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AGLI INCARICATI AMMINISTRATORI COMUNALI DI VIESTE, INCONTESTABILE PATRIA DI OMERO E NELL’IDENTITÀ DI CITTÀ PIZZOMUNNO, IL COMPITO DI FAR RIVIVERE IL GRANDE REGNO DELL’ANGOLOCULLA INERENTE LA PROFEZIA DEL SETTIMO MESE DEL 1999 DEL VEGGENTE NOSTRADAMUS DEL 1500

Da un articolo pubblicato su Google in data 17.12.2023 riguardante le profezie del veggente Nostradamus dell’anno 1500 e relative all’anno 2024, appare che quella prevista per il settimo mese dell’anno 1999, che ha tenuto il fiato sospeso tutto il mondo per cinque secoli, viene data come fasulla, perché mancante di notizia del suo reale verificarsi.

In realtà il veggente Nostradamus nella quartina X. 72 testualmente scrive: “L’an mil neuf cent nonant neuf sept mois,/ Du ciel viendrà vn gran Rov d’effrayeur./ Resusciter  le grand Roy d’Angolmois,/ Auant apres Mars regner par bonheur”. Che tradotto alla lettera significa: “L’anno millenovecentonovantanove settimo mese/ Dal cielo verrà un gran Ciclo di fatti madornali/ risuscitare il grande Regno dell’Angoloculla/ dopo una tornata di polemiche regnare per buona pace di tutti”.

In tutti i cinque secoli successivi al 1500 e per errata traduzione di questa ritenuta spaventosa quartina il genere umano si è inventato di tutto. A cominciare dalla caduta dal cielo di un grande asteroide che avrebbe distrutto l’intera Terra, paventata da critici, storici, mitologi, astronomi, astrologi, sapientoni di turno, perché scambiato con l’improvvisa venuta di quello che in realtà è un grande ciclo di fatti madornali relativi alla improvvisa rinascita del Grande Regno dell’Angoloculla, che si sarebbe realizzata per buona pace di tutti dopo avere superato inevitabili polemiche. Data la confusione che si è generata.

Lo scrivente ha concentrato la sua attenzione su questa unica circostanziata delle profezie di Nostradamus, dopo avere letto un articolo di Guido Ceronetti su “Il Corriere della Sera” del 7 gennaio 1999, quando in risposta ai cronisti di altre testate giornalistiche interessate al fenomeno e che difendevano la predetta interpretazione più convenzionale della famosa quartina di Nostradamus, aspettandosi, oltre la caduta del meteorite, pure la venuta di un anticristo, di un antipapa o del temuto scoppio della terza guerra mondiale. In quell’articolo il Ceronetti sfredda questa malaugurata ipotesi perché testualmente scrive: “Se ci si vuole occupare di quanto è detto nella quartina X,72 bisogna evitare qualsiasi ipotesi con dati presi da realtà presenti e note. Perchè se qualcosa accadrà, sarà la rottura e la dimenticanza di questi dati, l’affermarsi di una verità assopita (addirittura spazzata via) del tempo, e l’impotenza dei dati innumerevoli che conosciamo a creare la decisione, a dare un significato ai destini raccolti, in crescente disordine mentale, in questo punto dello spazio, dovrebbe manifestarsi irrompendo“.

