; sgorgano qui le sorgenti del vorticoso Scamandro: una scorre acqua calda e fumo all’intorno sale da essa, come di fuoco avvampante; l’altra anche d’estate scorre pari alla grandine o al ghiaccio o anche alla gelida neve“. Dell’infaticabile Atlantide, della cui identità col possente Montarone anche in quanto Pizzomunno che da pizzo è sinonimo di atlante, Platone scrive: “il medesimo Poseidone, da cui discendevano direttamente i suoi abitanti (Feaci!), adornò l’isola centrale (la creazione della falesia del Montarone con un colpo di tridente di Poseidone secondo Omero), in cui abbondavano frutti(da cui il nome Italia: isola lussureggiante) e metalli, facendovi scorrere due fonti, una calda e l’altra fredda“. L’isola centrale, presente in mes di Mesapia, è quella abitata dagli omerici Feaci città di Skeria edificata dal figlio di Poseidone, Nausitòo, e poi forgiata in diverse fasi narrate da Omero dallo stesso Poseidone come ora si presenta il Montarone, e città da Omero indicata come Capitale del Continente Apeira, aperta, definito luogo non identificabile, ma certificata dallo scrivente perché di significato analogo all’Europa: vasta vista, che è presente nell’A-pulia; senza porta, derivante dall’isolato Montarone e poi dai Viestani come Uri Aperti del Gargano di Catullo (epigramma XXXVI,13).

Omero (900 a. C.,??) di Skeria, oltre a scrivere che i suoi abitanti Feaci, nome derivante dalla luminosità (gr. fai da faò) dei corni (gr. acis) del Montarone, per bocca di Nausica aggiunge: “viviamo isolati (non isolani) in mezzo al mare grandi flutti all’estremo del mondo” (il primo diretto riferimento storico e poetico del Montarone come Pizzomunno!) “Ma come in vista della città arriveremo – un muro alto, e bello ai lati della città s’apre un porto, ma stretta è l’entrata (i due porti ai fianchi del Montarone con uno specifico riferimento all’entrata stretta del Pantanella e all’istmo del Montarone!)” e che: “Guardava ammirato Odisseo i porti, le navi equilibrate, le lunghe mura, eccelse, munite di palizzata, meraviglia a vederle”. I resti di queste mura fatte di pietra squadrata alte palmi 10, larghe palmi 4 e alte (di spessore!) palmi 2 sono emersi nel 1600 dopo intense piogge (G. Pisani); con il ritrovamento di una palizzata e di una porta nel 1760 (V.Giuliani); nel 1800 per lo scavo di una vigna (T. Masanotti); negli anni 1980 per lo scavo delle fondamenta della Pensione S. Giorgio e nell’anno 2000 per lo scavo delle fondamenta dovuto all’ampliamento dell’Hotel Mediterraneo al cui fianco sono tuttora depositate.

Omero del porto dell’isola Trinachia: dalle tre punte, come lo è il Montarone se ai due corni si aggiunge la punta meno pronunciata di sotto la Ripe (le omeriche Rupi Ghirèe, cui seguono le Rupi Erranti dette da Omero plagctas che con il significato di instabile, vagante, cozzante vanno identificate con le Murge Scuffelète, Rocce Instabili, o Erranti, se guardate alla loro base col mare quasi calmo. Dell’isola di Trinachia detta pure Isola delle Vacche del Sole, Omero scrive di un “porto traboccato d’acqua dolce”, anonima ma ora identificata, “e di una grotta nella quale Odisseo e compagni trascinano la loro nave”. L’isola di Trinachia non è l’isola Trinacria: dai tre angoli, ora identificata erroneamente con la Sicilia, che però viene citata da Omero con questo nome.

