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Tremiti/ Sui fondali il relitto della nave garibaldina

Il piroscafo Lombardo, un pezzo di storia davanti alle Tremiti.

 

Isole Tremiti – Trasportava soldati per i presidi pugliesi e detenuti per la colonia penale delle Tremiti. È andato a fondo, come altre imbarcazioni al largo del Gargano, ma non era un battello come tanti. È un pezzo della nostra storia nazionale: il piroscafo Lombardo, uno dei due impiegati da Giuseppe Garibaldi per portare in Sicilia i Mille che avrebbero sconfitto i Borboni, all’alba dell’unità d’Italia.

Incagliato su una secca davanti a San Domino, la notte tra il 12 e il 13 marzo l864, il Lombardo rimase in balia delle onde e cedette ad una lunga mareggiata invernale, sei giorni dopo, quando i passeggeri erano stati portati tutti a riva. Quattro anni prima, nel maggio 1960, con l’altra nave della compagnia Rubattino, "prestata" ai garibaldini simulando un sequestro, aveva lasciato Genova (lo scoglio di Quarto) dando il via alla spedizione. L’11 maggio approdò a Marsala e sbarcò le camicie rosse, intercettato solo tardivamente dalla Marina borbonica. Le cannonate lo danneggiarono (il Piemonte invece venne affondato), ma non tanto da impedirgli di riprendere il mare qualche mese più tardi, dopo le necessarie riparazioni.
Ripresi i trasporti, il Lombardo incontrò il suo destino nel mare pugliese, dimenticato in fretta, se non nei libri scolastici. È lì che sono stati ritrovati ed ampiamente fotografati i resti del piroscafo bialberi a ruota, 141 anni dopo, nel 2005, sui fondali sabbiosi davanti a Cala degli Inglesi e Punta del Vapore. Sullle navi garibaldine Lombardo e Piemonte, salpate da Quarto, 1089 uomini ed anche una donna, la moglie di Francesco Crispi, Rosalia Montmasson. Erano in gran parte settentrionali. Sei i pugliesi e tra loro il foggiano Moisè Maldacea.
Li ricorda ampiamente (il Lombardo e Maldacea) il documento storico che Stampa Alternativa ripropone in congruo anticipo sui 150 anni della spedizione meridionale. È il diario del toscano Giuseppe Bandi ("I Mille. Quei ragazzi che andarono con Garibaldi", 394 pag. 16 euro), coraggioso giovane volontario, ferito a Calatafimi, nella prima battaglia vittoriosa, proprio come Moisè, che il compagno d’armi e diarista ricorda nelle sue pagine. Nell’edizione per la collana Nuovi Equilibri, la ricostruzione in prima persona dell’impresa è riletta da Luciano Bianciardi, appassionato fin da bambini delle epiche avventure risorgimentali.
Divertente, nonostante la drammaticità dell’assalto al colle di Pianto Romano, il piglio scanzonato, garibaldino, col quale Bandi descrive l’atteggiamento dei soldati avversari. ".Mentre le trombe napoletane suonarono ‘Avanti’ e le voci dei capi-quadriglie reiterarono i comandi, dopo alcuni istanti, udimmo uno strano coro d’impertinenze, che que’ bravi cacciatori ci regalavano per antipasto, mentre venivano innanzi gobbi, come se andassero a caccia alle quaglie. Gridavano que’ poveri soldatelli: ‘Mo venimme, mo venimme straccioni, carognoni, malandrini.’ Un altro squillo di tromba, e le palle cominciarono a fischiare sulle nostre teste..". L’irruenza delle camicie rose ebbe la meglio però dell’impertinenza dei soldati di Francesco II e al "Viva o’Re", subentrarono presto, sula sommità della collina, il "Viva l’Italia" e l’inno di Garibaldi.