Nel leggere quest’articolo lo scrivente si è sentito direttamente coinvolto per i contenuti rivoluzionari dei suoi due precedenti libri scritti senza alcuna imposizione. Il primo dal titolo Vieste, figlia dell’Etenità; patria di Omero, in cui dimostra che Omero è realmente un nativo viestano poiché tutto il territorio di Vieste ha ispirato questo grande poeta rendendolo unità di luogo, di tempo e di azione dei suoi poemi, dimostrato con tantissime notizie storiche, interamente riportate in 420 pagine, derivanti da altri autori e fino ad allora recepite in un vero disordine mentale difficilmente districabile. Il secondo libro di 370 pagine ha come titolo Vieste, figlia dell’eternità; da unità di luogo e di tempo dei poemi omerici a principio dei miti universali. Con sottotitolo: Rivisitazione del mito di Atlantide e altri, dimostrando sempre con l’ausilio degli scritti di altri autori storici che Atlantide-città era Vieste in quanto città Pizzomunno, il cui pizzo è sinonimo di atlante. Coinvolgimento dello scrivente avvenuto anche perché Nostradamus ha previsto un particolare evento che avrebbe dovuto verificarsi nel settimo mese del 1999, in quasi sintonia con la consegna di questo secondo libro avvenuta nell’Aprile del 1999. Coinvolgimento dello scrivente che a conoscenza di tutto quanto riguardava Vieste per dovere morale ha da subito iniziato a scrivere il terzo libro, in via di imminente uscita, dal titolo seguente: La storia incredibile, ma vera, della remota città di Vieste: figlia dell’Oriente, con un complesso sottotitolo riguardante la sinonimia di angolo, di atlante e di pizzo simili e derivati, terminato di scrivere una prima volta nell’anno 2012, che secondo le profezie dei Maya sarebbe avvenuta una catastrofe, per dimostrare in oltre originarie 500 pagine sempre con l’ausilio di altri scritti di diversi altri autori che il Grande Regno dell’Angoloculla di Nostradamus è sempre lo stesso di Vieste nell’identità di città Pizzomunno, poiché pizzo, angolo ed atlante sono sinonimi.

Per farla breve il Grand Roy d’Angolmoise, Grande Regno dell’Angoloculla, è lo stesso del Regno del Continente Atlantide di Platone poiché l’angolo è sinonimo di atlante ed entrambi da riferire a Vieste in quanto antica città situata sul Montarone nell’identità di Pizzomunno, il cui pizzo è a sua volta sinonimo di atlante e di angolo. Il Montarone è un toponimo di origine greca che dalla fusione di mounaz-tauros-onem indica la sua realtà fisica come un “peduncolo isolato ma non distaccato dalla forma di corna di un possente toro” da cui scaturisce l’infaticabilità di atlante (gr. a-tlenai) come pure dalla forza presente nell’indeuropeo Fes, o Ves di Vesti, o Vesta, antichi nomi di Vieste pure nell’identità di Adria, da adros, forte, da cui il Golfo Adriatico. Adria di cui Strabone (Italia, V.1,8) scrive: “Dicono che Adria fu città illustre, che diede anche il nome al Golfo Adriatico, con un piccolo cambiamento“, ma, aggiunge lo scrivente, per l’uso di un sinonimo di forza come è nella evidenziata realtà. Mentre il Del Viscio nel suo libro “Uria” scrive: “La tradizione vuole che Adria sia stata la metropoli di una grande terra, o di una grande isola sprofondata sul fondo del mare che da essa prese il nome, l’Adriatico, e della quale le varie isole si identificano con le sue cime più alte”. Sprofondamento di Adria che avviene in una notte e un giorno passato per lo stesso tempo causa di uno sconvolgimento atmosferico del Continente Atlantide e che vale pure per diverse altre occasioni mitiche poi storiche e anche bibliche con nomi sempre diversi, ma unicamente per legittimare un nuovo corso della remota vita umana e iniziarne una nuova più civile. Questo comune sprofondamento viene spiegato dal gr. monios, da monos (diz. Gr. Rocci), per l’isolamento del Montarone checonduce tradizionalmente al latino singularis e quindi automaticamente a un cinghiale (gr. capros) in questo caso a una sua femmina detta Troia (gr. capraina, da capra) di cui quella di Omero è presente a Vieste sulla rocca di Caprareza, che dal gr. capra(ina) rezò conduce a una troia sacrificata, o data in sacrifizio, concetto divinatorio che come trascurato capro espiatorio è già presente nell’Iliade di