Siamo un paese con le pezze al culo, il debito pubblico più alto in Europa, il governo deve arrabbattare un bilancio di lacrime e sangue, in perfetta continuità, si buttano soldi pubblici, cioè nostri, in lavori di assoluta inutilità, polverizzati in migliaia di micro opere pubbliche, Investimenti sbagliati, lavori fatti con i piedi e centinaia di migliaia e milioni di euro buttati al vento.
Tutti cianciano di tagli agli sprechi, ma nessuno guarda in casa propria. Questo è l’andazzo. “Così fan tutti”. Vico del Gargano, probabilmente, detiene un primato, oppure si colloca in una bella posizione di affari inutili.
L’elenco, approssimativo, ci ricorda di un asilo per l’infanzia chiuso ed inutilizzato da anni; di una zona archeologica visitata solo da due amici miei; di una palestra in costruzione in un’area dedicata a raduno in caso sismico; dell’annunciato finanziamento di una nuova copertura all’anfiteatro, quella appena fatta non serve a niente; prossimo obiettivo il palazzo Della Bella; e dulcis in fundo il rifacimento della pavimentazione in Corso Umberto.
La pavimentazione da piazza Pelillo a Fuoriporta risale ad appena il 2005. Presentato ai cittadini con una serie di incontri sotto l’Amministrazione Amicarelli, è costata oltre un milione e duecentomilaeuro. Progetto benedetto con entusiasmo dalla Soprintendenza poiché si adoperava materiale di pregio. Oggi, la stessa Soprintendenza autorizza una spianata di bitume.
Anche se ridiamo amaramente perché piangere non serve. Chi si presenta per farsi eleggere deve essere responsabile anche dei suoi errori passati, come un buon padre di famiglia, o perlomeno limitare oggi ulteriori danni. Spendere e basta è la cultura dei falliti.
Mi chiedo: quanto costa alla comunità di Vico del Gargano mantenere tre palestre, per fare cosa? Un moderno asilo chiuso. Una zona archeologica ringhiottita dalla macchia mediterranea e da rovi. Rifare una pavimentazione per il cedimento del fondo, la ragione che smuove il porfido. Il lavoro, argomento che da solo fiato alla bocca, non si crea in questo modo e il declino non lo si arresta con i soldi pubblici sparsi qua e là. E questa non si chiama “discontinuità”.
michele angelicchio