Omero del porto dei Lestrigoni, abitanti sulla rocca di Lamo nella città di Telepulos: lontana porta che, come per Albalonga, è da identificare con il Montarone in quanto lontana Porta della Terra, o di Gea presente nel subito successivo toponimo la Gioia, poiché il poeta aggiunge: “Qui, come entrammo nel bel porto, che roccia inaccessibile cinge, ininterrotta da una parte e dall’altra (gr. skeros di skeria), e due promontori sporgenti (i corni del Montarone!), correndosi incontro sulla bocca s’avanzano (l’istmo del Montarone che sta all’origine dalla bocca del Pantanella!), stretta è l’entrata (il Pantanella!); qui, dunque, gli altri tutti spinsero dentro le navi ben manovrabili (greco òuròs da cui Uria) e quelle nel porto profondo stavan legate vicine, che mai si gonfiava flutto là dentro, né grande né piccolo, ma v’era candida bonaccia (per la presenza delle due Chianghe del Pantanella)”. Nel seguito all’interno di questo porto appare una polla sorgentifera che Omero chiama Artachia alla quale si reca la figlia di Antifate per attingere acqua e che per sua protezione i Lestrigoni, rotolando a valle insieme con pesanti pietre arrotondate distruggono le navi e uccidono buona parte dei compagni di Odisseo, fatta eccezione della sua nave e dei membri del suo equipaggio. Un episodio che forse ha tratto ispirazione dall’esistenza di massi di forma ovoidale presenti fino agli anni 1980 sulla collina della Chiesiola, adiacente il Pantanella e poi andati distrutti poiché quel tratto di strada vicinale, in realtà una vera mulattiera, venne sventrata per dare una più giusta pendenza alla strada comunale, ora via Saragat.

Omero del porto dell’isola dei Ciclopi scrive: “qui all’estrema punta una grotta vedemmo, sul mare (..) qui un uomo aveva tana, un mostro, che greggi pasceva”, (grotta di (S.) Nicola che ancora nel 1600 era situata adiacente il mare e che tuttora si trova sulla Chianghe de L’Orne all’entrata del Pantanella). Omero aggiunge: “a questo porto arrivammo” e di “un’isola piatta davanti al porto si stende (le Chianghe che chiudevano il Pantanella lasciando lo spazio per la fuoriuscita del canale e per l’entrata e l’uscita delle navi)”. Omero precisa: <c’è un porto comodo, dove non c’è bisogno di fune, o di gettar l’ancora o di legare le gomene, ma basta approdare e restare a piacere, fino a che l’animo dei marinai non fa fretta o non spirino i venti (lo stesso del porto dei Lèstrigoni). In capo al porto scorre acqua limpida, una sorgente sotto le grotte: pioppi crescono intorno (le nere abetine di Cere di Strabone)”. Odisseo e compagni non entrano con la nave, preferendo attraccarla al suo esterno poiché si recano a piedi nella grotta di (S.) Nicola nella quale accecano Polifemo, figlio di Poseidone. Da questo evento Ulisse: ferito, prende il nome di Odisseo: odiato, tanto da passare tutti i mali generati dal vendicativo Poseidone durante il suo esilio di dieci lunghi anni prima del ritorno a Itaca.

