Verso la vittoria finale
Un vigile maestro, il 16 aprile dà il primo avviso dell’imminente vittoria: “Le nostre truppe hanno occupato Dessiè. Il paese sorge a 2640 metri di altezza. Una buona strada camionabile lo congiunge ad Addis Abeba. Lo Scioa è aperto alle truppe italiane.
Possiamo dire sin d’ora che i giorni dell’impero etiopico sono contati”.
Per i successi delle nostre truppe in oltremare, nuovi eroi sono saliti nell’Olimpo della patria. Primeggiano i generali Badoglio e Graziani. Se Mussolini è la mente della guerra all’Etiopia, essi ne sono gli esecutori: il primo comanda l’armata italiana che muove dall’Eritrea e il secondo l’armata che muove dalla Somalia. A fianco dei nostri soldati combattono anche reparti indigeni, composti di nativi delle nostre due vecchie colonie: circa 50 mila ascari eritrei e 26 mila dubat somali.
21 aprile: natale di Roma
Il 21 aprile, giorno convenuto in cui Romolo avrebbe tracciato il solco fatale da cui ebbe origine quella che doveva diventare “città dei Cesari”, poi dei Papi e infine del fascismo, è incluso tra le feste nazionali. In questo giorno si celebra la festa del lavoro, che si è voluto svincolare dal calendario intemazionale perché quella del primo maggio è classista, e il fascismo ritiene di aver conciliato e superato la divisione delle classi nel corporativismo. Di fatto, sulla scia dei contrasti con la Francia e l’Inghilterra, e forse senza proporselo, ha elevato la lotta fra le classi a lotta fra nazioni povere e nazioni ricche, come qualche scrittore di poi osserverà.
Una nota di circostanza: “In occasione del natale di Roma ho parlato ai miei alunni dell’importanza di questa data. Il fascismo italiano si raccoglie attorno ai suoi mille gagliardetti per celebrare la sua festa e quella del lavoro. Qui, nel nostro paese, si è fatta una discreta festicciola. Il segretario del fascio ha illustrato la ricorrenza, indi ha distribuito dei libretti di pensione a parecchi vecchi e invalidi”.
La presa di Addis Abeba
Pomeriggio del 5 maggio 1936, le truppe italiane entrano in Addis Abeba. Mussolini appare sullo storico balcone. Sotto, come sempre, la folla assiepata pende dalle sue labbra. Egli parla: “Annuncio al popolo italiano e al mondo che la guerra è finita. L’Etiopia è italiana”.
“L’adunata di stasera – registra un maestro con la data dello stesso giorno 5 – non poteva riuscire più imponente e grandiosa. Tutto il paese è imbandierato. Piazza Vittorio Emanuele è gremita di una folla straordinaria per ascoltare il discorso del Duce. Le storiche parole con le quali egli ha annunciato la vittoria e la pace hanno fatto raggiungere i vertici dell’entusiasmo alla gran folla”.
Il trionfalismo della piazza si riverbera anche nella scuola, nei registri di classe. Una cronaca del giorno dopo:
“L’entusiasmo della scolaresca stamattina non conosce limiti. Le cartine dell’Etiopia che abbiamo in classe è stata presa d’assalto e tutte le bandierine che segnavano i diversi punti delle precedenti avanzate delle nostre truppe sono state concentrate su Addis Abeba”.
La guerra è dunque finita. Il comandante del corpo di spedizione, Pietro Badoglio, viene nominato governatore dell’Etiopia con il titolo di viceré; il generale Rodolfo Graziani è promosso maresciallo d’Italia.
La proclamazione dell’Impero
Si respira aria di nuova frontiera. Un rinverdito mal d’Africa insieme col miraggio del lavoro sicuro e ben retribuito alla portata di tutti nell’Africa Orientale Italiana (ormai l’Etiopia si chiama ufficialmente così), sono gli argomenti all’ordine del giorno nelle piazze, nelle case, nei campi e nelle botteghe, nella scuola, mentre l’anno scolastico volge al termine.
I maestri ora tirano le somme della nuova situazione con gli alunni Uno la pensa così: “L’Italia ha finalmente il suo impero. Impero di pace, perché l’Italia vuole la pace per sé e per tutti; impero di civiltà e di umanità per tutte le popolazioni dell’Etiopia”.
Ma maggio ha in serbo ancora tre avvenimenti da celebrare: la proclamazione dell’impero il giorno 9, la commemorazione dell’entrata in guerra dell’Italia il giorno 24 e il coreografico saggio ginnico che gli alunni di tutte le scuole eseguono davanti ai cittadini il pomeriggio dello stesso giorno 24 in piazza Vittorio Emanuele.
