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VIESTE ANNI TRENTA – CRONACHE DI SCUOLA E DI VITA TRA LA PACE E LA GUERRA D’AFRICA (9)

Il presepe

Le campagne contro questo e contro quell’altro, che il regime lancia periodicamente per tenere sempre viva l’idea patriottica, sono vere arabe fenici. A misura che la vecchia brucia, la nuova già s’alza dalle ceneri.

Ora è di turno quella contro le “usanze esotiche”, in merito alla quale si legge da un maestro: “Ho condotto i miei alunni a vedere il presepe allestito nel salone dell’asilo. Dopo la chiara illustrazione fatta da un collega sul significato e la bellezza del presepe, che ha sostituito il non italiano albero di Natale, una Piccola Italiana ha rivolto, a nome degli organizzati, il saluto al Duce”.

Certo, la propaganda conta, serve a influenzare il pensiero della gente, ma quella contro l’albero di Natale, da noi, ha la risonanza di una battaglia contro i mulini a vento. Infatti, a Vieste, è piuttosto raro l’albero di Natale. Molte persone forse non l’hanno mai sentito neppure nominare. Da sempre si conosce e si fa solo il presepe, chiamato più familiarmente presepio.

La bonifica integrale           

A conclusione di un anno di lavoro,il 18 dicembre 1935 è stato inaugu­rato il comune di Pontinia, terzo della serie dei comuni realizzati nel vasto territorio dov’erano le paludi Pontine, bonificate e rese fertili e produttive per una estensione di 65.000 ettari. L’impegno messo a strappare dall’abban­dono migliaia di ettari di terreni incolti e paludosi, che va sotto il nome di “bonifica integrale”, è il do di petto delle opere di pace del regime fascista.

Con gli argomenti d’obbligo e un pizzico d’orgoglio, l’attenta maestra che ha già spiegato alle alunne la necessità di incrementare l’allevamento degli animali da cortile ai fini antisanzionistici, segnala il nuovo avvenimento: “Mentre dura l’assedio societario, noi inauguriamo una nuova città, mostrando al mondo qual è la guerra che noi preferiamo; aprir strade al lavoro e alla civiltà, bonificare terre, dissodarle, educare i barbari all’igiene, al lavoro libero e ben remunerato”.

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Attività parascolastiche – Le partenze per la guerra

Insieme con le notizie parascolastiche-politiche, i registri offrono pure interessanti osservazioni di carattere socio-ambientale e di ordine didattico. Da un registro:

“9 gennaio. Dopo un periodo abbastanza lungo di feste e vacanze ritorniamo finalmente a scuola. Le vacanze prolungate sono un danno per i ragazzi, che si distraggono molto e poi a malincuore ritornano allo studio”.

“15 gennaio. Da oggi ha avuto inizio la refezione scolastica: latte e pane ai bambini poveri. Con ansia i ragazzetti e le ragazzette si assiepano aspettando la distribuzione. Disciplinatamente si avvicinano all’improvvisato banco, prelevano la propria razione e si mettono in disparte a godere l’inspe­rato cibo. Istituzione encomiabile in questi tempi di disoccupazione”. Ed appresso: “Due alunni non sono più tornati a scuola perché non hanno voluto portare l’importo della tessera. In realtà, le condizioni degli operai non sono floride per la mancanza di lavoro”.

L’Italia, dunque, pur assorta nell’autocompiaci­mento per l’impresa africana, continua ad avere le turbative del Paese povero di risorse che è, come la surriferita nota del premuroso maestro rivela.

Dalla fine dell’Ottocento e sino all’ascesa al potere del fascismo, la capacità di lavo­ro, insoddisfatta in patria, aveva spinto masse crescenti di italiani ad emi­grare verso le Americhe. L’emigrazione, come si era svolta in quegli anni, era stato un fenomeno di notevole dimensione, con risvolti spesso dolorosi anche per la mancanza di protezione politica e sindacale. Adesso, il punto di vista di Mussolini è che l’espansione coloniale debba costituire la pre­messa risolutiva del problema.

Altri accenni alle condizioni di vita in questo periodo nella nostra città sono dati da tre deliberazioni del Comune, che traggono motivo dalla guerra in corso. Le redige il ricordato podestà Andrea Medina. Si legge in una: “Tenuto presente che il 20 corrente partirono per l’Africa Orientale 15 operai di questo comune da tempo disoccupati e assolutamente privi di mezzi per il pagamento del viaggio, delibera di gravarsi della relativa spesa che ammonta complessivamente a L. 291,60”. Dello stesso tenore è una seconda delibera concernente altri 10 operai, e così una terza, con la quale viene disposto di “rimborsare la Federazione Provinciale dei Fasci di Combattimento la somma di L. 177, occorsa a pagare le spese di viaggio per il rientro in sede di 10 operai che arbitrariamente si erano allontanati da questo comune nella spe­ranza di arruolarsi per l’Africa Orientale”.