Omero, dopo avere scritto che il porto dell’isola di Itaca è sacro al signore del mare, Forchi, la cui presenza a Vieste è testimoniata dagli scogli sottomarini detti <i Forchi>, ora italianizzati in Forti, situati sott’acqua a sei miglia a nord di Vieste, e dopo avere citato questo porto col nome Reitro che dal greco reithron è: munito di canale, o alveo, o letto (di fiumicello); uno specifico riferimento al Canale della Chiatà e al porto del Pantanella da identificare come porto di riposo di navi per le sue quiete acque interne). Omero aggiunge: “due punte s’avanzano e sporgendo a picco proteggono la baia (le due Chianghe davanti il Pantanella, o i corni del Montarone!), chiudendo fuori l’onde immani dei venti violenti e dentro senza ormeggio rimangono le navi buoni scalmi, quando alla fonda sian giunte (lo stesso del porto dei Lestrìgoni e dei Ciclopi, quindi il Pantanella). In capo alla baia c’è un ulivo frondoso, e li vicino un antro amabile (la grotta di (S.) Nicola), oscuro, sacro alle ninfe che si chiamano Naiadi (.) e vi sono acque perenni”, quelle della fonte che per esigenze poetiche Omero chiama Aretusa. A conforto dell’identita del porto di Itaca con il Pantanella c’è che oltre che dalla sede di Circe (la viestana Catharel – ora Gattarella!) dalla quale Odisseo si reca con la nave al Regno dei Morti per avere la certezza del suo ritorno a casa, da Itaca Odisseo, prima di incontrare il padre Laerte, si reca a piedi allo stesso Regno dei Morti, destinato a Plutone noto ad Omero unicamente col nome di Ade, dio degli Inferi e dei morti, che è la Necropoli della Salata vicino Merino. Ne sono testimoni le tre ora anonime sorgenti, che Omero elenca, ora in ordine di origine: Stige, Cocìto, Piriflegetonte che fondendosi danno origine alla finale corrente detta Acheronte che tuttora sfocia nel mare di Scialmarino vicino a Vieste.

Premesso che il possente Montarone è sinonimo dell’infaticabile Atlantide che come atlante è sinonimo di pizzo di Pizzomunno, Platone del porto di Atlantide scrive: “Quel pelago allora era navigabile, da poi che un’isola aveva innanzi alla bocca (le due Chianghe, o lo Scoglio o l’isolato Montarone!), la quale chiamate Colonne d’Ercole (i corni del Montarone) ed era l’isola più grande che la Libia e l’Asia insieme(l’omerico Continente Apeira: aperta, equivalente di Europa: vasta vista)… donde era passaggio alle altre isole (adriatiche!) … a quelli che viaggiavano di quel tempo, e dalle isole a tutto il continente che è a dirimpetto (l’omerica Tracia con la frontale Illyria che dal greco Ill(e)-Yria significa di “fronte a Yria” che la fa diventare una regione di fronte a Vieste), che inghirlanda quel vero mare (l’Oceano di Omero, l’attuale intero Adriatico!). E per fermo (Vieste che con il nome greco di Estia, o Istia, da istemi è fondamento, statua, sisto, come pure atlante, telamone, porta, porto, passaggio, sentiero, isola centrale e punto fermo che in ogni caso è da identificare con il Montarone in quanto Pizzomunno!) quel tanto mare che è dentro alla bocca della quale favelliamo (il Golfo Adriatico!) è un porto dall’entrata stretta a vedere (il Pantanella); ma quell’altro assai propriamente dire si può vero mare (il mare Ionio!).La divisione di questi due mari a Vieste, oltre che da Omero che, per bocca di Alcinoo re dei Feaci e padre di Nausicaa, scrive di un naufrago (Odisseo) che non si sa se provenisse dalle genti esperion (occidentali) o dalle genti eonion (orientali), divisione che appare codificata dal matematico Tolomeo (Geografia) che nel 7° sec. a.C. scrive: “nel mare Ionio Salapia, Siponto, Apeneste 42,50,40, (le coordinate geografiche della estremità longitudinale del triangolare Gargano), Monte Gargano 42,20,41 (le coordinate geografiche alla base del triangolare Gargano) e adiacente il mare Adriatico, Hyrium”. Questo significa che Apeneste: estremità orientale del Gargano, e Hyrium adiacente il mare Adriatico sono sempre Vieste. Platone continua: “Ora, in cotesta isola Atlantide venne su possanza di cotali re, grande e meravigliosa, che signoreggiavano in tutta l’isola (Vieste in quanto Skeria, e vertice del triangolare Monte Gargano tuttora ricordato come un’isola; il vertice della triangolare isola Italia di Plinio cui si aggiunge il vertice dell’Europa ritenuta, con qualche dubbio, un’isola da Erodoto, il primo a citare il nome Europa!) e in molte altre isole e parti del continente (Apeira, aperta, ora Europa, vasta vista!); e di qua dallo stretto (l’Ellesponto di Omero e tutte le vie già precedentemente considerate cui aggiungere la via maestra di Agylla)) tenevano imperio sovra la Libia infino a Egitto, e sovra l’Europa infino a Tirrenia, fino alle regioni del mare Tirreno. Nome che nasce pure da Vieste in quanto thura: Porta, della Gran Madre Terra presente nel toponimo la Gioia e in una iscrizione in lingua greca arcaica su pietra interpretata dal Petrone come “Porta della Gran Madre Terra. Acqua sorgiva”. Da questa porta, o thura, hanno origine i Thurreni (Tirreni), il mar Tirreno, la Tiro (aramaico turah) del profeta Ezechiele cui si aggiunge Seneca che nelle sue Consolazioni (alla Madre Elvia) riferisce che da Uria passarono tutti i popoli italici ed europei tra i quali pure gli Spagnoli.

