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BALNEARI – LE CONCESSIONI NON SCADONO A FINE ANNO, TORNA LA PROROGA AL 2033: LA CASSAZIONE HA ANNULLATO LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO

«La Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia al Consiglio di Stato». E da Nord a Sud dell’Italia, dalle coste del Mar Ligure e del Tirreno, risalendo verso latitudini nostrane dello Jonio e dell’Adriatico, è partita la òla degli imprenditori balneari. La scadenza dei titoli concessori non è più fissata al 31 dicembre 2023. La sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, emanata su espressa richiesta del sindaco di Lecce Carlo Salvemini, di fatto non esiste più. Soprattutto, da ieri mattina, dopo la pubblicazione della decisione della Corte di Cassazione, non c’è più il braccio di ferro tra potere legislativo e potere giudiziario.

Delle 33 pagine di sentenza infatti il passaggio più significativo è nelle ultime righe: «Spetterà al Consiglio di Stato – scrivono i giudici della Suprema Corte, presidente Pasquale D’Ascola – pronunciarsi nuovamente anche alla luce delle sopravvenienze legislative, avendo il Parlamento e il Governo esercitato, successivamente alla sentenza impugnata, i poteri normativi loro spettanti».

La Cassazione dunque si allinea a quanto già stabilito pochi mesi fa dalla Corte di Giustizia europea, la quale aveva specificatamente chiarito che l’applicabilità della Direttiva Bolkestein è strettamente legata alla scarsità della risorsa demanio, ma che tale scarsità e i criteri per stabilirla sono sotto la valutazione insindacabile del potere legislativo dello Stato membro.

A chi pensava che la decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato fosse la parola ultima sulla vicenda o, per dirla in punta di diritto, sentenza passata in giudicato, i giudici della Corte di Cassazione spiegano: «Il vincolo del giudicato può formarsi unicamente sui capi delle sentenze della Plenaria che definiscono una controversia, mentre tale vincolo non può dirsi sussistente a fronte della sola enunciazione di principi di diritto, la quale al contrario richiede un’ulteriore attività di contestualizzazione».

Rilevano dalla Corte, come aveva fatto lo stesso Procuratore generale, il rilievo considerevole della sentenza della Plenaria: «un vincolo che riguarda anche tutti gli altri giudici amministrativi in considerazione dell’autorevolezza dell’organo da cui proviene e quindi di una forza persuasiva destinata ad influenzare numerosi casi analoghi nell’intero territorio nazionale». Come a ribadire che il potere legislativo è ancora in capo al Parlamento, e che i giudici decidono sul singolo caso e solo su quello, applicando le norme esistenti.

Una vittoria per un’intera categoria da anni con il fiato sospeso, nonostante la mappatura effettuata questa estate abbia dimostrato una bassissima percentuale di attività commerciali esistenti sul demanio marittimo: in Puglia il dato definitivo è 7,8 per cento.

Esulta il Sib (Sindacato italiano balneari) che ha presentato ricorso contro la sentenza della Plenaria anche per essere esso stato escluso dal procedimento di Palazzo Spada, scelta sulla quale prima il Procuratore generale poi gli stessi magistrati della Corte si dicono non concordi: «Il Collegio ritiene che la sentenza impugnata abbia negato alle associazioni di categoria e agli altri Enti la legittimazione ad intervenire nel giudizio sulla base non di specifici e concreti impedimenti processuali ma di valutazioni che negano in astratto la titolarità in capo agli stessi di posizioni soggettive qualificabili come interessi legittimi. […] La sentenza impugnata – la chiusura – è di conseguenza affetta dal vizio di eccesso di potere denunciato sotto il profilo dell’arretramento della giurisdizione rispetto ad una materia devoluta alla cognizione giurisdizionale del giudice amministrativo».