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RIAPPROPRIAMOCI DI UN MITO. LE ISOLE DIOMEDEE?.. VIESTANE!

L’opinione che le isole Diomedee siano le Tremiti dura ormai da secoli e non soltanto tra le popolazioni garganiche. Però, alcuni antichi documenti, la realtà dei luoghi, gli  scritti, i toponimi e i numerosi antichi nomi di Vieste attestano che sono soltanto patrimonio Viestano. Analizziamoli.

Le isole Diomedee e il Timavo in Strabone

Quando parla della Iapigia, Strabone (Italia.VI.3,9. Ed. BUR) scrive: “In questo golfo (mia nota: dell’antica Siponto!) c’è un promontorio sul mare, il Gargano, che si protende verso levante per 300 stadi. Nel doppiare il capo del promontorio si incontra la piccola città di Ourion, mentre le Isole Diomedee sorgono proprio davanti alla punta (..) Nel tempio di Atena a Luceria ci sono per esempio doni votivi (anche Luceria fu un’antica città dei Dauni, ora caduta in rovina) e nel mare vicino vi sono due isole chiamate isole <Diomedee>, delle quali una è abitata, mentre l’altra dicono che sia deserta. In quest’ultima, secondo quando favoleggiando raccontano alcuni, avvenne la sparizione di Diomede e la metamorfosi dei compagni in uccelli (.) Alcuni sostengono che Diomede si accinse a tagliare un canale fino al mare, ma che dovette lasciare incompiuta quest’opera perché era stato richiamato in patria dove fu sorpreso dalla morte (.) ce n’è poi un altro secondo cui egli sarebbe rimasto qui fino alla morte e un terzo mitico, che ho già raccontato parlando della sua sparizione nell’isola. Qualcuno può poi considerare, come quarta versione, quella narrata dai Veneti: costoro raccontano infatti una leggenda secondo cui la morte dell’eroe, che essi chiamano <apoteosi>, sarebbe in qualche modo avvenuta presso di loro”.

Come si può notare da un’attenta lettura del testo, mentre prima Strabone scrive che le isole Diomedee stanno “proprio davanti alla punta” del Gargano, sul punto in cui si doppia il capo del promontorio, dove è ubicata la cittadella di Ourion (Uria, la portuale Vieste), poi, parlando di Lucera scrive:nel mare vicino” vi sono “due isole chiamate isole <Diomedee>”. Quest’ultima espressione fa pensare “fatalmente” per i sapientoni di turno alle isole Tremiti, sebbene esse siano in numero di cinque, poiché si trovano nel mare vicino a Luceria, ma che non è lo stesso di davanti la punta del Gargano citata in un primo momento da Strabone. La verità viene dal portolano ‘da Uzzano’, che nel 1442 del Gargano scrive: “Bestria è porto, e sopra lo capo sonvi Isole ch’anno nome 3 Molinas (le Tremiti), e sono lungi 15 miglia per maestro“. Le ‘3 Molinas’ è un nome di origine greca che significa: le “tre secche” sottomarine dalle quali in realtà fuoriescono ben cinque isolette di varia misura che indubbiamente sono le Tremiti che in effetti distano km 27,7 da Bestria, altro nome di Vieste.