Omero. Un monios che vale pure per il solitario Scoglio viestano poiché tutti gli scogli appena affioranti sull’acqua venivano tradizionalmente identificati con un delfino che per essere di natura singularis veniva automaticamente collegato a un capros, un cinghiale, e nel nostro caso alla sua femmina detta Troia (v. isola di Capri). Anche perché e in realtà la Troia di cui Omero scrive come città dapprima bruciata dagli Achei e poi fatta sprofondare in una notte e un giorno dopo nove giorni di pioggia, poi Diluvio Greco, voluto dagli dèi perché contrariati da un muro edificato dagli Achei, tuttora in buona parte presente in località Merino, per protezione delle loro navi, ma senza avere fatto i sacrifizi in loro onore. Sprofondamento di Troia che diventa il punto fermo, sinonimi e derivati, di altri successivi e sorte finale di Troia che in precedenza veniva condizionata da Zeus, che subdolamente parteggiava per gli Achei, ed Era, che più sfrontatamente parteggiava per i Troiani, quando influenzavano le sorti delle battaglie mentre si trovavano sul letto di casa situata sul monte Ida, gr. Idhe, ora accaparrato come tutto ma erroneamente dall’attuale Grecia. Greco Idhe che significa selvoso, luminoso, che si trova nell’etimo finale di Atlantide nell’identità di luminoso atlante, angolo, pizzo, del Mondo, pure per la luminosità del Montarone poi per estensione passato all’intero boschivo Gargano, che dal greco gar-ganos (ganoò) diventa un monte luminoso, ora per continuità Montagna del Sole. Questa Troia di Omero veniva dominata dal Pergamo, situato su una rocca che dominava il territorio di Troia e che era la residenza di Priamo, re di Troia, con una comoda strada per salire, sulla metà della quale e affacciati all’adiacente muro, secondo Omero, Elena, ex moglie di Menelao (= luna pietra), indicava a Priamo i principali eroi Achei. Pergamo che da Seneca viene ricordato come l’unica Torre rimasta in piedi della grande Troia e che viene ricordato da Alfonso Russi come il Castellum Marini ancora presente nel 1600 e segnalato come uno dei punti di confine tra i territori di Vieste e Pechici. I cui residui vengono infine interamente testimoniati dal Giuliani che segnala la presenza di resti di un grande fabbricato unitamente a cisterne comunicanti e di un malridotto muro che proteggeva una comoda strada per salire sulla rocca della viestana Caprareza. Mentre le rovine della città di Troia sono in parte tuttora presenti e incontaminate in località di Vieste col nome Merino, che nasce dalla presenza dall’omerica collinetta bassa e accessibile da ogni lato, il viestano Munduncidde, una piccola duna, avente la funzione di altare, tomba, sacrario dell’omerica Myrina tuttora venerata a Vieste anche se in forma cristiana, ma a partire dal 1797 per intercessione presso il Papa di un vescovo viestano pure di nascita.

Premesso che il polivalente e polifunzionale nome Uria, antica città vanamente contestata tuttora da diverse cittadine garganiche ma che unitamente al suo territorio viene leggendariamente fatta sprofondare nel giro di una notte e un giorno per la vita peccaminosa dei suoi abitanti, Viestani pure nella già testimoniata identità di Troiani, è stato un nome imposto per quasi sei secoli dai Romani per precauzionali motivi militari e religiosi in sostituzione di Ves-ta, forte estremità, nome latino ma di origine indeuropea di Vieste, poi secondo nome di Roma e sua prima dea protettrice, questo comune sprofondamento, nella distrazione di tutti, trova continuità nella leggendaria stretta parentela della sprofondata in una notte e un giorno Uria con la sprofondata nello stesso arco di tempo Troia già evidenziata con i singularis del greco monios del Montarone e del singularis Scoglio, un fatto che si ripercuote nella leggenda certamente di origine romana, poiché la protagonista di nome Giulia viene sia pure con qualche dubbio data come figlia di Augusto, imperatore e primo re di Roma, che per la sua vita peccaminosa è stata fatta ipoteticamente imprigionare dal padre sulle Isole Tremiti, allora erroneamente identificate come Isole Diomedee, che in realtà sono il Montarone, il cui istmo Diomede avrebbe voluto tagliare per renderlo una vera isola ma che non riuscì per