“È la prima volta che una indagine antimafia della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari vede il concomitante coinvolgimento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, dei Servizi Centrali e Interprovinciali di Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza e dei loro ulteriori organismi periferici. Il procedimento penale, da cui scaturisce l’operazione “Mari e Monti”, rappresenta la più complessa, strutturata e, allo stesso tempo, innovativa indagine effettuata nel distretto barese sulla criminalità organizzata di tipo mafioso operante nella provincia di Foggia”.
Lo sottolinea la Procura della Repubblica del tribunale di Bari-Direzione distrettuale antimafia, a proposito della maxi operazione contro la mafia del Gargano che ha a 39 arresti (quasi tutti in carcere) e a ingenti sequestri patrimoniali. Si è trattato di un blitz operato dalla polizia di Stato, dai carabinieri e dalla guardia di finanza a Foggia e in altre località del territorio italiano.
Diversi i capi di imputazione contestati ma tra i principali ci sono l’associazione mafiosa il traffico di droga e le estorsioni. A dirigere le indagini la Dda di Bari, con il coordinamento della Direzione nazionale antimafia. “La complessità strutturale – spiega la Dda del capoluogo pugliese è direttamente ricollegata all’ambizioso obiettivo della progettualità investigativa: verificare la perdurante operatività criminale dell’associazione mafiosa garganica denominata clan Li Bergolis, da epoca successiva al suo definitivo riconoscimento giudiziario, risalente al 2009, fino all’attualità, colmando, in tal modo, una lacuna ricostruttiva estesa per un arco temporale di 15 anni.
Sono stati acquisiti e messi a sistema gli esiti investigativi e giudiziari di una molteplicità di procedimenti penali, con l’utilizzazione di una copiosa e variegata serie di elementi, arricchitasi, negli ultimi tempi dei preziosi contributi di importanti collaboratori di giustizia. Molteplici i profili di novità – continua la Procura – sia sul piano della composizione del gruppo di lavoro preposto all’acquisizione, all’analisi e allo sviluppo delle risultanze investigative sia in relazione alla metodologia di contrasto adottata, caratterizzata dal concomitante impiego dei plurimi e diversificati strumenti dell’attività di contrasto alle organizzazioni mafiose, sia in chiave repressiva che preventiva”.
MIX DI MAFIA MILITARE E MAFIA DI AFFARI
Una coesistenza e un mix di elementi legati alla tradizione e di profili significativi di modernità: è quanto emerso dalle indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Bari – Direzione Distrettuale Antimafia. Tra i principali capi di imputazione l’associazione maliosa, il traffico di droga e le estorsioni. Il blitz è stato denominato ‘Mari e Monti’ a richiamare la conformazione geografica del territorio e la ramificazione del clan tra i centri montagnosi del promontorio e le aree costiere.
Secondo quanto accertato l’organizzazione criminale era in grado di associare gli schemi della cosiddetta ‘mafia militare’ alle peculiarità della cosiddetta ‘mafia degli affari’. In perfetta continuità con la sua genesi, il clan mafioso Li Bergolis, operativo da molti anni nel Gargano, si caratterizza per la sua forte connotazione familistica e per un radicamento territoriale pervasivo.
Elementi che, nel tempo, hanno assicurato il mantenimento dell’omertà, la saldezza del vincolo associativo e la capacità generalizzata di condizionamento ambientale. Aspetto quest’ultimo, particolarmente evidente, in forma talvolta eclatante, nel favoreggiamento delle latitanze e nell’esercizio della pratica delle estorsioni, “imposta come riconoscimento di una tassa di sovranità e quasi sempre caratterizzata da una minaccia tacita, realizzata mediante un comportamento concludente, con assenza di denuncia da parte degli imprenditori taglieggiati”, sottolinea la Procura della Repubblica Direzione distrettuale antimafia di Bari.
Ulteriore significativo elemento di novità dell’inchiesta è dato dal fatto che l’azione di contrasto si sia caratterizzata per la concomitante esecuzione di misure cautelari personali e reali disposte dal gip del Tribunale di Bari, di sequestri di prevenzione patrimoniale, adottati in via di urgenza dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Bari (su proposta formulata congiuntamente dal Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e dal Procuratore della Repubblica di Bari) e di provvedimenti ministeriali applicativi del regime detentivo speciale di cui all’articolo 41 bis per alcuni indagati.
