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VICO/ U’ LUPEMENARE

Nell’odierna società urbana ed industrializzata, scriveva ancora negli anni 80 del secolo scorso Antonio Ventura su Sintesi, un periodico del capoluogo oggi non piu edito, nulla piu sopravvive delle antiche tradizioni e superstizioni natalizie che costituivano il patrimonio culturale piu suggestivo dell’ormai scomparsa civiltà contadina nella quale mai ben definiti erano i confini tra religione e magia.

Tuttavia ancora oggi il ricordo di qualche vecchia usanza affiora da un passato neppure tanto lontano e suscita struggente la nostalgia di quel mondo pur sempre perduto in cui consuetudini innocenti e genuine provvedevano a conciliare il difficile rapporto tra uomo e natura, tra umano e divino.

Una delle tante consuetudini natalizie cui nessuno si sottraeva era l’accensione del ceppo, u’ cippune, di natale nel camino di casa, un’usanza quasi religiosa che intendeva nello stesso tempo proteggere la famiglia dalle negatività del quotidiano o dalle disgrazie poiché così operando si dimostrava di essere misericordiosi. Si sceglieva, infatti, un grosso tronco che doveva ardere nella notte della vigilia fino al mattino seguente e lo si poneva nel camino.

Non so se nelle case o meglio negli appartamenti moderni di Vico si pratica ancora, esista o sopravviva questa usanza. Penso però a qualche famiglia che ancora non si è disfatta del vecchio camino e che memore delle antiche convinzioni possa praticare questo costume.

Era convinzione una volta che durante la notte della Vigilia la Madonna, non vista, venisse in ogni casa presso il focolare a scaldare i panni in cui avvolgere il Bambino e quindi non si poteva far trovare il camino spento. La cenere, poi, della combustione al mattino veniva raccolta perché fosse sparsa nei campi per favorire magicamente la loro fertilità.

All’atto dell’accensione del camino si usava intonare la canzoncina “Ninna nanna u bamminedde ca Maria vo’ fatiga’ ” una nenia che invitava a preparare le fasce e tutto il corredino per un bimbo che si sapeva doveva nascere o era nato al freddo, nudo e povero, in una stalla come la tradizione tramanda.

Tacendo di altre consuetudini delle quali ho già scritto in un mio recente lavoro ed al quale rimando (Viconemi ) intendo soffermarmi su un argomento che non ho trattato né accennato in quel libro e che non esaurisce affatto quanto si poteva e si può ancora dire sul Natale vichese.

Intendo parlare, cioè, di una superstizione di un pregiudizio cui nessuno si sottraeva in passato, legato alla notte di Natale.

Alla credenza cioè che chi fosse nato in quella notte era destinato a essere una persona speciale un lupo mannaro (nu lupemenare), un licantropo.

A nessuno era perdonato il nascere impunemente, anche se senza colpa alcuna, nello stesso tempo della natività del Signore. E’ questa del lupemenare la variante nostrana di una credenza diffusa in tutte le culture del mondo secondo la quale determinati individui possono tramutarsi in animali magicamente ed in circostanze singolari.

La persona del tutto normale subiva una trasformazione nella notte santa e poi, successivamente, nei pleniluni allorquando tendeva a comportarsi come un vero e proprio lupo subendo cioè una vera trasformazione psico-somatica. Spariva di casa e girava di notte rabbioso, ululando.

Diventava aggressivo e feroce. Ai crocevia soprattutto gli ululati diventavano spaventosi poiché si riteneva che il lupom non fosse in grado di stabilire che strada prendere e che la Croce delle strade magicamente lo bloccasse. Chi aveva la spiacevole avventura di incrociare il proprio cammino uno di questi individui in preda alla magica possessione correva seri rischi e per salvarsi non aveva altro scampo che quello di rifugiarsi in alto su qualche pieddo o scalinata poiché si riteneva che il posseduto non riuscisse a salire non piu di fatidici tre gradini; se ne poteva anche liberare diversamente ma avrebbe dovuto ferirlo facendogli stillare qualche goccia di sangue cosa che aveva il potere di far rinsavire u lupymynarey.

In passato ho sentito raccontare addirittura con convinzione di persone affette da queste turbe e spesso se ne ricordavano finanche i nomi. Storie che oggi possono farsi attuali ma solo per virtu evocatrice e che si avvalgono di un mito che di per se stesso costituisce un’esperienza arcana ed extra umana che accomuna nello stesso individuo la natura dell’uomo e della bestia con quel tanto di oscuro e terribile che si annida in una vicenda partorita da un destino maledetto anziché dall’immaginazione favolosa….singolarità angosciosa che riporta la sorte dell’uomo ad una primordiale irrazionalità (S. Battaglia).

La vitalità di questo mito, tralasciando quelli ancora piu antichi, la si riscontra già nei classici greci od in autori latini come Plinio (Historia Naturalis) o Petronio (Satyricon o cena di Trimalcione) e la ritroviamo nei moderni come Pirandello (Novelle per un anno) o Carlo Levi o Gioacchino Belli, od anche all’estero con Maria di Francia, Boguet, Taylor, Auguste Kitzberg soprattutto etc.

Leggende sui lupi mannari esistono in tutto il mondo e quindi non sorprende che ancora oggi le fantasticherie su di loro assumano molte forme diverse, dalle storie d’amore paranormali con compagni preordinati fino ai thriller cruenti e ricchi di azione addirittura con il conflitto tra lupi mannari e vampiri in certa fumettistica.

Ho rinvenuto sull’argomento tra vecchie carte una composizione dialettale che ritengo di poter offrire ai lettori e che propongo qui di seguito

A’ NOTTE DE NATALE

A’ NOTTE DU LAUPYMYNARY

So nate na notte de Natale jeve na notte chiene de stedde

Jeve a notte du bamminedde

Mo pure ci sta na bella lune n’cile ma ci sta pure tante jele

Neve, fridde e tramuntana mentre sonene i campane

Stanotte nasce ancure u’ bammenèdde, che comme a mmè nasce puverèdde

Jè sempre na notte chiene de stèdde E jè fèste dintr’è famegghie

Ma jé paure na’ notte amare Jé pure ‘a notte di laupemenare

A case juvame tanta guagnaune ma tutti quante crisciuvame djaune

Da guagnuncèdde so jute a garzune gaja avaute sempre nu patraune

Nè spezzate di stirlazze mi pagavene a pistazze !

Come na vestji ghè fatigate ma mai nisciaune ma cunsiderate

Po me so fatte na famègghie mi pensave de sta mégghie

Tanta ninne po’ so nate come bamminedde l’aja curate

e se u pane n’avastave da mocche a mè me lu luvave

Mo sone granne e sone crisciute e pe stu munne stane sperdute

Tanta ganne so’ pure passate E ne piggiate poche di mazzate!!

Pure meghiereme m’ha lassate U’ destine me l’ha luvate

Mo stènghe sule e rassegnate E nnanze u foche stighe assettate

Ne ne tènghe chiu de forze So come stu foche che ci ammorte

Ma jè ancure na notte de Natale

E Jè na notte chine de stedde

Quesse Jè a notte du Bamminedde

Ma jè paure na notte amara :

Stanotte allaucchene i laupemenari

Dintre u voscke me ne vulèsse joi Ca nisciauni m’ava sintòi

Ma tanta forte gaia allucà Ca i lupi aguère ci gana scantà

Ma quesse jè na notte chiene di stedd E stanotte nasce u bamminedde

Vulesse sintì schitte i ciaramedde!!

michele tortorella

fuoriporta.info