sopravvenuta morte. L’altra è il disabitato Scoglio che diventa la sua tomba (Strabone). Sprofondamento e parentela di primo grado di Uria con Troia, ma come genitrice Vieste, che viene inconsciamente rinverdita dal vichese Del Viscio quando racconta che Giulia e suo zio principe di Uria vengono fatti sprofondare insieme in una notte e un giorno a causa di un nubifragio determinato dalla volontà divina per la loro vita scellerata e peccaminosa. Ma senza tenere presente che questa leggendaria Giulia è un nome femminile di Ylo derivante dal terreno paludoso di Troia detta da Omero pure Ilio. Anche perché da Iulo, gr. Ylo, unico figlio del troiano Enea e mitico progenitore dei fondatori di Roma, nascono i Romani con l’identità di Gente Giulia. Un dato di fatto che, senza rendersene conto, a Vieste trova continuità nella leggenda tuttora in voga dello sprofondamento della bella fanciulla (gr. òria e pòlhe) originariamente di nome Uria dovuto alle gelose sirene perché innamorata del bel pescatore viestano Pizzomunno, in amore del tutto corrisposta, concedendo di vedersi, per emotività delle sirene, in una sola notte di luna piena ogni cento anni per poi Uria tornare a vivere dentro il mare perché tirata dalle loro catene, mentre Pizzomunno addolorato per la lunga attesa si pietrifica tornando nei panni del Montarone, come è giusto che sia nella creazione di una leggenda riguardante la città. Quindi mai più confondere il Pizzomunno con il già presente in Omero e attuale Puzmume che dal gr. pougx (leggi punxi)-momos conduce a un bastione della vergogna.

Premesso che le sirene sono di casa a Vieste in località Lamican, che dal greco lamie sta per un “mostro marino avente il volto di donna e la coda di pescecane”, come tuttora appare fisicamente il più piccolo di questi due scogli visti dalla vicina spiaggia, mentre il finale can è l’abbreviazione del greco canakeò, latino cano-is, indicante il canto di queste sirene incontrate da Odisseo nelle sue peripezie, si aggiunge che il Montarone tuttora si avvale dell’identità di Pizzomunno quale punto fermo del Mondo in tutte le direzioni sia geografiche, sia storiche, sia poetiche, sia mitologiche e sia religiose anche perché la sinonimia di atlante del Continente Atlantide e di angolo del Regno dell’Angoulmoise sono a loro volta sinonimi di pizzo del Mondo di Pizzomunno. Nome che nasce dalla effettiva e antica funzione poetica e storica di Vieste in quanto patria di Omero, in realtà andata dispersa per la confusione che si è generata a causa del disordinato interesse di vari autori storici e Nazioni senza averla mai identificata ed infine del tutto dimenticata, o sopita come intuitivamente ha scritto il Ceronetti. Montarone che, per rimettere ordine alla realtà di Vieste e dei Viestani, col nome di Skeria, identificata da Omero come città isolata in mezzo al mare grandi flutti e all’estremo del Mondo, che per quest’ultima identità diventa la prima certificazione di nascita del Montarone con l’identità di Pizzomunno, che pure come isolato in mezzo al mare grandi flutti si trova nel latino aestus dei Vestysène, nomignolo adottato dai soli Viestani. Città di Skeria con uno dei suoi due porti, remotamente presenti ai lati dell’istmo del Montarone di cui, secondo Omero, quello con l’entrata stretta è certamente l’antico e più sicuro porto del Pantanella. Città di Skeria, per Vieste,che viene indicata da Omero pure come Capitale del Continente Apeira, aperta, mai prima trovato e neppure cercato, quindi del tutto affondato, analogo di sprofondato, nell’aperto e alto mare qual è la realtà del Montarone all’origine di tutti i favoleggiati sprofondamenti e che secondo la profezia di Nostradamus, e per esclusiva intercessione del solo scrivente, dovrà tornare a svolgere, dopo avere superato inevitabili polemiche, la primaria funzione di Vieste pureneipanni di città madre del Grande Regno dell’Angoloculla, perchémancante della considerazione sulla sinonimia di angolo e di atlante con il pizzo di Pizzomunno e che in effetti diventa un inconscio tentativo di accostarlo alla centrale omerica città di Skeria capitale del Continente Apeira. I cui primitivi segni di ritorno a questa funzione di Vieste come città dominatrice si trova