Prima, parlando dei centri della pianura padana, Strabone (Ivi, V.1,8) tramanda altri particolari del sacrario di Diomede scrivendo: “Proprio nella parte più interna dell’Adriatico c’è un santuario di Diomede degno di menzione, il Timavo: esso ha un porto, un bosco bellissimo e sette fonti di acqua fluviale che si riversano subito nel mare con corso largo e profondo. Posidonio afferma invece che il fiume Timavo, scendendo dai monti, precipita in un baratro, scorre sotto terra per 130 stadi e poi riappare in superficie vicino al mare. Dice però Polibio che ad eccezione di una, tutte le altre sono di acqua salata e che gli abitanti chiamano il luogo <sorgente e madre del mare>“. Subito dopo, però, Strabone (Ivi V. 1,9) riporta il mito dell’eroe nella Daunia scrivendo: “Quanto al dominio di Diomede nella zona intorno a questo mare, ne sono testimoni le isole di Diomede e quanto si racconta dei Dauni e di Argos Hippium”. L’essere Vieste sorgente e madre del mare appare nel racconto del Beltramelli che nel Gargano del 1907 scrive: “Le due lavandaie mi raccontano come il mare si sia formato, sotto la montagna, un grande nido”. Ciò è dovuto al fatto che si pensava che ad alimentare il mare fossero le correnti viestane anche se, più giustamente, per Omero era l’Oceano, fiume che circonda  la terra e padre degli Dei e di Calypso a far traboccare i fiumi e i pozzi sorgivi per via delle maree. Ma altra considerazione sui Viestani che chiamano il luogo <sorgente e madre del mare> è la seguente: oltre il racconto del grande nido del Beltramelli questo concetto mitologico viene confortato in un altro momento sempre da Omero (Iliade XVIII,399), secondo cui il mare si forma dalle acque sgorganti dalle viscere della Gran Madre Terra, Gaia, che difatti a Vieste è presente tuttora nel toponimo “la Gioia”, o Gaia, o Gea, o Ge, che è la Terra che aveva inizio subito dopo il suo antico porto e da dove sgorga la corrente di acqua buona del Pantanella, mentre la madre dei restanti canali viestani è presente nel toponimo della collina poco distante dal Montarone detta i Masuliane, nome derivante dal greco Ma(ter)solayno: madre dei canali, sotto la quale sgorgano le gole delle correnti viestane della Scialara. Vieste come Porta della Gran Madre Terra. Acqua Sorgiva, è presente su delle pietre trovate in un fabbricato rurale sulla collina del Carmine con sopra iscrizioni in greco arcaico interpretate asetticamente dal viestano dott. M. Petrone nella prima decade del 1900. Inoltre la parte più interna dell’Adriatico non è il Veneto in quanto parte finale del Golfo, ma la profonda insenatura nel Golfo Adriatico generata dalla sporgenza del Gargano, poiché Strabone prende lo spunto da Tolomeo che cita Apeneste: estremità orientale in cui si trova Vieste, come ultima città del Mare Ionio e adiacente il Golfo Adriatico, Uria, sempre Vieste. Infatti questi due mari si dividevano a Vieste ancora in mappe del 1600. Questa divisione è già presente in Omero quando Alcinoo nel presentare il naufrago Odisseo ai Feaci, nome poetico che sta alla luminosità dei corni viestani, abitanti di Scheria, nome generato dall’approdo (indeur.: sker) al porto formato dalla continuità delle rupi (gr. skeros) viestane, afferma di non sapere se il naufrago provenisse dalle genti occidentali (esperion) o orientali (eonion). Sulla linea di confine tra il Golfo Adriatico e il Mare Ionio va inserito l’omerico Ellesponto che dall’etimo greco pontos è un sentiero del mare alto e aperto che non è lo stesso di un canale marittimo stretto tra due terre dell’attuale Bosforo. Mentre l’etimo elles è antico, greco da cui gli Elleni per i Greci che non appartengono all’attuale Grecia poiché in origine il termine greco valeva per tutto quanto si trovava sul percorso del Sole il giorno del solstizio d’estate, tutto il resto era considerato barbaro ed è ciò che si trova pari pari nel latino aestus che è il sentiero solstiziale estivo presente e che si trova nei Viestani come V(i-a)estysane, cioè figli dell’aestus più alto. Cioè greci da cui la Magna (grande soprattutto per età) Grecia per l’Italia, poi meridionale. Vieste è un nome di origine greca che in assenza della V nel suo alfabeto proviene da Ui, abbreviazione di uios: figlio/a; este: Oriente, o del Greco e altri significati, poiché in questo giorno solstiziale estivo a Vieste il Sole si vede sorgere frontalmente da dietro la punta occidentale dell’isoletta del Faro, o di (S.) Eufemia, stessa direzione dalla quale proviene il vento di Greco che gli abitanti di Montesantangelo identificano significativamente come il vento di Vieste. Questo significa che gli omerici Elleni sono equivalenti di Viestani e non vanno confusi come abitanti dell’attuale Grecia, un fatto avvenuto erroneamente fin dal 7° sec. a. C.. La linea ovest-est dell’Ellesponto con partenza da Vieste viene dichiarata da Omero quando scrive che l’indispettito Achille (= di fronte alla punta – del Gargano!) minacciò di partire da Troia, ora rovinata Merino, per “tornare in patria a Ftia facendo tre giorni di navigazione nel pescoso Ellesponto andando verso l’Aurora”. A oriente, o verso l’aurora, di Vieste c’è l’omerica Tracia, ora penisola balcanica, nella fattispecie l’Illyria, che significa di fronte a Yria, cioè di fronte a Vieste.

