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VIESTE ANNI TRENTA – CRONACHE DI SCUOLA E DI VITA TRA LA PACE E LA GUERRA D’AFRICA (6)

IL TESSERAMENTO

L’assillo degli insegnanti, che l’impegno celebrativo dell’impresa d’Africa non è riuscito a placare, è il cosiddetto tesseramento totalitario, cioè l’obiettivo ad essi assegnato di far tesserare tutti gli alunni alle organizzazioni giovanili del partito. In verità, non è che manchi la volontà degli uni e degli altri; mancano i soldi per pagare la tessera. Questo argomento è tanto impor­tante che viene menzionato quasi sempre in occasione delle visite dei superiori.

Scrive un maestro: “Stamani il nuovo direttore è venuto in classe ed ha ascoltato la canzonetta patriottica Faccetta nera cantata dagli alunni-. Egli ha raccomandato la diligenza nel profitto e il tesseramento totalitario”.

Parzialmente inadempiente sul tesseramento, quasi imbarazzata, si scusa una sensibilissima educatrice: “Il Direttore ha visitato la mia classe ed è rimasto contento di tutto, fuorché del tesseramento. Malgrado le mie insistenze presso le famiglie, non sono riuscita a fare il tesseramento totalitario secondo il desiderio dei superiori, ma soltanto di 31 alunne su 55 iscritte”.

L’organizzazione giovanile fascista a cui fa capo il tesseramento è l’Opera Nazionale Balilla (ONB). Se i soldi per la tessera non li hanno portato tutti gli alunni è perché in casa i soldi scarseggiano. Nell’ONB sono inquadrati, secondo l’età, tutti i ragazzi e gli adolescenti, distinti, i maschi, in: Figli della Lupa sino alla 1A elementare. Balilla sino a 12 anni e balilla moschettieri sino a 14, Avanguardisti sino a 18, Giovani Fascisti oltre i 18: le ragazze in Piccole Italiane e Giovani Italiane. L’ONB, nel 1937 cambierà il nome, prendendo quello di Gioventù Italiana del Littorio (GIL).

LETTERA AL LEGIONARIO

Il corpo di spedizione che è stato portato in Africa ha una forza com­plessiva di circa 300.000 uomini. Il grosso è costituito dai giovani della classe 1911 richiamati al completo. A questi si aggiungono militari specialisti appartenenti ad altre classi nonché un buon numero di volontari. I volontari sono in parte lavoratori disoccupati, che vanno a far la guerra per risolvere il problema del pane quotidiano, e in parte idealisti che sognano di rivivere in forme moderne le glorie della Roma imperiale. Vengono chiamati legionari, come i soldati di allora; un appellativo già ripreso da D’Annunzio per i suoi compagni nell’impresa di Fiume.

In patria si parla di loro con orgoglioso affetto: nei discorsi ufficiali, sulla stampa, alla radio, in ogni occasione. Talora con una punta d’invidia, tranne, forse, che nelle famiglie, di cui sono parte viva, per i pericoli della guerra. Sempre, comunque con ammirazione. Si legge in un registro; “Oggi ho assecondato un vivissimo desiderio delle mie alunne, cioè quello di scrivere una lettera al padre di una loro compagna che si trova nell’Africa Orientale, il quale si è guadagnata una medaglia al valor militare”.

La scuola si adegua al momento storico, tant’è che si fa studiare la “Preghiera per la Vittoria” e si fanno imparare versi come questi: Africa nera, spinosa di lame/ ti farò libera, ti voglio bene. Dove si rivela una scarsa grinta imperialista e, piuttosto, l’italica inclinazione a fraternizzare, al volemose bene. Non c’è ipocrisia. Si crede sinceramente che in Etiopia noi ci andiamo per portare la civiltà e per lavorare.

4 NOVEMBRE 1918 – 8 NOVEMBRE 1935

Cori di rampogne e di scherno vengono intonati in occasione del 4 novembre dall’oratoria e dalla pubblicistica ufficiale verso gli ex alleati della guerra ’ 15-18. Nei giorni successivi seguono altri cori, ma di giubilo: per la presa di Macallè in Etiopia e per il compleanno del re, che si usa chiamare genetliaco. Ne scrivono così tre insegnanti.

