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LE ISOLE TREMITI TORNANO A SOGNARE IL PONTE BORBONICO CHE UNIVA SAN NICOLA A SAN DOMINO E POI ABBATTUTO. IL TECNICO DE MEO: «NON LO VOLEVANO PERCHÉ COLPIVA TROPPI INTERESSI ECONOMICI»

Dopo vent’anni di proposte e sospiri, pare sia giunto il momento della verità: le Isole Tremiti potrebbe vedere realizzato il ponte di collegamento fra le due maggiori isole dell’arcipelago:- San Nicola, centro storico, e San Domino dove si è mag­giormente sviluppato il turismo, in ogni caso in forte crescita su tutto le Diomedee. La svolta l’ha impressa la visita del Ministro per la protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci, ma ancor più l’atto di in­dirizzo del consiglio comunale di Tre­miti che prevede il ripristino del pon­te di re Ferdinando II di Borbone.

In buona sostanza l’apertura in ter­mini realizzativi di un’opera storica sulla quale si è speso in termini di studi e di progettazione, Michelange­lo De Meo, ingegnere, di Manfredonia che nel corso di questi ventanni ha approfondito un argomento tanto af­fascinante quanto di grande attualità considerato lo sviluppo turistico di quelle isole dirimpettaie del Gargano. Oggi De Meo è uno degli esperti della storia intensa e spesso tumultuosa di quell’arcipelago piantato nell’Adria­tico, passato da diseredata colonia pe­nale a paradiso del turismo moderno. Se il progetto del ponte sarà realizzato la gran parte del merito è di questo sognatore ma con gli occhi bene aperti e le idee chiare che si è battuto stre­nuamente per far capire l’importanza di quel ponte nel contesto sociale, economico, am­bientale delle iso­le.

«Una importan­za che l’aveva ca­pito nel 1844 Fer­dinando II di Bor­bone che lo fece co­struire: una strut­tura in legno che non resistette a lungo alle mareggiate e finì per crollare» spiega De Meo che ha ricostruito, conducendo accurate ricerche sul posto e negli archivi sto­rici, tutta la vicenda di quel ponte del quale rimangono i tronconi delle palafitte sul fondo.

De Meo si mise all’opera e progettò «un ponte in legno coperto, avveni­ristico e ancor oggi innovativo. Aveva circa 80 box vetrina sull’impalcato, era coperto e su di esso era presente un impianto fotovoltaico, zone di re­lax, ristoranti, museo subacqueo, collegamenti multimediali per vedere la vita marina con webcam immerse in mare».

Un lavoro meti­coloso e razionale «che presentai – ri­corda – a vari enti, ma nessuno mi ri­spose. Negli ultimi 20 anni ho presen­tato numerose ri­chieste di collaborazioni e sponso­rizzazioni per la pubblicazione di un testo che rac­contasse del ponte e della vita della colonia penale, ma non ha avuto al­cuna risposta. La parola ponte era un tabù e andava a toccare interessi eco­nomici costituiti. Si arrivò persino a dire che la documentazione raccolta era falsa. Fu una vera umiliazione».