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INCENDI A VIESTE, LA DISPERAZIONE DEL TITOLARE DEL LIDO E LA MALEDIZIONE DEL “16”: «NEANCHE IN MESSICO FANNO PIÙ COSÌ»

Michele Calvano ha riaperto il lido di baia San Felice dopo 16 anni, tanti quanti ne sono passati dall’incendio di quella di San Nicola a Peschici​.

Sedici. Gli anni trascorsi dalla distruzione della baia di San Nicola (Peschici, 24 luglio 2007) a quella di San Felice (Vieste, 25 luglio 2023). Sempre sedici gli anni in cui proprio San Felice è rimasta chiusa al pubblico, prigioniera di una contesa legale che riguardava l’ex villaggio turistico, ma scoraggiava anche il libero accesso alla spiaggia. Ancora sedici gli anni che mediamente trascorrono da un incendio – specie se doloso, come sembrerebbe quello dell’altro ieri a Vieste al riutilizzo del territorio andato distrutto, su cui lo Stato impone un lungo oblio catastale e amministrativo che spesso si traduce in abbandono. Inoltre sedici era il numero dei pini secolari che facevano da barriera al parcheggio della baia, dove l’incendio è stato innescato spostandosi poi lungo la litoranea. Forse tra questi numeri non c’è alcuna connessione e, come talvolta capita, ai cronisti piace cedere alla seduzione di decifrare gli indizi a disposizione, o forse qualcosa in più potrebbe dirci questa ossessiva ricorrenza aritmetica. 

Si vedrà con le indagini, ma martedì scorso – chi scrive era tra gli evacuati – l’unica certezza sembrava la disperazione di Michele Calvano, l’imprenditore turistico che ha riaperto al pubblico la spiaggia di San Felice. «L’hanno fatto ancora, bastardi… », imprecava mentre coi suoi collaboratori aiutava turisti e avventori ad allontanarsi dalla pineta circondata dalle fiamme. Il Corriere del Mezzogiorno era lì per raccontare della scommessa di quest’uomo, della sua idea di legalità in una terra (l’amatissimo Gargano) che soprattutto d’estate smarrisce ogni misura di umana dignità. «Qui gli incendi sono solo dolosi» aggiunge scrivendoci, quando le fiamme avevano nel frattempo reso necessaria l’evacuazione di altre due strutture turistiche. Eravamo lì per raccontare come si fa rinascere un posto di rara bellezza che sembrava ormai dimenticato da Dio e dagli uomini, invece ci siamo trovati a interpretare (oltre la cronaca dell’edizione di ieri del Corriere) l’ennesimo gesto di infedeltà verso la natura, verso l’identità di un promontorio costretto a convivere con la brutalità di certi codici tribali.
Un’infedeltà che altrimenti non si spiega, perché a sentir parlare Michele Calvano al contrario ci si commuove. «Pochi sanno che alla base dell’arco di San Felice c’era un trabucco, che poi è stato spazzato via dalle mareggiate. Lì c’è ancora la casetta dei pescatori, la utilizzavano come rifugio. Quello lì è il mio posto del cuore… ». 

Insieme ad altri socigestisce anche le Cale di Otranto e le Tonnare di Stintino, ma di fronte alla rudezza di certi linguaggi antropologici racconta «… neanche in Messico abbiamo avuto le difficoltà riscontrate in questo posto.È un territorio difficile, abbandonato. Dove ogni tanto qualcuno, soprattutto per fini elettorali o di carriera, fa finta di fare qualcosa». Poco più in là lo sconforto del bagnino del lido, Gennaro, che per hobby realizza trabucchi in legno e tiene a raccontarci «dentro quella cavità, nella roccia, c’è una statua di pino di Padre Pio, dicono che il proprietario l’abbia messa lì per devozione e anche a protezione di questo meraviglioso posto… ». Venendo da Foggia, tra tornanti ripidi e spesso molto affollati, San Felice appare come una sposa. Il suo arco un anello, una fede nuziale in cui infilare l’anulare dei nostri desideri. 

Per anni questa baia è stata la gallina dalle uova d’oro dell’intero tratto di costa antecedente il centro abitato, secondo un detto comune «Pizzomunno era per i ricchi, ma San Felice per chi amava davvero il Gargano». Poi la contesa legale che ha staccato la spina di questo posto, sospendendo qualsiasi collegamento con la vita reale e proiettandolo in una meta dimensione post atomica (è ancora molto evidente lo stato di abbandono) che per un po’ ha consentito a turisti senza scrupolo di parcheggiare le auto persino sulla spiaggia. Proprio qui, nel cuore del Parco nazionale del Gargano. Dove l’ente che dovrebbe sovrintendere alla più grande distesa naturalistica di Puglia è paradossalmente in lotta con gli ambientalisti, con questi che ritengono il presidente Pasquale Pazienza (che nulla ha dichiarato sull’incendio dell’altro ieri) «la persona più inadeguata al ruolo dalla nascita del Parco a oggi».
Dopotutto sono sempre sedici. Gli anni che ci vogliono per far germogliare nuovamente una pineta dopo averla data alle fiamme. E gran parte delle statue di Padre Pio, che qui si trovano a ogni angolo, sono fatte con legno di pino. Un albero a cui evidentemente prima ci si rivolge con devozione, poi per bruciarlo.

corrieredelmezzogiorno