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NEL GARGANO DEI GRANDI VIAGGIATORI / Jean-Claude – Richard de Saint-Non (3)

Voyage pittoresque ou description du royaume de Naples et de Sicile

1781-86

In cinque grandi volumi in folio, il Voyage pittoresque ou description du royaume de Naples et de Sicile dell’abate e archeologo parigino Jean – Claude – Richard de Saint – Non (1727 – 1791) rappresenta per il Grand Tour il “nuovo vangelo iconografico” (A. e G. Mozzi Ilo). Portata a termine tra il 1781 e ili 786 da un’equipe di artisti francesi, l’opera, arricchita dalle tavole di Fragonard, Chatèlet, Desprez, ha avuto grande fortuna ed è stata più volte tradotta e ristampata.

A lungo guida di riferimento per la scoperta del Sud, il Voyage qui riportato è quello dell’edizione romana curata da Franco Silvestri.

Da Siponto alla “Montagna arida, secca e dirupata”

A sei miglia da Manfredonia il terreno comincia a salire avvicinandosi ai monti: qui il paese assomiglia del tutto per clima e caratteristiche del suolo alla Proven­za. Dopo essere passati sul luogo dove era l’antica Siponto arrivammo a Manfre­donia.

Manfredonia fu costruita da Manfredi, quello stesso che fu ucciso davanti a Benevento. Dopo aver edificato questa città per popolarla vi fece venire delle famiglie da diverse parti della Puglia; la città fu poi distrutta e quasi completamen­te devastata dalle incursioni dei Turchi, ma fu poi ricostruita. C’è a Manfredonia un castello a prova di colpo di mano; un molo naturale sul mare forma un porto che per la sua scarsa profondità non può chiamarsi se non una rada ma assai sicuro per posizione ed al riparo dei venti del Nord per le montagne che formano lo sperone dello Stivale, chiamato Monte Gargano. Il fondo è poi così regolare che l’ancoraggio è ottimo; vi si vedono molte navi veneziane che vi portano tele, mercanzie minute e caricano granaglie, lana, etc., prodotti naturali del paese.

La città di Manfredonia è ben costruita, aperta e popolata da quattromila abitanti; noi eravamo alloggiati nel Convento dei Domenicani ai quali eravamo stati indirizzati dal Preside di Lucera che ci aveva dato lettere per tutti i Sindaci del suo distretto; fummo ricevuti in modo perfetto dal Priore che era un uomo buono ed affabile. L’indomani vedemmo arrivare il Governatore del Castello che aveva già mandato il suo luogotenente ad interrogarci. Con l’anima tutta piena del suo Castello ebbe sul principio l’aria di considerarci dei nuovi normanni che venissero a riconquistare la Puglia; è da credere poi che il nostro aspetto pacifico lo avesse rassicurato subito.

Dopo pranzo, tornammo sui nostri passi per un miglio e mezzo, nel luogo dove era l’antica Sipontum, fondata da Diomede, il fondatore di città. Si ritiene che essa tragga il nome da Saepia e da Pontium, mare di seppie, a causa della quantità di seppie (supia o calamaro), specie di polipi che si trovano in abbon­danza su questa spiaggia

Da lì ci recammo ad osservare, quattrocento tese più lontano, delle strade dove si vedono i resti di antichissime catacombe quasi a fior di terra: erano scavate in un tufo giallastro molto simile alla pozzolana ma che è una concrezione marina mescolata ad una infinità di conchiglie di ogni grandezza. La distribu­zione e la forma delle tombe antiche è quasi simile a quella delle catacombe di Napoli e gli ossami vi sono del pari ben conservati. Questi sotterranei sono attualmente scoperti perché sono stati scavati per ricavarne le pietre con le quali fu costruita Manfredonia ma si vede ancora dappertutto la traccia delle torce che servivano anticamente agli abitanti di queste oscure dimore.

All’ingresso di queste catacombe è stata presa la veduta incisa n. 6, nella quale l’artista ha riunito le strade, le rovine di Siponto, il sito stesso di Monte Sant’An­gelo che si scorge dalle alture, come anche le montagne che formano il promon­torio volgarmente chiamato lo Sperone dello Stivale.

