Nei primi cinquant’anni del XX sec. si sono verificate profonde trasformazioni scientifiche, sociali e politiche che hanno creato nuovi e gravi problemi nella vita sociale. Anche nella Chiesa si avvertiva il fremito di una nuova irruzione dello Spirito che in tante persone ispirava un’energia profetica per una nuova evangelizzazione che avrebbe trovato eco nella grande assisi convocata da San Giovanni XXIII. Papa Roncalli, nel considerare la crisi della società moderna afflitta dal decadimento di valori spirituali e morali, si fa carico della grande impresa del Concilio Vaticano II Lui stesso, con lo sguardo rivolto ai bisogni della Chiesa e del mondo, detta le finalità del futuro Concilio e in un discorso traccia il sentiero da percorrere con lo scopo di promuovere l’incremento della fede, il rinnovamento dei costumi e l’aggiornamento della disciplina ecclesiastica.
Lo spirito di rinnovamento diffuso in varie parti vicine e lontane del mondo arriva anche in un borgo sperduto e periferico del Gargano dove un giovane sacerdote, in una parrocchia di nuova istituzione, porta una ventata spirituale di vita nuova suscitando con energia profetica con grande umiltà uno spirito di santità ancor prima del Concilio.
Nell’impegno pastorale del Servo di Dio don Antonio Spalatro e nello spirito che lo ha guidato, notiamo le stesse problematiche affrontate quasi 10 anni dopo dal Concilio Vaticano II Don Antonio si era proposto le stesse finalità nell’intento di incrementare nei fedeli della sua parrocchia una maggiore comprensione delle verità di fede con l’annuncio sistematico di catechesi, l’attiva partecipazione alla liturgia e una testimonianza di vita vissuta in carità nelle famiglie,- nella scuola e nelle varie aggregazioni laicali.
Tutto ciò in un tempo in cui la vita di parrocchia girava intorno al solo sacerdote e si limitava quasi sempre soltanto alla sola partecipazione esteriore di riti e devozioni religiose. La conoscenza dei misteri divini era ristretta alle poche mnemoniche risposte del catechismo di S. Pio X, obbligatoriamente richieste, alla Prima Comunione e al sacramento della Cresima. La stessa confessione, accompagnata da sentimento di timore e paura, si limitava ad una enumerazione di atti non conformi alla mentalità e alla morale corrente.
L’impegno del Servo di Dio, unito alla sua viva fede, si è sviluppato con l’intento di superare l’ignoranza religiosa alleata da diffuso analfabetismo mentale e morale causato da grande povertà materiale e spirituale. La vita di parrocchia era scandita da incomprensibile partecipazione alla Messa e alla serotina Benedizione eucaristica officiate in lingua latina. Io stesso ero attratto dal servizio liturgico ma soprattutto per socializzare con altri chierichetti in amicizia e gioco.
Le risposte mnemoniche in latino, richieste dal dialogo liturgico, erano incomprensibili e rese più difficili dalla nostra stentata conoscenza dell’italiano. Era il dialetto a dominare le nostre conversazioni. Alle tante difficoltà si aggiungeva il lugubre colore nero delle messe quotidiane per i fedeli defunti. In occasione di trigesimo o anniversario della morte veniva cantato il salterio in latino da alcuni membri delle confraternite e con la presenza di un panno nero o del catafalco eretto al centro della chiesa.
Per fortuna questo grigiore veniva rotto da una ventata di gioia portata dalle feste dell’Immacolata, del santo Natale, della Pasqua di risurrezione e delle più grandi ricorrenze dei Santi Patroni. Solo le pratiche religiose, le devozioni e le novene alimentavano la fede dei semplici fedeli ma era a loro negata, a causa dell’incomprensione della lingua latino, la ricchezza della Parola di Dio.
Anche don Antonio ha vissuto questa atmosfera da seminarista e da sacerdote e tuttavia da lui venne superata con intensa e straordinaria crescita verso la santità. A contatto con il popolo di Dio ha condiviso pene, affanni e gioia di vivere; si sentiva continuamente chiamato ad affiancare il sacerdozio celeste di Cristo in sintonia con tutto il creato e primo fra tutto, le umane creature. Si è chinato per risollevare le membra sofferenti del corpo di Cristo visibile negli ammalati, poveri e bisognosi.