parzialmente nell’oltre mezzo secolo di crescente successo turistico che di fatto per presenze è la prima città turistica della Puglia, dovuto alle sue splendide bellezze naturali ed ai suoi vasti orizzonti, soprattutto marini, visibili da Vieste. Grazie maggiormente ai quali la Regione Puglia è stata eletta per due anni consecutivi, 2022 e 2023, la più bella regione del Mondo. Questo successo, secondo lo scrivente, andrebbe maggiorato con l’erezione di un monumento bronzeo in onore di Omero, il più grande poeta di tutti i tempi e del Mondo, che con questa appropriata realtà farebbe aumentare notevolmente le prospettive di Vieste sia economicamente e sia culturalmente. Magari iniziando con una richiesta dell’Amministrazione Comunale ai Governi più centrali di fare eleggere eccezionalmente Vieste come capoluogo di Provincia dell’intero Gargano, totalmente giustificata dalla sua rinverdita storia come pure dalla sua reale funzione di nascita di tutti gli antichi popoli sia europei, come i Celti e i Galli, e sia dei Cittei, poi Pugliesi e Italiani, che prendono il nome dal cytos del Pantanella. Cytos, ciato, sia nell’identità di uno strumento per attingere acqua, lo stesso di cyathos presente nella località viestana detta La Chiatà, del famoso Pozzo della Chiatà, che come strumento veniva usato dagli acquaioli che vendevano la sua acqua per le strade fino al 1955. Ma in modo contrario a quanto faceva il poi medico omerico Podalirio che la prelevava offrendola gratuitamente a tutti, salvo qualche volontario obolo che come ringraziamento veniva gettato dai beneficianti nella fessura di roccia che, date queste offerte, poi diventò già da molto tempo la chiesetta della Chiatà, ma che per totale ignoranza storica e forse per volontà di qualche arretrato clericale è diventata Chiesa della Madonna della Pietà, ma soltanto per buona eufonia. Cyathos da cui infine origina il poetico e storico Canale della Chiatà che tuttora scorre nell’antico porto del Pantanella e che, come si vedrà, diventa lo stesso fiume che scorre in tutti i principali porti dell’Odissea. Ma cytos che pure nell’identità di cavità, qual è il Pantanella, o carena della nave, si rapporta direttamente a quella della nave Argo, nome preso dal biancore delle calcaree Ripe viestane, degli omerici Argonauti che finisce capovolta con la chiglia all’insù, qual è la realtà dello Scoglio una volta spogliato di tutto. Vieste che testimoniata su una pietra scritta in lingua greca arcaica diventa un incompreso Inno a Vieste nell’identità di una Divina Porta della Grande Madre Terra presente nell’indeuropeo turah, greco thura, porta, da cui l’origine da Vieste dei Thyrreni e della biblica Thura, Tiro, che viene biblicamente fatta sprofondare in una notte e un giorno per volontà di Dio per la vita superba dei suoi cittadini (Ezechiele e Isaia). Divina Porta della Grande Madre Terra che di fatto iniziava subito a ridosso del Pantanella con la località “la Gioia” latino Gaia, greco Gea, la Terra, o Mondo al cui punto estremo Omero situa in modo del tutto provato Skeria capitale del Continente Apeira e il Montarone nell’identità di Pizzomunno, pizzo del Mondo che quindi aveva concreta origine da Vieste. Che come porta è presente pure nel greco pulhe, da cui l’attuale Puglia come estensione del territorio di Vieste come è avvenuto per l’Apulia, senza porta, sempre come estensione dell’aperta Vieste, da cui nasce la figura mitica di Pilunno, portone, poi re del Gargano, e Portuno, o Portunno, mitizzazione del Pantanella come porto del Continente, lo stesso dell’antico Mondo. Città portuale di Vieste in cui primariamente sbarcarono tutti i popoli di origine indeuropea e dell’Asia Minore per poi disseminarsi nel restante territorio sia italico e sia europeo (Seneca. Storia Naturale) oggetto di loro successiva conquista. Trattandosi di popoli guidati da benestanti figli maschi secondogeniti che coscienti di non avere alcun diritto di ricevere parte dell’eredità paterna e una volta abituati agli agi erano costretti a cercare fortuna in nuove terre. Identità di capoluogo di Vieste che, qualora avesse successo sarebbe un ritorno alla sua antica funzione, anche se in forma ridotta rispetto al suo glorioso e dimenticato passato.