Il Timavo in Virgilio

Virgilio (Eneide I,244) porta a nove il numero delle corwww.retegargano.it/VECCHIO_wp-content/uploadserar del Timavo, donde per nove bocche”…

L’antica topografia di Vieste senza gli arenili. Copertina del mio primo libro: Vieste, luce eterna: patria di Omero

Isole Diomedee e il Timavo in Plinio

Plinio (Storia Naturale III.30,151-Ed. Einaudi) aggiunge altri due nomi scrivendo: “Davanti alla costa pugliese sono le isole Diomedea, famosa per il monumento funebre a Diomede, e l’altra dello stesso nome chiamata Teuthria da alcuni (.) Le coste dell’Illirico  brulicano più di mille isole, poiché il mare ha per natura fondali bassi, e i flussi di marea s’incuneano in stretti alvei. Sono famose le isole alla foce del Timavo per le sorgenti calde che aumentano con l’innalzarsi della marea”. Quindi le isole Diomedea e Teuthria si trovano davanti alla foce del Timavo, da altri chiamato Teuthrantos, fiume caldo soggetto alle maree per la loro natura carsica che viene confermata da Posidonio in Strabone. Il nome Teuthria, dal greco teuthrion: biancastro, bianco antico, canuto, del tutto analogo di argos, sono nomi ispirati dal bianco calcareo delle rupi viestane. Teuthria, quindi, è lo stesso di Argos Ippion, la città fondata da Diomede nella Daunia, nei campi iapici del Gargano secondo Virgilio, propriamente sul luogo del suo sbarco, che conduce al porto del Pantanella della biancastra Vieste. Il fiume caldo del Timavo, o Teuthrantos, va principalmente identificato con la corrente d’acqua buona del Pantanella che tuttora scorre canalizzato a fianco delle due isole di Teuthria e Diomedea.

Diomede nelle memorie viestane

Il più antico documento viestano sulla presenza in loco di Diomede è una lettera scritta, dopo il terremoto che a fine Agosto del 1646 devastò Vieste, da don Natale Fazzino, vicario di Accarisio, Vescovo di Vieste. Il Fazzino fa una relazione completa dei danni subiti dalla città e per favorire la sua ricostruzione evidenzia le glorie di Vieste, scrivendo: “e la memoria degli offerti ordegni per voto con che la fabricò il Gran Cavallo de’ Greci sotto Troia, et il passaggio che per Ella fece Diomede Capitan greco per dove poi passò in Tremiti, et ivi edificò in detta isola case e tempij“.