Insomma, ci sono giovani che pur di sottrarsi all’avvilimento della disoccupazione, vogliono andare anche abusivamente dove c’è la guerra, penso a fare gli operai.

In una situazione sostanzialmente diversa, in quanto l’Italia non è direttamente coinvolta, ma identica per quanto riguarda la condizione operaia, si rinnovano le partenze per la guerra: la guerra civile di Spagna (luglio 1936- aprile 1939) Dove, però, si va sicuramente solo per combattere.

Dall’Italia, che appoggia le forze insurrezionali, nazionaliste, guidate dal generale Franco, partono numerosi volontari: si calcola intorno ai 50.000. Tra quelli vi sono anche giovani viestani.

D’Annunzio e il museo delle glorie nazionali – Il legionario viestano

“12 marzo. Ricorre il genetliaco del poeta-soldato Gabriele D’Annunzio, che dopo aver dato alla Patria mirabili opere letterarie e dopo aver compiuto le più eroiche gesta durante la guerra di redenzione, si è ritirato nella villa di Gardone ove è intento ad ordinare il “Vittoriale degli Italiani”, che certa­mente sarà il più suggestivo sacrario dei nostri martiri ed eroi”. Così una maestra infervorata inquadra D’Annunzio agli scolari nel giorno del suo compleanno.

L’attenzione degli insegnanti per il “poeta-soldato” non si limita a ricordarne il compleanno. D’Annunzio non appartiene all’Olimpo dei grandi del fascismo, ma per il suo impegno nazionalistico è entrato lo stesso nella mi­tologia fascista. Perciò, i fatti d’arme ai quali ha legato il suo nome sono ricordati adeguatamente ai ragazzi delle scuole nelle rispettive ricorrenze: la beffa di Buccari, il volo su Vienna e, più di tutti, l’impresa di Fiume – un’operazione che ricordava quelle risorgimentali di Garibaldi -, che aprì la strada all’annessione della città all’Italia.

L’alone leggendario che circonda il suo nome è reso più vivido agli occhi della gente del nostro paese dai contatti che si hanno con le città dell’altra sponda adriatica, consorelle di Fiume nella geografia e nel de­stino: Trieste, Pola con l’Istria, Zara, che vissero da vicino l’avventura dannunziana.

C’è da aggiungere che la maggior parte dei vo­lontari fiumani, i “legionari” come vengono chiamati, negli Anni Trenta sono viventi. Alle manifestazioni patriottiche alle quali sempre partecipano, dove il numero glielo consente, tendono a non mescolarsi con le Camicie Nere, preferendo fare gruppo a parte.

Inoltre vi è anche qualche viestano che è stato tra i legionari presenti a Fiume con D’Annunzio. Io ne ho conosciuto uno, Solitro Sante, o Santino, come era chiamato da tutti, classe 1899. Avevamo avuto modo di parlarci la prima volta un giorno che lui e mio padre – io presente – si erano fermati a fare quattro chiacchiere in piazza. Da allora, incontrandoci, ci scambiavamo sempre un saluto, talora qualche frase al volo.

Per quanto mi parve di capire di lui, era un uomo dotato di carattere, tranquillo, che guardava al pratico, tutto casa, lavoro, dotato di spirito patriottico quanto basta, vagamente severo. Una figura piuttosto contrastante con il personaggio D’Annunzio, non però il letterato di spicco, ‘l’Imaginifico”, come lo chiamavano i suoi contemporanei (che qui non è in questione), ma il D’Annunzio ardimentoso, apologetico della vita eroica, ultranazionalista. Il D’Annunzio che ha condensato il suo credo nel motto coniato per i M.A.S., parafrasando il significato letterale di “motoscafo antisommergibile”, in quello di “Memento audere semper” (ricordati di osare sempre).

Ed è quest’uomo che contro le incertezze del governo nazionale e l’ostilità delle potenze alleate, assume la guida dell’IMPRESA DI FIUME, occupa la città con i suoi legionari, vi proclama la reggenza italiana, a cui dà il nome di Reggenza del Quarnaro e si insedia come Capo del governo da lui costituito.