Per tornare ai vasti e luminosi orizzonti viestani, da cui l’aperta del Continente Apeira con capitale Skeria, che Omero descrive come città isolata in mezzo al mare grandi flutti e all’estremo del Mondo sui quali, oltre i grandi flutti del mare che spesso attanagliano Vieste tanto che i suoi cittadini si autodefiniscono come Vestysène, contenente il latino aestus che li rende “figli di grandi e alti flutti”, o “figli dell’alta marea”, e identità di Skeria come estremo del Mondo da cui il Montarone come certificata identità di Vieste come città Pizzomunno, anche per il suo affondamento, analogo di sprofondamento nell’alto, sia per l’altezza delle onde e sia per la sua profondità, e aperto mare di cui si è appena detto con l’aggiunta della sua luminosità presente nell’omerico Idhe, Ida, verso la metà del 1700 si esprime mirabilmente il Giuliani (Memorie Storiche di Vieste) quando scrive: “Nel gettarsi che fa nel seno dell’Adriatico mare il Monte Gargano, prolungandosi in mezzo alle acque circa venti miglia nella sua estremità, lascia la città di Vieste sopra uno scoglio a guisa di una penisola (..) Rimira ad oriente, a settentrione e all’occaso il libero suo orizzonte in lunga distanza tutto bagnato dalle acque marittime, ed a mezzogiorno e da selve, e da piani, e da colli, e da monti che a poco a poco per lungo tratto s’innalzano, venendo interrotto, in niuna parte del giorno è priva de’ raggi solari. In un tempo stesso, situata a guisa di una punta all’estrema falda de’ monti, viene dominata da contrari venti; e si osserva in tempo di bonaccia che le acque del mare portate sono in parte contraria (..) per dividersi quivi i venti, e due venti spirano nel tempo stesso”. Il Giuliani aggiunge che tra i possibili edificatori di Vieste c’è stato Diomede proveniente, primo autore della storia viestana, dalle Isole Tremiti senza immaginare la sua nascita da Omero. Inoltre, come notizia “”supplementare” il Giuliani scrive che il porto “aveva picciola profondità ed era incapace di contenere grandi vascelli” dovuto al suo progressivo insabbiamento naturale. Porto che oltre un secolo dopo da Alfonso Perrone (Giornali Domestici) si apprende il suo definitivo insabbiamento artificiale con lavori durati dal 6 Settembre 1868 al 6 Giugno 1874 resisi necessari per la putrefazione della sua poca acqua interna che si temeva letale per i Viestani. Porto ricordato nel 1923 come “ora interrito” dal dr. Michele Petrone (Note di storia antica Garganica e Viestana).

