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D’Ambrosio a Lecce, il vescovo nomade: «Ma ora mi fermerò qui»

«E’ una persona buona, siamo partiti alle cinque per essergli vicini». La donna di Vico del Gargano ha fatto una levataccia per essere presente in piazza Duomo. Lecce è fortunata, dice.

 

Lui, il vescovo del Gargano, nomade e vagabondo («mi sono convinto che mio padre era un arameo errante») perché in 20 anni ha girato quattro diocesi, ha i gesti semplici e le parole giuste per conquistare la patria del barocco: «Civis lyciensis sum», si concede in latino, per poi quasi gridare come un tifoso «mi si riempe il cuore nel dire sono un leccese». Domenico D’Ambrosio, classe 1941, nuovo arcivescovo metropolitano, originario di Peschici, terra di pescatori e turismo, fa i conti come un buon parroco: «Ho quasi 68 anni, qui concluderò il mio percorso episcopale. Questa meravigliosa città, Lecce, è ormai la mia città».

Piazza Duomo, alle 19, è stracolma. Il sole sta calando dietro le alte mura della curia e del seminario, ma fa ancora molto caldo. «Chiesa di Dio, popolo in festa…», canta il coro diocesano. Dalla chiesa di Sant’Irene è partito il corteo dei presbiteri che percorre un tratto di corso Vittorio Emanuele II e anticipa l’ingresso in piazza del nuovo arcivescovo. Applaude la gente, comincia un folto gruppo della diocesi di Manfredonia, seguito poi dai leccesi.

E’ una piazza in festa. La liturgia che accompagna la «presa di possesso» della diocesi da parte del nuovo vescovo è semplice, ma suggestiva. «E’ solo un benvenuto, come dire ecco ti accogliamo», dice un frate francescano.

Il corteo entra nella cattedrale. D’Ambrosio si ritira brevemente in preghiera, poi indossa i paramenti sacri e sempre anticipato dal corteo rientra nella piazza. Qui il cancelliere della diocesi, don Oronzo De Simone, legge la bolla papale di nomina, poi si dà lettura del verbale di insediamento che viene controfirmato da vescovi (incluso Ruppi, presente alla concelebrazione) e dalle autorità civili presenti (il ministro Fitto, il sindaco Perrone e il neo presidente della provincia, Antonio Gabellone). Alla cerimonia presente anche il sottosegretario Mantovano.

La Chiesa non ama la discontinuità. Il tempo passa, i vescovi e anche i Papi si susseguono, ma la storia di una religione si misura con i secoli e i millenni. A fare da corona al nuovo arcivescovo ci sono tutti: il predecessore, Ruppi che rivolge il saluto al suo successore (e’ stato così anche nella diocesi di Termoli-Larino, 20 anni fa), il cardinale Salvatore De Giorgi, vescovo di Foggia prima di D’Ambrosio, il nunzio apostolico in Italia Giuseppe Bertello, il metropolita della chiesa ortodossa in Italia, Gennadios Zervos, in rappresentanza del patriarca di Costantinopoli Bartolomeos I che un tempo, secoli fa, esercitava il suo potere anche in Puglia. E poi, altri vescovi pugliesi, i sacerdoti della diocesi, le confraternite, gli ordini monastici e le organizzazioni laiche. Nella liturgia si rispecchia la tradizione, sempre uguale ma con simboli che sanno parlare anche il linguaggio dell’attualità. Dura una mezz’ora buona l’omelia-discorso del vescovo. Ringrazia e si rivolge alla gente che lo ascolta e lo applaude di continuo. «Il mio compito – dice – è portare la Parola dal passato al presente». Sì, ma lo si può fare in tanti modi. D’Ambrosio, figlio di contadini, buona formazione teologica, è convinto che ogni mezzo è buono per comunicare. Un sms, lanciato dalla piazza alla sua diocesi di Manfredonia, (tvb: ti voglio bene), può far più rumore di un lungo discorso. Mantenere aperta la comunicazione con i sacerdoti più innovativi tramite Skype (cosa già avviata con alcuni parroci) può dare più frutto di lunghi sermoni. Le notizie provenienti dal Gargano rivelano una personalità religiosa molto forte, ma anche mite e affabile, buon amministratore (ha risanato, in qualità di delegato della Santa Sede, i conti della Casa sollievo della sofferenza, ndr) e sensibile ai temi sociali (l’anno scorso si schierò a favore della vertenza dei pescatori di Manfredonia). I primi gesti e le prime parole a Lecce sono di una persona che cerca il rapporto con gli altri. Le prime improvvise visite alle parrocchie, l’incontro con i detenuti, segno di grande sensibilità, le telefonate ai sacerdoti: «Pronto, sono il nuovo vescovo, vorrei incontrarti». Tutto ciò fa pensare ad una fase di impegno intenso. «La cosa importante è ascoltare gli altri», dice. E poi, rivolto sempre ai sacerdoti: «La casa del vescovo è la vostra casa». Il vescovo del Gargano fa sentire la sua semplicità, tra qualche battuta, invita a non applaudire perché l’ora è tarda e non si può tirarla alle lunghe, promette di non fare più omelie da vescovo per non annoiare. Il presule nomade chiede a Lecce, la barocca, qualche settimana per orientarsi, ma l’impressione, dopo la «sofferta obbedienza», è che abbia già intuito come conquistarla.