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VIESTE ANNI TRENTA – CRONACHE DI SCUOLA E DI VITA TRA LA PACE E LA GUERRA D’AFRICA (10)

Riprende l’avanzata in Africa Orientale

Dopo un ristagno di alcune settimane le operazioni militari in Africa Orientale riprendono con rinnovato vigore. Graziani, comandante del fronte sud, fa compiere alle sue truppe un balzo in avanti, che lo porta a Neghelli, per il che viene omaggiato come “il leone di Neghelli” e si guadagna l’elogio del Duce. Un’insegnante ricorda questo avvenimento: “Una bella ed impor­tante lezione ho fatto oggi per l’avanzata sul fronte somalo del generale Graziani. Oltre a leggere il Comunicato, ho dettato l’elogio che il Duce ha inviato al generale, alle truppe e agli ufficiali combattenti”.

Il 28 febbraio è occupata l’Amba Alagi, una conquista che ci ripaga dall’amarezza patita il 17 dicembre 1895 sul valico di quel monte, dove un nostro distaccamento si scontrò con 30.000 abissini. Dei nostri perirono in quello scontro il maggiore comandante Toselli, 18 ufficiali e 2.300 soldati. Sotto la data del 1° marzo un’insegnante annota: “La notizia dell’occupazione dell’Amba Alagi ha suscitato nella nostra cittadina una nuova ondata di incontenibile entusiasmo. Ieri mattina le nostre valorose truppe hanno issato la bandiera italiana sulla vetta gloriosa, vendicando il maggiore Toselli e tutti i caduti di quarant’anni fa. Ho letto il Comunicato in classe. Alle ore 7 di sera si è formato un bel corteo con le autorità e il popolo tutto, che, seguito dalla musica cittadina, ha girato per le vie del paese. I balilla gridavano: “Viva Mussolini! Morte al Negus!”.

Vi è tanta levità in questa nota, quasi vi spira un’aria di festa paesana con la banda che gira per le vie del paese, che Ubera dal suo significato ferale quel “morte al Negus” dei manifestanti, che la maestra, una timorata madre di famiglia, riferisce come di uno sberleffo al re d’Etiopia.

23 marzo 1936, XVII annuale della fondazione dei fasci di combattimento

E’ una delle date fondamentali del ritualismo fascista, alla pari con quella del 28 ottobre, a cui sta come la radice all’albero.

A scuola si va tutti in divisa, insegnanti e alunni, perché verso il tardi c’è l’adunata generale con sfilata, bandiere, gagliardetti e discorsi. Anche nei registri se ne scrive.

“Oggi tutte le scuole d’Italia sono chiuse, tutte le bandiere italiane sventolano festose nell’aria primaverile perché ricorre il XVII annuale della fondazione dei Fasci di Combattimento. In questo giorno colui che regge i destini della nostra nazione formò le prime Camicie Nere a Milano e diede inizio al processo diretto a foggiare l’Italia fascista. Ho inculcato nell’animo dei miei balilla l’amore e la devozione verso il Duce che rende la nostra Patria più bella, più grande, più ricca”.

Le relazioni marittime tra Vieste e le città dell’altra sponda adriatica

Un’imbarcazione un tempo assai diffusa in Adriatico ed ora pressoché scomparsa è il trabaccolo. I viestani che hanno meno di cinquant’anni, nella maggior parte non ne hanno mai visto uno nel nostro porto. Al più ne hanno solo udito qualche fuggevole citazione nei discorsi dei genitori o comunque di persone anziane. Sul litorale della nostra provincia furono presenti signi­ficativamente in tre comuni: Rodi, Vieste e Manfredonia.

Velieri fino all’inizio degli Anni Trenta, si dotarono in quel tomo di tempo di motore ausiliario col quale poterono viaggiare anche in assenza di vento, alla velocità di 4-5 miglia. Navigarono l’Adriatico tra la metà dell’Ot­tocento e la metà del Novecento, toccando appena gli Anni Sessanta. Stazza­vano da 20 a 50 tonnellate, avevano prua e poppa rigonfie, stiva capace, due alberi e ampia velatura, ed erano condotti dal 4-5 uomini di equipaggio: un impasto di marinai, commercianti, soci-padroni.