Il mai da nessun altro identificato e neppure cercato Continente Apeira, aperta, apertura ripassata direttamente a Vieste in quanto i Viestani vengono identificati come gli Uri aperti del Gargano da Catullo (IV sec. a.C.- ep. 36), che oltre a dare come sempre e per estensione il nome alla intera Apulia, senza porta, passa tacitamente e per sinonimia alla vasta vista dell’attuale Europa di cui scrive Erodoto, che ammette di non sapere chi avesse pronunciato per prima questo nome e neppure da cosa derivasse. La Capitale del Continente Apeira, Skeria, deriva dalla funzione di approdo (indeur. sker, gr. sceriptò) negli antichi due porti naturali viestani, di cui quello che secondo Omero “piccola roccia grandi flutti trattiene” si trovava a Vieste sul lato opposto all’istmo del Montarone e del Pantanella e che partiva dal fianco della collina del Petto e finiva sotto le fondamenta dell’Hotel Merinum e le cui bitte rocciose per legare le navi erano ancora presenti sulla parte più alta di questa scogliera che venne interamente divelta intorno all’anno 2000 per dare posto all’Hotel Bikini. Come già accennato, il porto del Pantanella è stato oggetto di ispirazione di alcuni altri porti dell’Odissea, in particolare quello di Skeria dall’entrata stretta la stessa del Pantanella, toponimo di origine greca che dalla fusione di panta-ne(a)-el(os)-là(as) iniziale di laos, conduce letteralmente a un “completamente nave approdo rupe”, che pure dal greco skeros si completa con la sua reale conformazione dovuta alla continuità delle rupi del Montarone. Mentre da làas di laurhe, oltre a indicare il Pantanella pure come un “tutto nave approdo con l’entrata stretta”, diventa pure il sisto, il punto fermo di un aperto sentiero stretto, all’origine del primitivo nome greco di Vieste come Istia, per la funzione di sisto della città, o Estia per la presenza nelle sue vicinanze dell’altare della Myrina di Omero. Sentiero che si trova nel latino aestus dei Vestysène che, oltre le maree, fa diventare Vieste pure come il punto fermo, orbitale, del sentiero solstiziale estivo da cui il complementare essere Greca, cioè antica, in modo esclusivo per Vieste di cui tuttora è figlia e da cui la sua identità come la Megale Ellas, poi Magna Greca che per estensione diventa la Magna Grecia per l’Italia (meridionale). Punto fermo di aestus e di un sentiero stretto di sisto di Istia che a sua volta diventa pure il punto di origine della via stretta, gr. làas finale di Pantanella, del Laurento di Livio, in sostituzione dell’Ellesponto di Omero. Ellesponto che pure etimologicamente significa: “l’antico (elles) sentiero del vasto, largo e alto mare (pontos) che partendo da Vieste, secondo Omero, si sarebbe dovuto percorrere con tre giorni di navigazione verso l’Aurora su questa pescosa rotta, minacciato dall’indispettito Achille. Ellesponto che come sentiero del largo, vasto e alto mare con direzione verso l’Aurora è stato erroneamente confuso col canale marittimo stretto da due terre qual è l’attuale Bosforo, che oltretutto si dirige verso il Meridione, il Mezzogiorno, l’Equatore. Storica, poetica e reale entrata stretta del Pantanella che veniva determinata dalle due attuali contrapposte rupi: da una parte l’attuale e ora un poco smussata Chianghe de l’Orne, per la remota presenza dell’ornello; dall’altra la Chianghe de l’Onne, per una roccia levigata dalle onde, sulla quale è stato ultimamente piantato un traliccio telefonico, da cui la sua entrata stretta nella quale tuttora passa il Canale della Chiatà, usato pure per l’entrata e l’uscita dei navigli in almeno due porti dell’Odissea ed integralmente presente nell’alveo, o canale per trarre le navi da e per il mare del gr. ouròs di Uria. Che, oltre all’entrata stretta di uno dei due porti di Skeria, compare pure come porto dall’entrata stretta del porto dei Lestrìgoni, con all’interno la corrente d’acqua buona chiamata Artachìa. Corrente che ispira Omero in altre occasioni dell’Odissea, in particolare con il porto dei Ciclopi con all’interno una sorgente d’acqua pura; con il porto di Itaca con all’interno la corrente di acqua buona chiamata Aretusa; con il porto dell’Isola di Trinachìa che veniva traboccato d’acqua dolce. Porto dall’entrata stretta che compare pure in quello del Continente Atlantide nel Crizia del filosofo ateniese Platone (429-348 a.C.), le cui Colonne d’Eracle nell’identità di punto fermo, in questo caso di separazione tra il Golfo Adriatico, da Platone definito come “un mare che non si può dire vero mare” che, trattandosi del Continente Atlantide scomparso per uno sconvolgimento atmosferico nel giro di una notte e un giorno, il che è tutto un’identificare, venne scambiato erroneamente con l’intero Mare Mediterraneo, e il Mare Ionio che lo stesso Platone descrive come un “mare che si può dire vero mare” venendo scambiato altrettanto erroneamente con l’Oceano Atlantico in cui questo Continente viene tuttora vanamente cercato con apposite ispezioni.

