Menu Chiudi

PEGGIO DEL 1929, SENZA LAVORO, LA CAPITANATA SI STA SVUOTANDO. CI SALVERANNO GLI IMMIGRATI

Il 20 ottobre 2022 Eurostat (Istituto Statistico Europeo) ha reso noto i dati 2021 sull’occupazione dei 27 Paesi aderente all’unione Europea suddivisi per provincia e, anco­ra una volta, la provincia di Foggia risulta tra i territori a più alto tasso di disoccupazione a livello comunitario.

La Capitanata presenta un tasso di disoccupazione del 21,8%, rispetto ad un dato nazionale dell’8,1 %, un dato re­gionale del 14,6% e un dato europeo del 7,2%. Il confronto con le altre province pugliesi è altresì impietoso: oltre dieci punti in più rispetto al Barese (10%) e, in media, oltre cin­que punti percentuali in più rispetto a tutte le altre.

Un distacco veramente drammatico e, a soffrirne di più, so­no giovani e donne, che presentano tassi di disoccupazio­ne superiori al 40%. Altro dato da terzo mondo è il tasso di occupazione pari al 41,5%, laddove il dato nazionale è pa­ri al 60,1 % e quello regionale è del 46,7%.

La Capitanata è in fondo alla classifica anche rispetto alle altre province pugliesi: dieci punti in meno rispetto a quella di Bari e in media oltre cinque punti in meno rispetto alle al­tre. Le conseguenze sono state un decremento della po­polazione di circa 100mila unità nel corso di un ventennio (2001-2021 ) per effetto di una vera e propria emigrazione di massa e per una riduzione delle nascite che ha portato la famiglia media a 2,7 unità, meno di un figlio a nucleo fami­liare.

Nel 2001 la popolazione complessiva era pari a 690mila abitanti, nel 2021 si è ridotta a 595mila, con una età media di 45 anni. Un dato interessante è quello del 2009, che evi­denzia una riduzione della popolazione in un solo anno di oltre 41 mila unità per effetto della grande crisi finanziaria del 2007.

L’effetto della crisi più grave dopo quella del 1929 è stato devastante per la provincia di Foggia. Lo stesso effetto eb­be la crisi dei debiti sovrani del 2011 che colpì in maniera significativa l’Italia per il suo alto debito pubblico e che ri­dusse di altre 15mila unità la popolazione di Capitanata. In tre anni (2008-2011 ) la popolazione calò di 57mila unità, un dato pari agli abitanti di Manfredonia.

Il trend negativo sembra inarrestabile. Negli ultimi cinque anni la popolazione nella provincia daunia si è ridotta ulte­riormente di ulteriori 31 mila unità. L’andamento regressivo e accentuato della popolazione nei momenti di crisi econo­mica dimostra una forte correlazione tra decremento della popolazione dovuta a emigrazione e crisi economica. Ad evitare l’apocalisse demografica è stata l’immigrazione di stranieri, che costituisce il 5,1 % dell’intera popolazione del­la provincia di Foggia. Allo stato attuale gli stranieri presenti su questo territorio sono oltre 30mila con una età media al di sotto dei 30 anni, provenienti per la maggioranza da Pae­si europei (18.780 unità pari al 61,58%), dal Continente afri­cano 9mila unità pari al 29,5% del totale, mentre l’Asia con­tribuisce per oltre 2mila unità pari al 7,3%. I comuni dove hanno trovato “rifugio” sono Foggia con 8mila persone, Cerignola con circa 3mila persone, San Severo e Manfredo­nia rispettivamente per 2mila e 1.500 persone.

Se lo spopolamento dovesse continuare in futuro con la stessa intensità degli ultimi cinque anni, un bambino che nasce oggi e vivrà 100 anni assisterà alla scomparsa degli indigeni e, molto probabilmente, la terra di Capitanata sarà abitata quasi totalmente da immigrati africani e asiatici. L’aspetto sorprendente e incomprensibile è che un simile fenomeno non interessa a nessuno, si sta desertificando questa terra facendo finta di niente. Un cancro che divora continuamente la Capitanata, rispetto al quale non si pren­de alcuna cura o precauzione. Siamo diventati tutti perso­ne senza onore e dignità, il decadimento etico e morale che ci ha travolto è sfociato in quello economico e sociale. La conseguenza è stata che siamo diventati una terra senza speranza e senza futuro.

Otto giovani su dieci non immaginano neanche lontana­mente di costruirsi il proprio futuro nella terra di origine e tra i laureati la percentuale aumenta ancora di più. Tra tutti quelli che vanno via nessuno ritorna, o quasi. Ad aggrava­re la situazione c’è il fatto che a seguire i figli altrove sono

anche i genitori nel momento della vecchiaia. La grande do­manda da farsi è se si è ancora in tempo per evitare l’apo­calisse demografica, economica e sociale.

Una domanda che richiede risposte e interventi da parte di tutti, nessuno è escluso. Lo tsunami ci ha già travolto. I so­pravvissuti non pensino di essere usciti indenni, sarebbe­ro degli stolti e ciechi a pensarlo. Le prossime ondate sono alla porta e non evitarle sarebbe criminale e autolesionistico. C’è da chiedersi dove siano la politica, l’università, la formazione, la stampa e l’informazione, la Chiesa, i cosid­detti corpi intermedi (sindacati e organizzazioni di catego­ria). A cosa servono, se non a migliorare il bene pubblico e l’interesse generale?

La verità è che tutti sono diventati poltronifici autoferenziali fatti di persone senza arte né parte, senza nessuna com­petenza, dediti a preservare la propria posizione, quella dei familiari e dei clan di appartenenza. C’è da domandarsi an­che dove siano la comunità e il capitale sociale di questa ter­ra senza speranza e futuro, ripiegata su sè stessa, apatica, invidiosa e rassegnata. Lo stato di attuale di sopravvivenza – fatto di illegalità, furbizie, evasione fiscale gigantesca, scorciatoie e spesa pubblica assistenziale – non durerà in interno, prima o poi chiederà il conto a tutti. Spero che que­sta mia scientifica consapevolezza prima o poi contagi tut­ti, soprattutto donne, giovani e tutti quelli che non hanno an­cora perso il proprio idealismo, tutti coloro che credono an­cora nei valori di uguaglianza e di prosperità condivisa. La situazione drammatica richiede una chiamata alle “armi” della conoscenza, della competenza, della responsabilità, ovunque esse siano. Non farlo è criminale. Non si è nel cam­po delle opinioni, bensì nel terreno dei fatti e della matema­tica. Siamo ancora in tempo a invertire la traiettoria della morte.

l’attacco