A loro offriva con dolcezza e umiltà la carità del Signore. Infatti si era proposto di essere un prete dal cuore sfondato dalla carità che supera ogni piccolezza, ogni risentimento, ogni grettezza. L’introduzione del Diario spirituale afferma che: Don Antonio è vissuto assai prima del Concilio e certamente nella sua vita non avrà mai pensato ad un simile evento. Egli tuttavia lo spirito del Concilio con il richiamo costante a Cristo e al Vangelo, lo ha profeticamente vissuto.
Già In preparazione al sacerdozio si propone di far vedere in azione il sacerdote, l’uomo di Dio, ricco di fede e di contenuti. In seguito le sue scelte pastorali sono state lungimiranti ed hanno precorso i tempi.
In un momento storico in cui il sacerdote si riteneva l’unico soggetto attivo di pastorale ed il popolo oggetto passivo, don Antonio capovolge i termini di tale pastorale e coinvolge pienamente i fedeli in una fortissima responsabilità non usuale prima del Concilio.
In tempi nuovi della prima metà del XX secolo, gli uomini vivono un profondo cambiamento. Alcuni, precorrendoli profeticamente, avvertono la nuova irruzione dello Spirito di Cristo Risorto che sfocia in seguito mirabilmente nel Concilio Vaticano II Anche don Antonio, come sensibile antenna, ha captato la novità pastorale in particolare nel campo liturgico. Lo studio rubricista della liturgia non lo appaga. Il diario rivela le impressioni provate da lui dopo aver partecipato il 24 gennaio 1949 alla Divina Liturgia delle Chiese Orientali.
Ha consapevolezza che il culto dato a Dio raggiunge pieno effetto se preceduto da evangelizzazione e celebrato efficacemente dalla testimonianza della vita. Solo così si segue la legge fondamentale che mette insieme: la faccia rivolta a Dio nella contemplazione e la faccia rivolta agli uomini con la promozione umana e la santificazione. Contemplazione e promozione umana sono due potenti fari concentrati nell’eucaristia-adorazione prolungati nella carità.
L’intera comunità, con la partecipazione attiva nel suo ordine e grado, diventa concelebrante e testimone di carità. Mentre la liturgia prima del Concilio era solo opera del sacerdote, il Servo di Dio, favorendo la partecipazione attiva di ognuno nella propria parte, realizza un corpo armonico di santificazione e promozione umana.
Negli Appunti spirituali inediti, con chiarezza, si propone di educare il popolo ad una soda pietà e non c’è mezzo migliore quanto l’educare ad una vera pietà liturgica. Questo per lui è un tema per un intero apostolato: il popolo cristiano, in buona parte, ora non sa cosa sia la santa messa. La liturgia insegna e assegna i giusti valori delle cose divine.
Per tale motivo promuove chierichetti, cantori, lettori, catechisti, con assidua preparazione, servendosi dell’aiuto di piccoli uffici, sussidi vari e degne vesti liturgiche per i singoli ministeri. Per rendere più partecipe la santa messa cura il dialogo con le varie categorie di persone ma sarà la sua intima unione al sacerdozio celeste di Cristo, nel ministero liturgico, il più contagioso che sprigionerà la sua ardente carità.
Don Antonio, un anno prima della consacrazione sacerdotale, scriveva: Ora posso dire, istante per istante En Domine, sum hostia tecum. E da sacerdote prega: Fate che sia una particella dell’Ostia Redentrice che siete voi, Gesù Benedetto. Essere ostia e vittima con Cristo è la sua ispirazione sapendo che ”la vita presente si trova nel periodo di attuazione della passione di Cristo la quale condiziona la sua partecipazione alla vita di Cristo risorto.
In altre parole quanti sono stati battezzati l’uomo vecchio è stato crocifisso con Lui come i due malfattori sul Calvario per rendere inefficace il corpo del peccato ed essere liberati per non essere più schiavi. Tutto questo che ci trasforma in nuova creatura ( 2 Cor.5,17) esige un continuo adeguamento nell’intera esistenza.
I santi sono quelli che in un continuo sforzo raggiungono il pieno sviluppo della vita e del pensiero cristiano verso la maturità spirituale, questo però sarà definitivo per ciascuno solo dopo la morte. E’ anche il Servo di Dio afferma: Ecco la necessità di riprendermi dieci, cento, mille volte per tendere sempre alla stessa meta. Il Signore mi ha suggerito la via; mai stancarmi o sfiduciarmi. Sarebbe fatale non seguirla.