Sino al 1943 trafficarono con Fiume, con le città dell’Istria, in partico­lare Pola, e con quelle della Dalmazia (Zara, Sebenico, Spalato, talvolta la nostra dirimpettaia Ragusa, che i croati chiamano Dubrovnik), e con alcune isole maggiori, dove portavano gli agrumi e l’altra frutta del Gargano.

Ai nostri naviganti era agevole il rapporto anche con gli abitanti delle città dalmate, perché, sebbene facessero parte del regno di Iugoslavia – tranne Zara e l’isola di Làgosta italiane dal 1918 -, nella loro maggioranza sapevano parlare il dialetto veneto, retaggio della secolare appartenenza alla Repubblica di Venezia. E c’erano anche parecchi nativi di lingua e cittadinanza italiana. La comunità italiana di Spalato contava settemila appartenenti. Uno di essi, il giornalista e scrittore Enzo Bettizza, spalatino di nascita, di famiglia italiana da generazioni, studente liceale a Zara fino al 1943, la racconta diffusamente in un suo libro autobiografico, Esilio (Mondadori, 1996).

Ormeggiati nei porti, ai tratti di banchina loro destinati, i trabaccoli erano un mercatino galleggiante della frutta, vendevano al minuto ai passanti e fornivano i fruttivendoli locali. A Zara si sistemavano vicino il ponte, a breve distanza dalla Porta Marina, che dal centro storico si apriva sul mare. I membri dell’equipaggio era facile incontrarli oltre che sul porto anche in città, chè Zara contava solo 20.000 abitanti. Tra questi c’era una piccola comunità di viestani: una ventina di famiglie e alcuni giovani scapoli, un centinaio di persone nel loro insieme. Si conoscevano quasi tutti gli adulti coi naviganti, c’erano fra loro anche delle parentele, per cui ad ogni incontro non mancavano gli argomenti di conversazione.

Dopo la seconda guerra mondiale, andati fuori uso per limiti di età i trabaccoli degli anni passati, i naviganti ancora idonei al lavoro ne com­prarono degli altri, di seconda mano, e ripresero le vie del mare. Con la differenza, rispetto a prima, che ora, essendo chiusi i porti dell’altra sponda al commercio privato, in seguito alla nazionalizzazione nelle attività econo­miche nella repubblica di Iugoslavia costituitasi a regime comunista, i trabac­coli non trasportavano più frutta, ma legna e corteccia di pino dei nostri boschi nelle città italiane della costa adriatica. Una merce povera, onde il guadagno si ridusse al lumicino. E poi si vedeva chiaro che il tempo del loro impiego volgeva ormai al termine, superati dal trasporto su strada, più veloce e meno costoso.

Uscirono di scena negli Anni Sessanta. Degli uomini che ne avevano costituito gli equipaggi, i pochi anziani andarono in pensione, gli altri passa­rono in parte sui motopesca di Vieste, aumentati in quel periodo di numero e di stazza e abbisognevoli di personale aduso alla vita di mare, e in parte – i più – emigrarono a Venezia dove presero imbarco sui piroscafi.

Le conferenze magistrali    

“Stamani il corpo magistrale si è riunito nella sala della direzione didattica ove un collega ha trattato il 6° argomento di cultura fascista: Vecchia mentalità del popolo italiano; falsa concezione dello stato di povertà di risorse naturali dell’Italia”.

Di queste conferenze se ne trovano ricordate nove, una alla settimana, su temi assegnati dal Ministero dell’educazione nazionale. Gli insegnanti si erudiscono intorno ai seguenti assiomi: Soggezione economica e soggezione politica. La scuola come fucina della nuova coscienza dell’italiano nuovo. La scuola come coscienza della potenza e del divenire della nuova Italia. Bisogno espansionistico: ferma volontà di civiltà, di giustizia, di pace. Unità spirituale del popolo italiano: unità di pensiero, di ideali, di sentimento, di volontà; un popolo fattosi milizia, esercito, uno, concorde, saturo di ardimento, di virtù civili e militari, ardente di fede, affascinato dal sole, sublime miraggio della grandezza della Patria”.

Quest’ultimo tema è davvero il trionfo del luogo comune e della reto­rica, tale anche nel presente momento, dettato da quegli imitatori del “Capo” che agitano e gonfiano le sue idee quanto più gli riesce di fare.

ludovico ragno 2006

10 – CONTINUA