Non può riconoscersi subito l’esistenza dell’antica Siponto se non per il rilie­vo che le antiche volte sotterranee dànno al terreno. Non si sa quando fu distrut­ta, ma una chiesa costruita su quel suolo nell’undicesimo secolo permette di stabilire che la sua distruzione fu anteriore a quell’epoca. Il che dimostra come questa chiesa sia stata ricostruita dopo la distruzione della città di Sipuntum e che essa sia il solo edifìcio ancora integro esistente in quel luogo, costruito con antichi resti ricomposti secondo lo stile greco dell’epoca e con gli stessi caratteri della chiesa di Troja della quale abbiamo parlato prima. Essa è ancora la chiesa episcopale di Manfredonia.

1 – Questo pesce immondo si trova su parecchie spiagge del Mediterraneo e dell’Oceano. Se ne vedono di lunghi sino a due piedi. Questa specie di polipo ha la testa munita di due protuberanze e di otto braccia tendinee fornite per tutta la loro lunghezza di una serie di ventose. Con queste braccia e con queste proboscidi cattura piccoli pesci e crostacei dei quali si nutre. Si attacca anche con gran forza alle ancore ed ai cordami. Al centro di tutte queste braccia è posto il becco che ha la forma e l’aspetto di quello di un pappagallo.

Quando i maschi delle seppie sono inseguiti dai nemici sfuggono al pericolo con l’astuzia: lanciano un liquido nero che secernono da una ghiandola. Questo liquido è così denso e nero che l’acqua diventa immedia­tamente come l’inchiostro e col favore di questa nube la seppia scompare e sfugge. Gli antichi si servivano di questo liquido e si dice che i cinesi lo adoperino nella preparazione dell’inchiostro.

Sotto la chiesa è stata costruita una cappella sotterranea molto interessante e che costituisce un’altra prova di ciò che abbiamo ora detto essendo quasi intera­mente composta da fusti di colonne di marmo antico ma con capitelli moderni. Di queste due chiese sono state incise le vedute n. 7 e 8. Nello stesso luogo trovammo dei fusti di colonne, di grandezza media, di marmo cipollino e di granito, dei grandi capitelli antichi e corinzi, un fregio dorico ed un piedistallo con questa iscrizione in onore di Antonino:

IMP. CAESARI

DIVI HADRIANI f.

DIVI TRAIANI PARTICI N.

DIVI NERVAE PRONEP.

TITO AELIO

HADRIANO ANTONINO AVG. PIO. PONT. MAXIMO TRI. POT. COS. SIPVNT.

PUBLICE D… D…

Questo piedistallo di tre o quattro piedi di altezza e con un larghezza di base di due piedi e sei pollici, sosteneva senza dubbio una statua perché si vede ancora il segno del posto dove doveva essere collocata. Poiché la curiosità, il desiderio di vedere e di scoprire ci faceva ricercare ed osservare tutto ciò in cui ci imbattemmo, scoprimmo a qualche distanza da lì due piccole volte sotterranee che volemmo osservare più da vicino: erano sormontate e coperte da un paramento e da un intonaco che doveva formare il solaio di una antica casa. Queste rovine ci dettero inoltre il livello del suolo antico, a poca profondità. Vi erano pure dei frammenti sporgenti di antiche muraglie, a forma di settore circolare, che potrebbero indica­re un teatro ma gli avanzi sono così diruti che non può aversene alcuna certezza. Il mare, a quanto sembra, arrivava a lambire le mura della città, dato che lo spazio che intercorre tra questa elevazione e l’attuale riva è uno stagno a fior d’acqua.

Il giorno dopo il nostro arrivo a Manfredonia ci venne la curiosità di andare a Monte Sant’Angelo, uno dei primi santuari della Cattolicità, nel quale, si dice, il primo angelo del Paradiso ha voluto mostrarsi agli uomini in una brutta grotta umida e scura nella quale da quindici secoli si va a prendere il raffreddore. No­nostante la mia scarsa fiducia nei luoghi miracolosi, indussi i miei compagni ad accompagnarmi in questo pellegrinaggio e così arrivammo sul luogo cavalcando molto umilmente degli asini. Ciò che maggiormente stimolava la nostra curio­sità era il desiderio di visitare un luogo che era stata la cagione prima della calata dei Normanni in Italia. Si sa che questi Paladini famosi vi furono attirati specialmente dai racconti meravigliosi che sentivano fare dai pellegrini dell’epoca e da tutto ciò che della bellezza e della feracità di questo paese essi narravano.

