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ROMANO CONVERSANO FECE DEL CASTELLO DI PESCHICI IL SUO “LUOGO DEL CUORE”

Chi è Romano Conversano? Un artista nato nel 1920 a Rovigno d’Istria da padre pugliese e madre istriana, figlia del pittore Giuseppe Bino. Compì gli studi all’Accademia di Belle Arti a Venezia. Durante la guerra, si impegnò nella Resistenza. Organizzò a Belluno un cenacolo di giovani artisti fra cui Tancredi e Parmeggiani; si legò d’amicizia con Emilio Vedova e Rodolfo Sonego.

Dopo numerosi viaggi in Francia, Spagna e Fiandre, che rappresentano nella sua pittura altrettanti “periodi”, si stabilì nel 1954 a Milano, dove fu protagonista di varie mostre. Il suo luminoso studio in via Rossini divenne il ritrovo di intellettuali italiani, tra cui Eugenio Montale, il cui profilo l’artista schizzò in una delle sue inconfondibili grafiche.

Nel 1957 Conversano restaurò un piccolo castello a picco sul mare a Peschici (FG), dove si ritirò a contatto con una natura solare e primitiva: fu il periodo dedicato alla “Puglia antica” contrapposto a quello delle “Donne d’oggi” del Nord con i loro problemi esistenziali.

Nel 1974 gli venne conferito l’Ambrogino d’oro dal Comune di Milano.

Quando ricevette la cittadinanza onoraria nell’estate del 2002, ebbi l’onore di raccogliere la testimonianza della “prima venuta” a Peschici, nel 1957, dalla sua viva voce:

«Sono un pittore di origini pugliesi, papà mio era di una bella cittadina ricca, pulita e anche benestante che si chiama Conversano. Anch’io ho avuto un “periodo spagnolo” come i grandi pittori, in un paese incantato che si chiama Gaudix, in Sierra Nevada: case a cupola tagliate nel tufo, con dei comignoli altissimi; la gente sapiente del paese aveva conservato i comignoli, sembravano paracarri fantomatici. Alcuni anni, dopo, ormai vivevo a Milano, in un angolo tra Brera e la Scala, mi fermo al banchetto di un venditore di libri usati e, per caso, trovo una di quelle bellissime pubblicazioni dell’Ente Turismo (Touring Club Italiano 1937). La compro per pochi soldi, vado a casa, mi metto in ginocchio, apro a caso, si aprono le due facciate, in calce all’unica pagina doppia del grosso volume che occupa la base, c’è Peschici. Sono rimasto incantato… mi sono sentito chiamato.

Quando abbiamo potuto, (mia moglie insegnava e avevamo un’adolescente a casa, Margherita), siamo venuti. Con un piroscafo, da Manfredonia fino a Peschici; era agosto, trasbordammo su una barca. Sul molo arriva un ragazzotto. Senza tanti preamboli si accolla i bagagli, e dice: “Facite subte!” (Fate presto!). Ci fa incamminare in mezzo a varie deiezioni umane, tra i fichidindia. Arriviamo su stravolti, ci porta al Castello. Il portone non si apriva, era sbarrato, murato. Con delle martellate cominciano a schiodare le due travi. Vediamo spiripinguli, vuschere sgardavizze, tutti impazziti che corrono di qua e di là. Finalmente aprono il portone. Entriamo… quelli che hanno inventato la sindrome di Stendhal, avevano visto giusto: quando l’anima non regge la bellezza, c’è una specie di mancamento… io mi sono innamorato del Castello a picco sul mare e della sua splendida visuale. Dissi a Margheritina e a mia moglie: “Me lo prenderei, ma sono solo un pittore…”.

Il giorno dopo arriva un signore in tenuta, con il berretto d’ordinanza, che mi dice: “La signora Della Bella e don Nicola Damiani la invitano con la famiglia a cenare da loro, a Capotondo”. Il nome Della Bella mi fece tornare alla mente reminiscenze dantesche. Viene l’autista, andiamo a san Menaio, una casa gentilizi. C’è una vasca di marmo levigata, il principe Umberto II di Savoia era stato ospite loro. In un giardino pieno di fiori, sontuoso, c’era una signora incintissima, biondo ramata, con delle belle braccia color miele, bellissima donna, mi dà una mano affusolata, mi dice: “Senta, ieri, quando il maresciallo dei carabinieri mi è venuto a parlare di voi, io avevo in grembo, oltre al mio bambino, una rivista, “Epoca”, che parlava di lei, con i quadri a colori e di tutta la sua vita. Il castello lo deve prendere lei.

È seguita una di quelle cene per cui io dico sempre: “Viva l’Italia”. Una cena che non finiva mai, mezzanotte, l’una. “Del castello non si parla”, dico: “Ma no – mi dice la signora Della Bella – il castello deve essere suo”. Mia moglie è coraggiosa a dire sì… Abbracci, commozione, orgoglio.

Il mio grandissimo amico Ottavio Rauzino, 10 anni ha lavorato con me per ristrutturarlo…

Adesso la cittadinanza onoraria di Peschici. Perché? Peschici allora non esisteva. Forse perché ho tempestato il mondo di Peschici: Peschici la mattina, Peschici la sera, venite a Peschici! In Inghilterra, in America, a Parigi, Ginevra. Peschici! ».

Romano Conversano ci ha lasciato dodici anni fa, il 22 luglio 2010. È sepolto a Rovereto che nel 1980 lo inserì nell’Accademia degli Agiati. Chi lo ha conosciuto ha un bellissimo ricordo della sua grande umanità, oltre che del suo genio artistico.

Teresa Maria Rauzino