9 maggio. E’ sera, radiodiffuso in tutte le città della penisola, giunge agli italiani radunati nelle piazze il trionfale discorso di Mussolini: “Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la vittoria africana resta nella storia della patria, integra e pura, come i legionari caduti e superstiti la sognavano e la volevano. Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’impero, lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi. Ne sarete voi degni?”. La folla gli risponde, com’era nell’attesa, con un grande “sì”, corale, urlato, che accende la miccia all’esaltazione finale: “In questa certezza suprema, levate in alto, o legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare dopo quindici secoli la riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma”.
Mussolini indugia ancora un po’ sul balcone a godersi la marea di applausi che si leva verso di lui. E’ il momento più alto della sua popolarità.
La concomitante festa di S. Maria, il 9 maggio, non so se giovi ad accrescere il giubilo per l’evento compiutosi, testé celebrato dal discorso del duce, o se invece gli sottragga spazio, dato che la Madonna di S. Maria primeggia sempre nel cuore dei viestani, e con lei i festeggiamenti che l’accompagnano.
La breve nota di una maestra della classe prima, qualche giorno dopo, affida al registro la scena dell’ultima manifestazione come lei l’ha vista o sentita: “La sera del 9, alle ore 11, tutto il popolo di questo paese delirante di gioia ha acclamato il Re d’Italia: Imperatore, e il Duce: Fondatore del- l’Impero”.
Anche un altro insegnante seleziona dal discorso del duce le parole, già riferite nell’altra nota, che celebrano la conquista e, insieme, prefigurano l’opera benemerita che verrà compiuta dagli italiani in Etiopia: “L’Italia ha finalmente il suo impero. Impero di pace, perchè l’Itàlia vuole la pace…” E’ sotto questa luce che tanti italiani pensano e amano vedere l’evento compiutosi: portare in quella regione dell’Africa la pace, la civiltà, l’umanità
Le annotazioni sui registri sono finite e l’anno scolastico è prossimo a finire. Insegnanti e alunni presto andranno in vacanza. E’ convincimento diffuso di essere all’inizio di un avvenire più bello e sereno per l’Italia.
24 maggio – In piazza Vittorio Emanuele gli alunni delle scuole elementari e di quella secondaria eseguono il tradizionale saggio ginnico. Il pubblico è composto, in buona parte, come sempre, di genitori dei ragazzi, insegnanti e autorità cittadine. C’è ancora il profumo della festa di Santa Maria. Qui a sinistra “il concerto”, ossia il palco su cui ha suonato la banda nei giorni della festa.
FOTO CHE APPARTENGOMO AGLI ANNI TRENTA E NOTIZIE RELATIVE.
QUALCHE RIFERIMENTO CON QUELI ANNI
Trabaccoli del dopoguerra
Nei primi anni del dopoguerra, a Vieste, si rinnova la flottiglia di questo tipo di imbarcazioni. Gli equipaggi, invece, sono quasi tutti gli stessi di prima. Ma ancora per poco, sia per i trabaccoli che per gli equipaggi. Alcune loro foto.
Sotto, “il Giovanni Pascoli”, tonn. 110, di Vieste dal 1953 al 1960. Armatore Leonardo Pecorelli, capitano Giacomo Guzzi. Venduto a un armatore di Trieste e poi a Trieste andato in disarmo, nei primi Anni Ottanta fu noleggiato dalla RAI e adattato a mercantile veneto del XIII secolo per essere impiegato nello sceneggiato televisivo “Marco Polo”. Successivamente, ripulito della truccatura con cui era stato trasformato in un veliero del Duecento, venne riportato allo stato originale.
Dall’84 è Tammiraglia della piccola flottiglia di trabaccoli galleggianti nel museo della marineria, realizzato nel porto-canale di Cesenatico dai nostalgici di Romagna, regione madre di queste imbarcazioni.
Pagina a fronte, sopra il “Giuliano Paola”, tonn. 170. A bordo i proprietari e membri dell’equipaggio: tutti naviganti che provengono dalla Anni Venti e Trenta: Ragno Stefano, Cavaliere Antonio, Lombardi Stefano, Pecorelli Leonardo (cazzaridd); sotto il calafatato Barbone.
Sotto, il “Cromo”, altro trabaccolo utilizzato dalla televisione per le riprese del “Marco Polo”. A Vieste fino al 1960. Proprietari: Di Biase Francesco, detto Barbanera (anche capitano), Calderisi Giulio e Iannoli Nicola.
Le spiagge, i bagni
Negli anni tra le due guerre di diffonde la moda dei bagni di mare. A Vieste, alcune famiglie benestanti installano, al principio degli Anni Trenta, le prime cabine balneari, per uso privato, sulla spiaggia del Castello. La gente le chiama bagnarole. Ma non saranno mai numerose. I viestani continuano a fare i bagni anche sulle spiagge di S. Lorenzo e della pescheria, e sulle basse scogliere di S. Francesco e “Sotto la Ripa”. Cade il tabù che copriva le gambe famminili. A scoprire anche il resto si arriverà dopo la seconda guerra mondiale
ludovico ragno 2006
12 – FINE