Al posto però di tutte queste meraviglie non trovammo che una montagna arida, secca e dirupata; tanto alta che vi fa freddo quasi sempre e per tutto l’an­no. Nonostante queste condizioni poco piacevoli vi sono però ottomila abitanti ma senza commercio, quasi senza attività produttive ed altra fonte di reddito oltre quella costituita dall’affluenza dei pellegrini in alcuni mesi dell’anno. Era­vamo diretti dal Governatore che non parlava alcuna lingua e ci mise nelle mani di un canonico che ne parlava una misteriosa.

Avrei voluto poter trascrivere quello che diceva perché, quando ebbe finito il suo pio sproloquio, ci fu impossibile capire una sola delle parole che aveva pro­nunciato. Da parte mia mi comportai a meraviglia: guardai, ammirai, baciai tutto ciò che egli mi volle far baciare ed ammirare. Comprai anche delle statuette dell’Arcangelo e mi caricai di pietre della Grotta. Ma ciò che ci piacque più di tutto e ci compensò di tutte le nostre pene fu il portarci via una affascinante veduta del luogo e della scena stessa alla quale avevamo assistito e che uno dei nostri disegnatori eseguì rendendone, con tutto lo spirito ed il realismo possibi­le, il tumulto ed il movimento di questo genere di feste popolari molto più comuni e gustate in Italia che in qualsiasi altro luogo.

Dimenticavo di parlare del simulacro di San Michele che è famoso nel paese e che viene attribuito, per la somiglianza del nome, a Michelangelo Buonarroti. Questa brutta piccola statua è eretta su una specie di colonna tronca, spropor­zionata e deturpata da un enorme capitello che funge da piedistallo. La figura del Santo è alta tre piedi, l’espressione della testa è priva di carattere ed è pochis­simo adeguata all’azione del momento che è quello in cui l’Angelo atterra il Diavolo. Questo, poi, ha l’espressione di una vecchia arrabbiata. Nel complesso, l’atteggiamento della figura è brutto, i dettagli sono meschini e, nell’insieme, di qualità molto mediocre. Alla statua è stata impostata una armatura d’argento dorato che riesce ancor più ad impoverirla e guastarla.

Non avendo potuto trovare a Manfredonia né calessi né cavalli, fummo co­stretti a prendere umilmente un carretto col quale ci mettemmo in istrada, se­guendo la riva del mare lungo la spiaggia perfettamente piatta per cui avevamo sempre una ruota nell’acqua ed una sulla riva.

Questa vasta, immensa piana si estende all’interno per una larghezza di qua­ranta miglia; è un terreno incolto, qualche volta arido e popolato di pecore e nelle parti più basse ed umide frequentato da bufali e da altro grosso bestiame, con capanne di paglia sparse per alloggio dei pastori. Lungo il litorale si trovano, ad ogni sei miglia, delle torri di guardia, costruite per la sicurezza del territorio e cioè per annunciare con il cannone le scorrerie che un tempo frequentemente facevano i Barbareschi, gli Albanesi ed i pirati turchi; ciò è molto meno frequente da quando gli sciabecchi e le feluche del Re di Napoli incrociano nifi paraggi e soprattutto da quando la Repubblica di Venezia si è assunto l’incarico della polizia dell’Adriatico.

Dopo aver traghettato su due fiumi o ruscelli che incontrammo sulla nostra strada e che si gettano poco lontano nel mare, ci fermammo presso una delle torri per far riposare i cavalli e sei miglia più avanti giungemmo alle Saline che forniscono di sale tutto il Regno e che, volendo, lo fornirebbero a tutto il mon­do per la facilità di estendere all’infinito le fosse di raccolta dell’acqua marina2.

Achille Vianelli, Santuario di San Michele Arcangelo al Monte Gargano, 1867. Disegno a seppia, Napoli, collezione Antonio Del Vecchio.

2 – Il clima secco del paese è molto adatto alla evaporazione, la vicinanza del mare è molto comoda per il carico e l’esportazione, in modo che tutto concorre a produrre e ad ottenere qui il sale a minor costo che in qualsiasi altro luogo del mondo. Perciò vengono a prenderlo da tutti i porti del Baltico; si compra a sei grani il rotolo e cioè circa a due soldi e sei denari per libbra: il che rende al Re di Napoli mezzo milione di ducati. Si sa che in una regione molto calda il sale è troppo acre e corrosivo e che le regioni fredde non possono dare un perfetto essiccamento; perciò il sale prodotto in Francia è, a ragione, uno dei più apprezzati.