In riferimento a Vieste come Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva. che è lo stesso di città Pizzomunno con le sue correnti e che come territorio avente la funzione di unità di luogo, di tempo e di azione dei poemi di Omero, il profeta Ezechiele, della perduta remota gloria di Vieste già ricordata sinteticamente da E. Bacco, scrive: “I prìncipi tutti del mare scenderanno dai loro troni, deporranno i loro manti e si spoglieranno delle loro vesti ricamate; si vestiranno a lutto, siederanno in terra, tremeranno di continuo e saran costernati per la tua caduta. E su di te leveranno questo lamento: Come mai sei distrutta e sparita dai mari, tu, città famosa, che sul mare eri sì potente, coi tuoi navigatori, che incutevano spavento a quanti abitavano sul continente (…) Ti renderò oggetto di spavento, e non esisterai più:si faranno ricerche di te ma né ora né poi non sarai più trovata (una vera falsità!), assicura il Signore Dio” (…) “Figlio d’uomo, poiché Tiro (turah: il Montarone in quanto Pizzomunno nell’identità di Porta!) ha detto con scherno di Gerusalemme: <Ah, ah! è infranta la porta dei popoli (Vieste)! E’ passata a me; io ne sono arricchita; e quella è deserta!>. Perciò, così parla il Signore Dio: Eccomi contro di te, o Tiro: farò avanzare contro di te genti numerose, come il mare fa salire i suoi flutti: distruggeranno le mura di Tiro, e abbatteranno le sue torri: spazzerò via anche le sue macerie, e la renderò un arido scoglio (il Montarone, o lo Scoglio!). Ella sarà, in mezzo al mare, una baia da stendervi le reti (il Pantanella). Perché io ho deciso, dice il Signore Dio: Tiro sarà preda dei popoli (Vieste, città di passaggio di tutti i popoli Italici e Celtici ivi compresi gli Spagnoli!). Le sue città dipendenti, che stanno sulla terra ferma, periranno di spada..(..)..Farò cessare le tue armoniose canzoni, nè s’udrà più il suono delle tue cetre (i poemi di Omero cantati con le cetre da tre cantori);(26) “O tu che siedi sulla riva del mare (il Montarone), e facevi damediatrice dei popoli sparsi nelle numerosissime isole (croate, o adriatiche!), così parla il Signore Dio: Tiro, tu hai detto: Io son nave di perfetta bellezza! (il Montarone, o lo Scoglio da identificare come una un’Arca!) I tuoi domini si estendono in alto mare! I tuoi costruttori ti hanno fatta di bellezza meravigliosa (indubbiamente Vieste). Coi cipressi dell’Ermon costruirono tutto il duplice scafo (Il Montarone come la nave degli omerici Argonauti costruita in duplice scafo. O lo Scoglio in quanto nave in duplice scafo degli Argonauti!)prepararono i tuoi remi con le quercia del Basan. Costruirono la tolda d’avorio (il bianco calcareo delle falesie del Montarone)incastonato nel cedro delle isole dei Cittei (gr. cytos: brocca, o carena, o circuito che portano al cyathos della Chiatà nel Pantanella e da cui i