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CATTURA RADUANO/ AUTO E ABITI DI LUSSO FINISCE LA DOLCE VITA DEL BOSS IN FUGA (4)

Utilizzava documenti italiani con un nome falso, si spostava con auto costose ma rubate, dormiva in resi­dence e frequentava ristoranti di lus­so. L’ultimo è stato “U spurtinu” di Aléria, sulla costa occidentale della Corsica, dove i carabinieri del Ros e la Gendarmerie francese, giovedì se­ra, hanno interrotto la cena romanti­ca che Marco Raduano stava per ini­ziare con la donna con cui aveva una relazione. Quando li ha visti il 40enne capo della mafia garganica, da novembre inserito da Europol nella lista dei ricercati più pericolo­si, si è mostrato sorpreso, ma non ha detto una parola. Appena arrivato in caserma, però, ha voluto telefona­re alla ex moglie, Giuseppina Vescera, con cui ha un figlio di 14 anni, e così la notizia del suo arresto è arri­vata in Italia.

 Lo stesso ha fatto il suo braccio destro Gianluigi Troiano, an­che lui latitante, che la Guardia civil spagnola aveva arrestato a Otura (vi­cino Granada) il giorno prima. A Vieste, dove Raduano detto “Pallon” è nato e ha costruito il suo impero cri­minale basato sul traffico di droga e le estorsioni, la notizia si è diffusa in un lampo. E così a Bari, sede della Di­rezione distrettuale antimafia gui­data da Roberto Rossi, che coordina­va le ricerche del latitante, dopo la clamorosa evasione dal carcere di Badu ‘e Carros (Nuoro) avvenuta il 24 febbraio 2023. Anche a Cagliari la Procura di Rodolfo Sabelli portava avanti un altro pezzo di indagine (prossima alla conclusione), sulle complicità di cui Raduano ha godu­to per scappare dal penitenziario, calandosi dal muro di cinta con un lenzuolo proprio nel momento in cui quella parte della prigione non era sorvegliata.

Il video della sua fuga un anno fa fece il giro del web e i sodali del ca­poclan lo divulgarono su Tiktok do­po aver montato come sottofondo una canzone di Niko Pandetta, usan­do il beffardo ritornello “marescial­lo non mi prendi”. «E invece – ha det­to Rossi – lo abbiamo preso. E que­sto arresto – ha aggiunto il procura­tore – ha un valore enorme, perché fa arrivare alla criminalità organiz­zata l’idea che lo Stato vince, se vuo­le e se non lesina in intercettazioni telefoniche e ambientali, in investimenti tecnologici”.

Che anche il clan Raduano usasse perfettamente la tecnologia, lo dice la storia della latitanza del capo. For­malmente non aveva contatti con la famiglia, ma continuava a comanda­re utilizzando sistemi di messaggistica non tracciabili. E i sodali, a loro volta, gli facevano arrivare fiumi di denaro, con i quali faceva la bella vi­ta. Sul percorso seguito dopo l’eva­sione i carabinieri stanno ancora la­vorando (il Ros e il Comando provin­ciale di Foggia). È possibile che si sia spostato nel sud della Spagna, dove molte persone originarie del Gargano in inverno gestiscono attività.

Al­le Canarie, del resto, nel 2019 fu indi­viduato Danilo Pietro Della Malva, al­tro esponente di spicco della mala foggiana (oggi collaboratore di giu­stizia), mentre vicino a Granada, il 31 gennaio scorso è stato arrestato Gianluigi Troiano, latitante dal di­cembre 2021. Entrambi fanno parte degli scissionisti viestani, spietati e sanguinari.

Erano quelli che, inter­cettati, dicevano: «Se questo sta in giro, lo uccido col martello in mezzo alla strada che poi mi devo mangia­re il cuore». I protagonisti di una fai­da che, dal 2015, ha inanellato una quindicina di omicidi. Nel 2018 ri­schiò di morire lo stesso boss. Scam­pato all’agguato, Marco “Pallon” era stato arrestato, condannato a 19 an­ni poi diventati 24 con la continua­zione (a ottobre gli era piovuto ad­dosso anche un ergastolo per due omicidi e un tentato omicidio men­tre era latitante). Troiano doveva scontare nove anni e due mesi.

Nessuno dei due era armato, quando gli agenti sono piombati lo­ro addosso a poche ore di distanza e in due Paesi diversi, entrambi aveva­no documenti italiani falsi. A Troia­no gli investigatori sono arrivati se­guendo un pacco postale che gli era stato spedito dall’Italia, mentre Raduano era stato individuato in Corsi­ca già da alcuni giorni.

È stata ricostruita la sua presenza in alcuni residence, la mattina del­l’arresto era a Lucciana, la sera si è spostato ad Aléria per incontrare la compagna (che lavora in Corsica), di cui frequentava anche l’abitazione. Insieme sono andati al ristorante con terrazza vista mare.

Nella sua dolce vita da latitante, Raduano ave­va dismesso i panni del montanaro: dimagrito rispetto agli anni in cui era accompagnato da guardaspalle, capelli corti, barba curata. Del resto già in carcere aveva cominciato a fa­re sport.

A trovare un lavoro sotto falso nome non ci aveva nemmeno pensato, ma aveva una grande disponibilità di denaro, che spendeva in ristoranti costosi. Alla fine pro­prio questa bella vita, che faceva muovendosi impunemente, l’ha fat­to cadere nella trappola.

repubblica