Ricordo brevemente i precedenti. Fiume, come è noto, aveva fatto parte dell’impero austro-ungarico. Quando quell’impero multinazionale si disgregò sotto il peso della sconfitta militare, nel 1918, alla fine della prima guerra mondiale, la città si trovò contesa fra l’Italia e il neocostituito regno di Iugoslavia. La ragione della contesa stava, almeno in parte, nella composizio­ne della popolazione. In sostanza, ancora sotto l’Austria-Ungheria, “al cen­simento del 1910 su 50.000 abitanti in città, vi erano 24.000 italiani, 15.000 croati e il resto di altre nazionalità con predominanza di ungheresi” (Paolo Deotto, L’Impresa di Fiume). La maggioranza etnica era quindi italiana, ma ai croati la preminenza del principio di nazionalità sbandierato da Wilson, in questo caso non andava bene.

Un giorno chiesi a Santino: “Santi, raccontami com’è che sei stato con D’Annunzio a Fiume”. Mi rispose: “Non fu una cosa pensata”. Della conversa­zione che seguì ricordo poche cose poiché è passato mezzo secolo, però ricordo bene la sua manifesta ammira­zione per D’Annunzio – il Comandante, diceva lui – D’Annunzio che incantava con i suoi discorsi lirici o che si intrat­teneva a consumare il rancio insieme a loro, soldati semplici. Mi disse che era arrivato a Fiume con i granatieri di Sardegna al cui battaglione apparteneva, poco dopo l’armistizio, a metà novembre del 1918. Erano stati inviati dal governo italiano come risposta all’occupazione della città compiuta nei giorni prece­denti dalle milizie croate, comunque già rientrata. Poi erano rimasti, associati in una interforza a reparti militari francesi, inglesi e americani con il compito di impedire il ripetersi di colpi di mano da parte dell’una o dell’altra nazionalità.

Liquidata dopo dieci mesi l’interforza, mostratasi inadeguata alla situazione fiumana, i granatieri, costretti a sloggiare da Fiume nell’agosto del 1919, per intervenuto accordo tra il governo italiano e le potenze alleate, erano tuttavia rimasti nella zona. E quando D’Annunzio, il 12 settembre 1919, partì da Ronchi alla testa di circa 300 volontari diretti a Fiume, essi si unirono alla colonna lungo la strada, insieme ad altri volontari. Entrarono in città, costituendo il nerbo di quel piccolo improvvisato esercito, accolti dal tripudio della popolazione italiana.

Le successive vicende e il trattato di Rapallo fra l’Italia e la Iugosla­via firmato il 12 novembre 1920, con il quale Fiume veniva costituita in Stato libero e indipendente, non attengono a questa trattazione ma alla storia generale d’Italia. Aggiungerò soltanto che D’Annunzio a cui, dopo la firma del trattato, venne ordinato di sgombrare dalla città insieme ai suoi legionari, si piegò a ritirarsi per evitare una lotta fratricida con le formazioni dell’eser­cito regolare italiano. Il 31 dicembre 1920 ebbe luogo il passaggio dei poteri al nuovo governo della città.

Santino Solitro rimase a Fiume sino al termine del governo dannunzia­no. Fedele al Comandante, e con nel cuore e nella mente le certezze della sua predicazione, aveva corso anche il rischio di essere considerato disertore, o qualcosa di simile, come tutti i granatieri quando essendo stati congedati non ottemperarono all’ordine di consegnare le armi e andarsene a casa.

Se ne andarono quando tutto fu finito, alla spicciolata, senza subire molestie dai poteri costituiti. Nella clemenza non dichiarata del governo ci fu probabilmente debolezza, di certo l’interesse a chiudere la questione in maniera pacifica e, perché no, fors’anche l’inconfessata stima per i protago­nisti di quell’avventura vissuta nell’esaltazione dell’idea di italianità.

Quattro anni dopo, in seguito a una nuova trattativa tra l’Italia e la Iugoslavia, e relativo “Patto” firmato a Roma il 27 gennaio 1924, la città di Fiume era annessa all’Italia. Passano vent’anni. La seconda guerra mondiale cambia molti confini, induce milioni di persone a lasciare la propria terra. La sconfitta dell’Italia consente agli jugoslavi di rioccupare Fiume, di pren­dersi l’Istria (tranne Trieste), Zara e le poche isole già italiane. Ora Fiume appartiene alla Croazia.

ludovico ragno 2006

9 – CONTINUA