Cittei, poi Pugliesi e Italiani!)” (27) La città simile ad una nave di colore ganoino (la rupe marinara del calcareo Montarone. O lo Scoglio). “In alto mare (all’estremità del Gargano), tu fosti condotta dai tuoi rematori. Il vento orientale (cui è esposta Vieste: figlia dell’Oriente, e i suoi due porti) ti travolse negli abissi marini (il Montarone che sprofonda orizzontalmente nel mare!); “Ecco che io dal settentrione guido contro Tiro Nabucodonosor, il re di Babilonia, il re dei re, con cavalli, con carri e cavalieri e gran numero di armati (26) io faccio venire contro di te genti straniere, le più feroci tra i popoli. Essi colpiranno con la spada le bellezze della tua sapienza e oscureranno il tuo splendore (.) Tu eri il tipo della perfezione, ripieno di sapienza, e di bellezza meravigliosa: abitavi nell’Eden, giardino di Dio (il paradisiaco territorio viestano) (.) Ti stabilii quale cherubino protettore (il Montarone come Monte dell’Angelo), ti posi sul monte santo di Dio (l’omerico monte Ida, il Monte Sancto Angniolo, il Monte Agniolo, il Monte Sacro del Gargano!) (28) tutti gli uomini del mare scenderanno a terra (.) e grideranno amaramente; si getteranno polvere sulle loro teste, si voltoleranno nella cenere. Per te si raderanno i capelli e vestiranno il sacco (.) e faran di te questi lamenti: Chi era come Tiro, divenuta ora muta in mezzo al mare? (l’isolato Montarone in quanto Porta della Gran Madre Terra, o Pizzomunno) (28) I popoli che ti conobbero, rimangono stupiti della tua scomparsa (Vieste come la scomparsa Troia e Uria!). Sei divenuto oggetto di terrore, e per te è finita per sempre”.

A tutto questo va precisato che quando Platone di Atlantide scrive: “un’isola aveva innanzi alla bocca, la quale chiamate Colonne d’Ercole” fa unriferimento al monumentale isolato e cornuto Montarone in quanto Pizzomunno poichésulla presenza in Adriatico delle Colonne d’Ercolec’è pure la testimonianza di Dicearco (347-285 a.C.) che scrive: “dal Peloponneso è piùlontanala fine dell’Adriatico di quanto non lo siano le colonne d’Eracle. Da capo Malea alle colonne vi sono 10.000 stadi”. A questo proposito va aggiunto che Il mito delle Colonne d’Ercole, ora erroneamente identificate con lo Stretto di Gibilterra oltre il quale c’è l’Oceano Atlantico, sinonimo di Adriatico, nel quale vanamente si cerca tuttora lo scomparso continente Atlantide, in realtà parte da Omero quando scrive di un bastione di pietra al quale si attacca Eracle per salvarsi. Bastione che va identificato con il monolite viestano detto “u Puzmume”, che dal greco pougx-momos indica un bastione di pietra simbolo di punizione, al quale si attacca pure Odisseo per salvarsi dall’ultima ondata di Poseidone, che poi lo vomita sul fianco di Skeria (Vieste) allo scopo di ammonire i Feaci, accompagnatori di Odisseo a Itaca, a non accompagnare più nessuno.