Oltre un secolo più tardi, il Giuliani (Memorie Storiche di Vieste) ipotizza un percorso inverso dell’eroe omerico scrivendo: ”Anche Diomede (..) vago di maggiori conquiste e gloria, dalla patria partendo, fè’ vela per questi nostri mari. Su le prime sbarcò nelle isole Tremiti, che sono avanti al promontorio Gargano, dal suo nome dette Diomedee, ed ivi per qualche tempo fermatosi, approdò finalmente nei lidi garganici. Colla forza e colle armi avendo ritrovato ne’ primi suoi popoli forte resistenza, procurò rendersi signore della montagna tutta, come leggesi nell’Eneide di Virgilio (lib. XI) (.) Ed oh come senza accorgercene, non lieve congettura ci persuade, che dallo stesso Diomede riconosca i suoi principi ben anche la nostra città di Vieste. (.) Tale incavo certamente dové essere quella fossa designata da Diomede, per spartire il braccio del resto del Monte, acciocché entrandovi le acque marine ne risultasse un’isola”. L’incavo si riferisce sia al rialto naturale del Montarone rispetto al resto del territorio viestano oltre l’istmo, sia allo scavo delle fondamenta delle mura fatte di blocchi isodomici di palmi 6/7 di lunghezza, palmi 4 di larghezza e 2 di altezza o di spessore, emersi dopo abbondanti piogge e ritrovate a più riprese nei secoli sull’istmo del Montarone, alcuni dei quali si trovano tuttora accatastati a fianco dell’Hotel Mediterraneo. Queste stesse mura isolavano e proteggevano pure l’omerica Scheria, città che per trovarsi “all’estremo del mondo” diventa la più antica testimonianza dell’identità di Vieste come Pizzomunno. L’intenzione di Diomede era quella di rendere isola il Montarone che perciò prende pure il nome di Teuthria.

Il Beltramelli (Il Gargano nel 1907) giustamente conclude: “Le origini di Vieste (.) si perdono (.) nella leggenda e nel mito. Al favoloso eroe Diomede e al popolo suo, se ne attribuisce la fondazione in epoca indefinibile: o meglio, poco dopo la guerra di Troia verso il 1184 a.C.”.

Analisi dei singoli elementi del sacrario di Diomede con riferimento al territorio viestano

Gli elementi che emergono dalle citate testimonianze sono tali e tanti da escludere sia le Tremiti, pensando innanzitutto ai 130 stadi (km 19,5) di lunghezza sotterranea delle sette o nove correnti del Timavo, sia i Veneti (Oinetoi) che erano alleati dei Troiani ma che finita la guerra a costoro piaceva onorare il loro nemico ed eroe Diomede. Tali elementi sono:

  1. l’isola disabitata e tomba di Diomede. Si tratta dell’isolotto del faro viestano. Una leggenda dauna (T. Maiorino. Senz’età. Rivista di utilità scientifiche – Roma) racconta che uno dei compagni di Diomede, salvatosi dalla trasformazione in uccelli che si struggono in penosi lamenti sull’isoletta disabitata e tomba dell’eroe, sposa la bella sirena Uria e insieme fondano una città che viene chiamata col nome di lei, Uria, (in analogia con la leggenda della fondazione di Vesta da Noè e Vesta) che poi viene fatta sprofondare dagli dèi per la lascivia, o per la superbia dei suoi abitanti. Da una parte, quindi, il sacrario di Diomede si identifica con Uria; dall’altra si identifica con Vieste sia per il suo nome greco di Estia, (E. Bacco. Regno di Napoli diviso in dodici Provincie), cioè sacrario, santuario, altare, monumento funerario, sia per il più recente nome di Vestice che dal latino ve-stig-ium è, parimenti, memoria, monumento funerario. Lo provano ancora altri antichi nomi di Vieste che, però, ci fuorvierebbero a lungo dal tema, anche se va detto che il Timauon si compone degli etimi greci timao, onoro, e auo, mando un urlo, in cui è succinta la leggenda dei compagni che onorano Diomede con lamenti, poiché infiammati di passione per la sua morte. Infatti, altro auo è brucio (di passione) ed è analogo del latino uro derivato dal sanscrito urja: altra identità di Vieste col nome Uria. I compagni di Diomede trasformatisi in uccelli, sono i gabbiani, che preferiscono pernottare sull’isolotto di (S.) Eufemia, tomba di Diomede, e volando durante il giorno tuttora si struggono in penosi gemiti;
  2. delle due isole, Diomedea e Teuthria, quest’ultima, abitata, non è una vera isola ma una penisola che si collega al resto del territorio mediante un istmo, il Montarone, quello che Diomede voleva tagliare per farne una vera isola. A tal proposito è utile la testimonianza del portolano Rizo (Ruggieri. Vieste nell’Alto Medioevo), che nel 1490 scrive: “Bestie e cita e sia per tramontana do ixole che li fa porto. la sua intrada si e di leuante e perche la bocha da ponente e pizola et iui per esserui picol fondi usa grandissima chorente de aque“. La presenza delle <do ixole> che formano i due antichi porti viestani (li fa porto) situati ai lati dell’istmo del Montarone e dell’omerica Scheria, ma principalmente l’antico porto viestano, il Pantanella, consente di affermare che Teuthria va individuata con il Montarone, cioè la penisoletta bicornigera su cui sorge l’antica Vieste. Infatti, dal greco moun(az)-tauro-one, il toponimo Montarone indica la realtà del sito, cioè un <peduncolo isolato ma non distaccato avente la forma di corna di toro possente>. L’essere isolato del Montarone se fatto pervenire da monios o da monos diventa un singolare (lat. unus) che porta automaticamente a un cinghiale (voc. gr. Rocci) e quindi alla sua femmina chiamata Troia. Teuthria, dal greco teuthrion: biancastro, bianco antico, canuto è lo stesso di Argos (Ippion), la città fondata da Diomede. L’omerica Argo, che deve il suo nome al bianco antico delle rupi viestane che l’incingono come una “veste”, è poi detta Ippion (per le fonti: atta ai cavalli) un po’ perché la patria e regno di Diomede, Argo: (bianco, preso da Omero dalla falesia viestana), è definita dallo stesso Omero <nutrice di cavalli>, un po’ perché è anche esposta ai cavalloni marini verso cui si immerge. Perciò l’omerica Argo e Argos Ippion diventano Argiryppa e Argirypa. Argiryppa, da argos-ryppa(ioi), indica che le sue bianche rupi si inoltrano nel mare, quasi navigassero arditamente. Argi-rypa è un’Argo esposta ai venti e al mare, come per la Ripa viestana, che per questa stessa peculiarità e per la presenza della <grandissima chorente de aque> che il Rizo invita a usare per entrare nel porto, si identifica con Uria anche come <alveo con canale per trarre le navi da e per il mare> equivalente del gr. òuròs; L’isola disabitata, o Diomedea, è l’isoletta di (S.) Eufemia, dove va sistemata la tomba di Diomede, ma che per Omero diventa pure la nave dei Feaci, affondata e pietrificata con una manata di Poseidone al ritorno dopo l’accompagno in patria di Odisseo a Itaca, sempre Vieste sia per il porto munito della corrente di acqua buona, chiamata Aretusa, sia per i due corni sui cui poggia la città similmente al Montarone e sia per la visita a piedi al Regno dei Morti, che è la Necropoli della Salata in cui sgorgano tre sorgenti che tuttora confluiscono in un unico canale che sbocca a mare e che Omero identifica, in ordine di sorgenza, come Cocìto, Piriflegetonte, che si gettano nello Stige dando origine al finale Acheronte che tuttora sbocca a mare a Scialmarino. Il Regno dei Morti viene visitato una prima volta con la nave su invito di Circe. Il porto del Pantanella viene da Omero riportato interamente pure con il porto dei Lestrìgoni con la corrente Artachia al suo interno; con il porto dell’isola dei Ciclopi con al vertice una polla sorgentifera di acqua dolce; con il porto dell’Isola di Artachia che viene traboccato di acqua dolce, con il solo riferimento a uno dei porti di Skeria. L’altro porto si trovava sul lato opposto del Montarone, laddove c’era una roccia interamente divelta recentemente per fare posto a un hotel.