TUTORAGGIO PER LE GIOVANI LEVE
Il clan Li Bergolis del Gargano, colpito dall’operazione ‘Mari e Monti’, aveva una notevole “capacità di reclutamento di minorenni” che avveniva mediante “un percorso di tutoraggio delle cosiddette giovani leve”, la cui affidabilità era saggiata inizialmente con l’impiego dei giovanissimi nella commissione di reati predatori.
E’ quanto emerge dalle indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, con il coinvolgimento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, dei Servizi Centrali e Interprovinciali delle forze dell’ordine e dei loro organismi periferici. Sono 48 i capi di imputazione contestati, tra i quali l’associazione mafiosa a carico di 25 indagati; 2 associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti (una a carico di 11 indagati, l’altra a carico di 10 indagati); 21 delitti in tema di stupefacenti; 11 delitti estorsivi; 5 delitti in materia di armi; 9 delitti vari (rapina, furto aggravato, favoreggiamento, trasferimento fraudolento di valori, ricettazione). In tutto gli arresti effettuati stamane da Polizia di Stato, carabinieri e guardia di finanza sono stati 39 quasi tutti in carcere. E’ di 10 milioni di euro circa il valore complessivo sottoposto a sequestro patrimoniale.
IN CARCERE GESTIVANO AFFARI E CASSA COMUNE CON PIZZINI
Il clan Li Bergolis, operativo soprattutto nel Gargano, è stato capace di crescere e svilupparsi nonostante la detenzione in carcere di molti dei suoi membri più autorevoli. Secondo i magistrati inquirenti e secondo quanto emerso dalle indagini degli investigatori di Polizia, carabinieri e guardia di finanza, il regime carcerario di ‘alta sicurezza’, a cui gli esponenti apicali dell’organizzazione sono stati fino ad ora sottoposti, si è rivelato non idoneo ad impedire il mantenimento dei collegamenti con il clan mafioso di appartenenza e con i più vasti circuiti delle organizzazioni mafiose operanti nella provincia di Foggia.
L’indagine ha messo in evidenza “la capacità di sviluppare, mediante pizzini veicolati dai familiari, l’uso della corrispondenza epistolare e l’abusivo utilizzo di apparati cellulari, uno stabile canale di collegamento endo-associativo anche in ambito carcerario, finalizzato alla gestione della cassa comune, all’assistenza economica degli associati detenuti, all’attuazione degli scopi associativi e alla promozione e sviluppo del traffico di droga”.
Il clan Li Bergolis, ritenuto particolarmente violento, sarebbe ancora vitale e operativo e ciò è stato drammaticamente messo in evidenza dall’inarrestabile percorso espansivo compiuto negli ultimi anni, chiaramente orientato a proiettare la propria egemonia, originariamente radicata nell’entroterra, sulle coste garganiche compiendo, in tal modo, un decisivo salto di qualità nel processo di modernizzazione.
Sul piano degli assetti organizzativi, si sarebbe caratterizzato per la coesistenza di una pluralità di cellule, dislocate in varie località del promontorio, dotate di autonomia operativa ma gerarchicamente riconducibili, sul piano associativo, ad un’unica linea di comando di tipo verticale.
Elemento centrale che caratterizza i profili metodologici e le strategie operative del sodalizio mafioso garganico è rappresentato dalla feroce contrapposizione armata con il clan Romito-Lombardi-Ricucci, che ha generato, nel corso di oltre un decennio, una inarrestabile scia di sangue, culminata nel quadruplice omicidio di Apricena del 9 agosto 2017 (nota come “strage di S. Marco in Lamis”), nell’ambito del quale furono barbaramente uccisi anche due agricoltori, i fratelli Luigi e Aurelio Luciani, assolutamente estranei alle dinamiche mafiose ma testimoni scomodi dell’omicidio del boss di Manfredonia Mario Luciano Romito.
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