Analogo trasloco è avvenuto per l’Ellesponto di Omero che da molti secoli è erroneamente e presuntuosamente stato situato sul Bosforo, un canale marittimo stretto tra due terre chiamato pure Stretto dei Dardanelli, da Dardania, nome dell’antica Troia, distrutta da Eracle per una questione di commercio di cavalli raccontata da Omero. Al contrario, pontos letteralmente significa un sentiero del vasto e forte mare, o un braccio del vasto mare che secondo Omero, l’indispettito Achille, partendo dalla spiaggia troiana (ora Scialmarino) avrebbe ripercorso con tre giorni di navigazione nel pescoso Ellesponto, andando verso l’Aurora (Oriente) per tornare in patria a Ftia, una città della Tracia i cui abitanti, alleati dei Troiani, “Traci chiudevano l’Ellesponto (Iliade. II, 844). Da elles derivano gli Elleni guidati da Achille che poi diventano Achei o Argivi, nomi ispirati dalle punte del Montarone e dalla città di Argo: bianca, nome nato dal bianco calcareo delle falesie dei suoi due corni. Mitologicamente Elleno, presunto capo degli Elleni, che dal sec. a. C. diventano Greci (v. Elleni. Iliade. Einaudi, ediz. tascabili), ma per il percorso sull’Ellesponto di Achille da Vieste verso l’Aurora, di cui questa città è figlia proprio come lo è del Greco, Un dato di fatto che esclude la provenienza degli Elleni, poi Greci, provenienti dall’attuale nazione usurpatrice Grecia che ha approfittato del suo nome, forse attribuito erroneamente, anche se tuttora non si conosce la provenienza e il suo significato, ma due nomi mai pronunciati da Omero, fatta eccezione della sola Atene, nominata pochissime volte e per un ruolo del tutto marginale. La lingua greca adottata da Omero è diversa da quella parlata nell’attuale Grecia, mentre è quella parlata in Italia prima dell’avvento della lingua Latina, per volere dalla potenza Romana anche se di derivazione dal greco classico, tant’è vero che nel dialetto viestano sono ancora presenti diversi idiomi greci usati da Omero. A questo si aggiunge che Elleno è figlio di Deucalione e Pirra che dopo avere costruito un’Arca in essa si chiusero per volontà di Zeus per essere preservati dalla morte di tutto il restante corrotto genere umano, tenendosi a galla sulle tempestose onde del mare per nove giorni e nove notti (durata del Diluvio Greco inventato da Omero per lo sprofondamento di Troia!) approdando sul Parnaso. Un monte presente in Omero sul quale il giovane Odisseo venne ferito al ginocchio dalla zanna di un cinghiale (da cui il suo primo nome Ulisse), un dato di fatto che fa del Parnaso un’altura viestana, forse lo stesso Montarone, ma erroneamente accaparrato come tutta la questione omerica dall’attuale Grecia. Ma anche perché Deucalione e Pirra vengono sostituiti da Noè e Vesta che, quindi e non a caso, dopo il Diluvio Universale, questa volta di quaranta giorni, approdano con la loro Arca, da identificare con lo Scoglio viestano, che nel 1435 Grazioso Benincasa su Vieste scrive: “chananzi un picholo schollietto ebbasso chome una galea pare lontano”, galea, o arca che è lo stesso Scoglio poiché ha le stesse dimensioni della biblica Arca di Noè di m 156 di lunghezza, m 25 di larghezza e m 15 di altezza, fondando sul Montarone la città di Vesta, in onore della moglie Vesta che morì all’approdo, venendo seppellita sullo Scoglio e dando origine a tutti i popoli successivi. A cominciare dagli Arcadi, dagli Umbri,o Uriatini, e tutti gli altri popoli italici e finire con popoli europei col nome di Celtici, a cominciare dai Galli, francesi che prendono il nome da Vieste i cui abitanti godono della vista del Sole che sorge dal mare fin dall’Aurora di cui Vieste è figlia, e dalla quale nascono pure popoli equivalenti ai Galli con i nomi degli Umbri Aurunci e degli Umbri Ausoni, laddove gli Umbri o Uriatini sonosempre Viestani in quanto figli dell’Aurora o dell’Ausonia. Tant’è vero che la capitale francese, Paris, deriva dal greco Paris, Paride, chiamato da Omero pure Alessandro, il bel troiano, quindi viestano, figlio di Priamo che rapì Elena, moglie di Menelao, signore di Argo (Vieste), che fu la causa della guerra di Troia e che alla fine riesce ad uccidere Achille.