  3. le sette o nove correnti del Timavo. Oltre la <grande chorente> di acqua buona del Pantanella, per i fatti raccontati da Posidonio, Strabone e Plinio e perché in realtà essa serviva per le provviste di acqua dei Viestani per mezzo di acquaioli fino agli anni 1950, le altre sei od otto, tutte di acqua salmastra, scorrono sugli arenili della Scialara. Il totale di nove di Virgilio si raggiunge con le altre due correnti che scorrono sulla spiaggia della Catharel: sorgente pura; ora italianizzata come Gattarella, località che si trova oltre il Ponte (dal greco ponéto = la pena) che come la Pena appare in due mappe del 1600, quella del Magini e quella di Johannes Blaeu. La pena proviene dal fatto che Omero racconta che Odisseo, tenuto in ostaggio da Calypso per sette lunghi anni, era solito sedersi sullo scoglio tuttora situato nel mare sul quale soffriva dura pena, versava largo pianto, agognando il suo ritorno a casa;
  4. il porto. La prova del riconoscimento della parte più interna dell’Adriatico di Strabone con il porto di Uria, unico seno marittimo naturale nel lato italico dell’Adriatico di allora, sta nel Mela (De situ orbis. II,4) che scrive: “(c’è) un seno fortificato dal continuare del litorale apulo, di nome Uria, piccolo di spazio, di accesso assai difficoltoso”. Premesso che il Rizo tramanda le difficoltà di accesso al porto suggerendo di entrare di poppa e con la prora rivolta “ale ixole“, per superare con difficoltà la “pizola bocha”, al Pantanella (dal greco panta-ne(a)-el(os)-laàs = tutto navale puntello rupe) si arriva anche con altri documenti. Infatti, se da una parte Seneca (Ad Elviam Matrem V-VII) tramanda che nello stesso <locus/isola> sono sbarcati tutti i popoli che poi si sono disseminati per il continente fino alla Gallia, oltre a: “ .. Diomede e gli altri che la guerra di Troia disseminò, i vinti insieme ai vincitori, per le terre altrui”, e dall’altra si considerano sia Diomede, che fonda Argos Ippion con i sassi portati da Troia (S. Ferri. Atti etc. Trinitapoli 1972), sia Enea e Antenore, che con un gran numero di Eneti fondano Vieste col nome di Troia e chiamando troiano il teriitorio. Un fatto supportato da Livio (Storia di Roma I,1-Ed. BUR) che scrive: “giunse nella più profonda insenatura dell’Adriatico (.) Troia viene chiamato il luogo in cui essi primamente sbarcarono”, che oltre la descrizione del porto viestano, il Pantanella, come luogo di sbarco di Enea chiamato Troia, un nome già presente in questo luogo, cui si aggiunge lo sbarco di tutti gli altri eroi sopravvissuti. Il Pantanella è presente in Virgilio (Eneide. III,521- Ed. Einaudi) che scrive: “Il porto si curva ad arco verso l’onda orientale, gli scogli avanzanti grondano spuma e spruzzi salmastri, ma esso è al riparo: in doppio bastione allungano i bracci le rupi turrite”, un riferimento al Pantanella che si curva ad arco verso l’onda orientale e agli scogli avanzanti che sono i corni del Montarone. Il grondare spuma e spruzzi salmastri si trova sia in Omero, quando scrive degli abitanti di Skeria, sia come altro significato del latino aestus;
  5. il bosco bellissimo. Di primo acchito si è portati a pensare al bosco garganico o alla Foresta Umbra, ma altri riferimenti, lunghi e fuorvianti, indicano un bosco di lauri, o di nere abetine, che un tempo circondava la polla sorgentifera del Pantanella, alla quale faceva da sfondo. Omero cita l’Ida (= selvoso, luminoso) come ricco di vene, monte della Troade la cui cima meridionale era il Gargaros, nome omerico del Gargano che proviene dai gargarismi nei gargarozzi, o gole, delle correnti, o vene viestane. Da gargaros deriva il nome di Gargaria per l’Italia di Aristotile. Tutti i nomi dell’Italia, come Gargaria, Enotria, Esperia, Ausonia provengono da specifiche peculiarità di Vieste. Il nome Gargano, gr. Garganon, significa “per davvero luminoso”. Ora per continuità Montagna del Sole che gli gira intorno dal primo mattino alle ultime ore di sera.

Resta da chiedersi il perché della presenza di tutti questi episodi facenti capo a Omero su questo lembo di terra garganico e della sua elezione a sacrario di Diomede e di una Troia già presente a Vieste. La risposta c’è: il loro inventore Omero è incontestabilmente un viestano, anche per tutti gli altri luoghi narrati nell’Iliade e nell’Odissea che si trovano tuttora a Vieste.

Prof. Giuseppe CALDERISI

( nato a Vieste il 01 Febbraio 1943)