Mari che, oltre l’omerica complessiva identità di Oceano come un fiume che circondava la Terra, venivano già da Omero separati da Skeria, per Vieste, con la sua parte esperion, occidentale, da cui il nome Esperia per l’Italia, per il Golfo Adriatico, mentre dalla parte eonion, orientale, iniziava il Mare Ionio. Divisione di questo attuale unico mare più tardi confermata dal geografo Tolomeo (VII sec. a.C.) che con dati riferenti alla prominenza di km 49 sul mare del Gargano con precise coordinate geografiche pone Apeneste, per Vieste, come sua estremità orientale e ultima città del Mare Ionio e Hyrium, sempre Vieste adiacente il Golfo Adriatico. Stessa divisione che appare pure su una mappa del Magini risalente al 1620. Colonne d’Eracle di Platone poi conseguentemente ed erroneamente situate sullo Stretto di Gibilterra, mentre sono Colonne viestane anche per le anzidette comuni sinonimie tra atlante, angolo e pizzo di Pizzomunno, le stesse del Continente Apeira, aperta, ora Europa, vasta vista. Reale identità di queste Colonne che si realizzano da una parte con il viestano bastione di pietra chiamato Puzmume, minacciato di essere vomitato da Poseidone sul fianco di Skeria perché indispettito per avere i suoi Feaci (gr. Faiache), che prendono il nome dalla luminosità (fai) delle punte (acis) del Montarone, accompagnato con la loro nave senza permesso Odisseo a Itaca, sempre Vieste. Nave che per questa ragione viene pietrificata e affondata con una manata del vendicativo Poseidone quando al ritorno era già in vista di Skeria, quindi la creazione poetica dello Scoglio. Ma pure Puzmume al quale in due episodi diversi trattati da Omero, per salvarsi, si attaccano sia la poi figura mitologica Eracle, secondo Omero singolo distruttore di Dardania, nome primitivo di Troia, da cui l’accertata origine da Vieste delle sue Colonne, e sia il naufrago Odisseo quando era giunto sul fianco di Skeria. L’altra Colonna d’Eracle è certamente parte della viestana Ripe. Rupe del possente Montarone da identificare pure come il vero Monte Atlante, infaticabile, ma come specifico riferimento alla parete rocciosa limitrofa al Puzmume che nelle ultime considerazioni dell’ormai esausto Odisseo la vede alta fino al cielo e che pare levigata e che nessun mortale avrebbe potuto scalare neppure se avesse avuto 20 mani e 20 piedi. Come altra unica alternativa le Colonne d’Eracle potrebbero essere le rupi turrite, per i corni naturalmente fortificati del possente Montarone, che proteggono il porto esposto all’onda orientale di Virgilio qual è la realtà del Pantanella che per la sua entrata stretta viene descritto da Omero come porto sicuro e tranquillo senza bisogno di legare le navi con le gomene che vale pure per alcuni dei due predetti porti dell’Odissea.

Come testimonianza a favore dello scrivente si riporta quanto scrive il geografo Dicearco (347-285 a.C.) che scrive: “dal Peloponneso è più lontana la fine dell’Adriatico di quanto non lo siano le colonne d’Eracle”.

Prof. Giuseppe CALDERISI, nato a Vieste il 01.02.1043