In riferimento alla sopravvenuta grecità degli Elleni dal 7* sec. a.C., va precisato che in origine il termine greco valeva per tutto ciò che si trovava sulpercorso del Sole il giorno del solstizio d’Estate, tutto il resto era considerato barbaro, laddove va benevolmente relegata l’attuale Grecia. Vieste, che in questo determinato giorno vede nascere il Sole dal mare da dietro la punta occidentale dell’isoletta del Faro e riceve il frontale vento di Greco, l’omerico Euro, tra l’altro ha il significato di figlia del Greco. I suoi abitanti si autodefiniscono Vestèsane, che da Vi-aestus-ane, sono figli dell’aestus più alto. Il latino Aestus, oltre a considerare il “grondare spuma e spruzzi salmastri” citati da Virgilio per i movimenti del mare che si infrange in continuazione contro le rupi del Montarone, significa anche il percorso del Sole nel giorno del solstizio d’Estate, che diventa l’equivalente di Greco per Vieste di cui è figlia, un fatto che serve ad escludere definitivamente che il termine greco provenga originariamente dall’attuale Grecia, un’impresa di difficile soluzione, ma da affrontare. Da ciò si intuisce che dalla Magna (più antica) Greca Vieste ha origine il nome della Magna (più antica) Grecia per l’Italia Meridionale, anche se in sostituzione del nome precedente nome di Gargaria, individuata da Aristotile, e di tutti i suoi nomi precedenti che prendevano il nome da qualche caratteristica di Vieste, tra i quali Esperia, nome di origine greca che significa Occidentale, che prende il nome dall’essere Vieste la prima città dell’Occidente, essendo nello stesso tempo e tuttora figlia dell’Oriente dalla quale nasce l’altro nome dell’Italia come Ausonia, derivante dall’indeuropeo ausos, da cui gli Ausoni Umbri, o Uriatini, corrispettivo di Aurora di cui Vieste è figlia e da cui gli Umbri Aurunci, sempre per gli Uriatini. L’ultimo dei quali nomi e per continuità è l’attuale Italia, nome gridato per prima da giovani immigrati al loro approdo nel Pantanella e che dal greco I-thaly(z) è un’isola in fiore o lussureggiante, che nasce dalla fertilità del territorio attiguo all’isolato Montarone. Fertilità presente nel Giuliani quando scrive che il territorio viestano “produce frutti senza coltura”, abbondanza di frutti che appare in Strabone per tutto il Gargano e in Platone nel territorio di Atlantide. Ma che per la veduta da Vieste degli sterminati orizzonti terrestri e marittimi ha avuto origine l’omerico Continente Apeira: aperta, ora Europa: vasta vista, che si trova nei Viestani in quanto Uri Aperti di Catullo e qualifica ereditata con la greca Apulia che prende il nome da Vieste poichè da a-pulè è senza porta, quindi aperta per la sua evidente vasta vista in tutte le direzioni sia terrestri sia soprattutto marittime.

Livio, nel lasciare intendere che il luogo di sbarco di tutti i popoli e degli eroi omerici vincitori e vinti sia pure il porto di Troia, poi Uria, aggiunge: “Anche questo luogo è chiamato Troia“, dando prova di ignorare, come tutti finora, l’esistenza dell’omerica Troia vicina a Vieste e l’appartenenza di Omero a questa per davvero fortunata città Pizzomunno, già capitale dello storico, poetico e mitologico mondo antico che è l’omerica Apeira, ora Europa.

Prof. Giuseppe CALDERISI