Oggi è un ufficiale dell’aeronautica in pensione, ed è tornato nella sua nativa Apricena, a coltivare la passione per il giardinaggio. Sebastiano Muti, colonnello in pensione e giornalista pubblicista, ha incrociato la sua carriera militare con la strage di Ustica.
Da giovane ufficiale era in servizio al centro radar di Marsala, quello famigerato e chiave fondamentale per comprendere, non tanto il misero di Ustica, quanto i depistaggi messi in atto per coprire una verità di un tragico evento che, il 27 giugno 1980, è costato la vita a 81 passeggeri del volo Itavia 870 tra Bologna e Palermo.
Il colonnello Muti non vuole parlare della vicenda che lo vide protagonista. «Non trovo ragione per dire qualcosa di un evento che è avvenuto più di 40 anni fa», afferma. Eppure, il suo nome è finito più volte nell’inchiesta sulla strage: prima come testimone, poi come imputato, «ma la mia posizione è stata ampiamente chiarita». Muti venne ascoltato due volte come testimone, la prima volta dal giudice istruttore di Roma, era il 1986, la seconda, quasi due anni dopo, dal pubblico ministero di Marsala.
La figura del colonnello era stata già evidenziata, oltre vent’anni fa, dal settimanale “Protagonisti” in una lunga ricostruzione dell’inchiesta, evidenziata nelle quasi cinquemila pagine della sentenza-ordinanza, firmata dal giudice Rosario Priore, dove la Capitanata viene citata in varie occasioni, non solo per il ruolo dell’ufficiale apricinese, ma anche per la presenza del centro radar di Jacotenente, nella Foresta Umbra, il cui “occhio” non aveva non potuto accorgersi di quanto succedeva nei cieli di Ustica. In verità la Puglia entra nell’inchiesta anche per il centro radar di Martina Franca che ha la funzione di coordinare le operazioni di ricerca del soccorso aereo.
Il centro radar di Jacotenente, nella Foresta Umbra – nome in codice ‘Fungo’ – fa parte del sistema di controllo di difesa aerea Nadge della Nato e viene tirato dentro proprio dal racconto di Muti. Jacotenetente, all’epoca dei fatti, «aveva un’area di competenza che comprendeva il Mar Adriatico, l’Italia Centro-Sud orientale, parte del Tirreno e parte del Nord Ionio ed era collegato con i radar di Mariina Franca, Potenza Picena, Pescara, Licola, Marsala e Otranto», come scrive il settimanale nel luglio del 2000.
Il centro radar sul Gargano gioca un ruolo importante nella vicenda del Mig libico ritrovato sulle montagne della Sila. Gli operatori di Jacotenente “inizializzarono” una traccia, di un aereo, classificandolo come “friendly”, ma una decina di minuti dopo venne associata al jet dell’aviazione di Gheddafi, tanto che tre militari in servizio nella stazione garganica ebbero una sanzione disciplinare per il loro errore di classificazione.
Resta il dubbio che i tre avessero visto giusto, ma che la loro versione venne “modificata” per una ragione di Stato.
edicoladelsud