“4 novembre. In questo giorno, mentre l’Italia commemora e ricorda i 670.000 Caduti, gli antichi compagni d’arme si preparano ad affamarla. La Francia e l’Inghilterra concertano in misteriosi accordi l’unione delle loro forze navali e aeree contro l’Italia colpevole soltanto di aspirare a quella giustizia cercata con i suoi Caduti”.

In questo richiamo alla “giustizia cercata” dall’Italia vi è forse il motivo più prossimo della rivendicazione fascista, cioè quello della “vittoria tradita” o “mutilata” a nostro danno alla fine della guerra. Prosegue la nota: “Combattenti, mutilati, organizzati del partito hanno portato in corteo una corona ai Caduti nel “Parco delle Rimembranze”, alla luce di una imponente fiaccolata”.

“8 novembre. La notizia dell’avanzata del secondo corpo d’armata e l’entrata dei soldati italiani in Macallè ha suscitato frenetico entusiasmo. Ho letto alle mie alunne, sul giornale, l’articolo che rievoca la figura del maggiore Galliano quando nel “forte” rimase circondato da nemici venti volte superiori di numero. Il nostro Eroe resistette sino all’ultimo. Si ritirò dal forte con l’onore delle armi, e dagli stessi africani fu citato come esempio di valore guerriero”.

IL RE E IL DUCE

“Il novembre. Ricorre il 66° genetliaco del nostro Re soldato. La storia gli ha attribuito l’epiteto di Vittorioso, e il periodo del suo regno sarà ricordato tra i più felici, perché durante questo periodo la Patria ha posto le basi di un vasto impero coloniale”.

Chi sa come avrebbe giudicato questa immagine retorica della sua persona Vittorio Emanuele III, lui che prima del convegno di Peschiera, mentre l’Italia sbandava per lo sfondamento del nostro fronte a Caporetto, aveva cancellato di suo pugno, perché enfatica, la frase iniziale del proclama preparato da Vittorio Emanuele Orlando per invitare gli italiani alla resistenza e alla riscossa. La frase cancellata suonava così: “Una immensa sciagura ha straziato il mio cuore di italiano e di Re”.

Nella diarchia al vertice dello Stato italiano, il più importante è il re. Ma chi fa tutto è il duce. Ce lo fanno capire i libri di scuola e tutto il resto. E’ lui che ha salvato il Paese dallo sfascio; è lui che gli dà lustro; è lui che ora ci conduce alla conquista dell’impero. La considerazione di noi ragazzi è tutta per il duce. Al re va il rispetto formale per le passate glorie di famiglia e per il tantino di sua personale, come ha scritto la maestra nel ricordarne il compleanno. Un rispetto che viene sempre esibito nelle manifestazioni pubbliche. Per esempio, quando Mussolini appare sul balcone di palazzo Venezia, il segretario del partito, che gli è vicino, rivolge alla folla accalcata e acclamante nella piazza il perentorio invito: “Camerati, saluto al duce” e la folla risponde: Viva il duce”; immediatamente dopo ne rivolge un altro: “Saluto al re”, a cui la folla risponde: “Viva il re” Sbrigati i saluti, egli esce di scena. La sua figura, in questo periodo, si illumina solo di luce riflessa. Ricordo i cinegiornali del tempo. La nostra attenzione è tutta per il duce, per quello che sta per dire, per quello che dice: i gerarchi che gli stanno intorno è come se non ci fossero, nessuno li pensa. Il protagonista della scena, è lui, unico e indiscusso.

Nei libri di lettura delle scuole elementari se ne legge il panegirico con parole quali queste riprese da un libro di 5A, sotto il titolo “Ritratto del Duce”. Nel lampo degli occhi è la potenza imperiale. Ogni parola del condottiero, dell’uomo di governo, del padre amoroso della gente, è lapidaria; ogni gesto definitivo. Ara il campo in Romagna. Conduce il motoscafo nell’Adriatico. Pilota da sé un trimotore. Detta lettere e leggi. Intanto governa l’Italia: La vuole, la vede rispettata e grande fra le nazioni.

Vittorio Emanuele III uscirà dal ruolo di comprimario nel 1943, diven­tando protagonista per breve tempo, nel bene e nel male, della storia d’Italia.

ludovico ragno 2006

6 – CONTINUA