Aveva capito l’esigenza di lottare per la perfezione: Gesù era perfetto in tutto. Io non potrò mai arrivare alla sua perfezione giacché essa è divina. Mi sforzerò però anch’io di essere perfetto. (10) Nell’avvertire Invocazione alla santità don Antonio ravvisa in sé ciò che il card. Marcello Semeraro scrive riportando la risposta di Guardini su cosa accade quando sta crescendo un santo, ossia: “Una persona che si è messa interamente a disposizione di Cristo, ed Egli l’ha tratta entro il suo particolare ambito creativo in cui esplica l’effetto della Sua presenza nella storia…Parlando poi della vocazione alla santità dei presbiteri presenta i modelli stabiliti dal Concilio Vaticano II come “coloro i quali, fattisi più docili agli impulsi e alla direzione dello Spirito Santo, possono dire con l’Apostolo, grazie alla propria intima unione con Cristo e santità di vita: Ormai non sono più io che vivo, bensì è Cristo che vive in me (Gal. 2,20).
In altre parole don Antonio scrive che un santo deve pensare a Cristo in maniera tale che la sua parola, i gesti, la vita interiore, facciano trasparire il suo Volto.
Egli deve farsi ammirare per la sua squisita educazione e gentilezza. E ancora: Il santo è l’uomo più finemente educato! Massima importanza quindi alla finezza educativa. Perciò nel suo impegno per la santità si propone di: essere buono, molto affabile e far sì che chi mi veda o mi senta possa pensare a qualcosa di riposante, se non proprio a Gesù. Nell’offerta del sacrificio eucaristico ha coscienza di essere con Cristo intercessore: Quando sto sull’altare, specie quando sto sull’altare, mi sembra che tutte le anime stiano attaccate a me, dipendenti da me. Nella sua vita eucaristica trasmette ai fedeli una efficace partecipazione ai santi misteri con l’aiuto del canto, con la preghiera dei salmi e con una allargata consapevole ministerialità nei fedeli per superare la barriera del latino.
L’evangelizzazione, trasmessa dalla scuola di catechismo, dai ritiri spirituali, dalle missioni e giubilei per categorie di persone, fa compiere in loro il passaggio dal visibile all’invisibile. Chi lo avvicina avverte il flusso vitale che lo unisce al sacerdozio celeste di Cristo.
Il Signore continua ad incontrare gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi ed opera ancor più la sua presenza attraverso “ i Santi che si formano con una vittoria sempre nuova sull’esteriorità e ostilità del loro ambiente con la consapevolezza di essere inseriti col battesimo nell’atto eterno dell’Agnello immolato che vive ed ha il potere di sciogliere i sigilli per crescere fino alla pienezza”.
E’ anche convinzione del Servo di Dio: “Ritornare sempre di nuovo, con più ardore alla carica, anche se fino alla morte gli uomini non ti comprenderanno, o ti rideranno dietro, o ti chiameranno esaltato”. Chi giunge davanti ad un Santo deve pensare a Cristo in maniera tale che la sua parola, i gesti, la vita interiore, facciano trasparire il suo Volto.
Perciò: Voglio modellare sulla sua tutta la mia vita, ispirarmi alla sua vita, ai suoi particolari insegnamenti per noi sacerdoti. Come con – principio, alla ricerca di santità, il Servo di Dio vuole rendere presente Cristo con la sua fede in tempi di nuova evangelizzazione nella storia del dopoguerra: Credo che nessun’altra virtù sia necessaria in senso assoluto alla santificazione quanto la fede.
La fede trasforma la vita in una sublime tessitura di soprannaturale, la fede che ci fa desiderare d’essere crocifissi dalla volontà al corpo, questa è la fede dei santi. E’ l’impegno della sua breve vita in cui ha bruciato d’amore per Dio e per i fratelli.
Come fuoco divorante avverte: Quale posiziona strana è la nostra! Stiamo in mezzo al fuoco e non bruciamo. Stiamo a contatto, in una unione intima con l’Amore, e restiamo tiepidi. Quale incoerenza.
don pasquale vescera