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NEL GARGANO DEI GRANDI VIAGGIATORI (4)

Di un viaggio botanico al Gargano

1871

Pubblicata negli Atti della Reale Accademia di Napoli – Scienze matematiche, fisiche – nel 1873, la relazione del viaggio botanico al Gargano di Giuseppe Anto­nio Pasquale (1820 -1893) e di Gaetano Licopoli (1833 -1897) è un “vero e proprio catalogo ragionato”. Il testo di seguito riportato è quello ripubblicato sul periodico foggiano II Rinasci­mento, anno III, fascicolo 33 del 1897. Stile brioso e curiosità di varia natura corredano il resoconto dei due studiosi di origine calabrese, attivi a Napoli nell’insegnamento universitario e, il Pasquale, nella direzione dell’Orto Botanico.

Il catalogo ragionato, che vi presentiamo, delle piante da noi raccolte nella Regione Garganica, è il frutto di una nostra escursione eseguitavi nel principiar dell’aprile del passato anno 1871; cioè dal di 5 agli 11 (incluso) del detto mese. Costretti dalla necessità dei nostri ufficii, non avevamo altro tempo a disporre per soddisfare a questo nostro voto.

Oltre di chi pensavamo, che la detta stagio­ne è propizia alla raccolta delle piante crittogame, come a quella che tiene ancora dell’inverno laddove non è del tutto sfavorevole a quella delle fanerogame, come a principio di primavera. Questo pensiero avvalorava la nostra risoluzione di visitare quella contrada, tanto rinomata nelle opere di diversi naturalisti. E di vero la Regione Garganica, reiterate volte esplorata per le piante fanerogame, pochissimo, o nulla, a noi pare sia stato per le crittogame.

Nel 1710, per ordine del Gran Duca Cosimo III dei Medici, ricercava il Gargano il gran Pietro Anto­nio Micheli il quale vi tornava poi il 1730, per ordine della Società botanica fiorentina. Il signor Gaetano Baselice, in qualità di corrispondente alla Flora Napoli tana, composta da Michele Tenore, visitava il Gargano dal solo lato boreale il 1813 1. Lo stesso Tenore peregrinava pel Monte Gargano nel mese di giugno del 1827, risalendovi ad una delle più alte cime detta Monte Sacro2. Guglielmo

[1]- Ne’ Documenti biografici di Giovanni Gussone, per Gius. Ant. Pasquale nel voi. X degli Atti della Società Pontaniam, a pag. 24 sta per errore scritto 1807.

2- Atti della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Voi. Ili, pag. 99 e seguenti.

Gasparrini fuvvi di passaggio, e per pochissimo tempo, nel giugno del 1837, allorché, reduce dal Vulture nella Basilicata, passava a visitare le isole di Tremiti. Più volte vi ha peregrinato il Gussone, come si rileva dal suo erbario: specialmente nel mezzo del mese di maggio del 1840. Se non che costui conversando con suoi amici diceva avere per un caso strano perduta la collezione fattavi in un altro anno, o, forse, in quello stesso 1840. Ancora è a sapere, che, quale ricerca­tore delle piante garganiche e corrispondente del Tenore era il signor Salvatore Torre, farmacista abilissimo di Montesantangelo, più volte citato nella Sylloge Florae neapolitanae e nella stessa Flora napolitana 3.

Ritornando al fatto della nostra gita, dobbiamo anzi tutto confessare, che i nostri voti non venivano poi appieno appagati in quanto al detto scopo delle piante crittogame. Perciocché la Regione Garganica è un gruppo di Montagne calcari, interamente diviso dagli Appennini4 per gli estesi piani del Tavoliere. Ed è contrada asciuttissima e sovra ogni altra ventilata, dominandovi d’inverno il vento di settentrione e di estate quel di mezzogiorno, che è caldissimo: aperta da ogni intorno all’orizzonte, soleggiata, e sfornita di stillicidii e di correnti di ac­qua; eccetto in qualche piccola parte5. Condizioni le quali vi sono contrarie alla vegetazione delle crittogame filicinee, muscinee, algoidee e junginee. Non così pei licheni, i quali vi sono molto ampiamente rappresentati.

Del nostro itinerario diciamo quanto basti ad intendere le poche cose botani­che esposte nel catalogo; oltre ad alcune considerazioni agronomiche che l’ispe­zione dei luoghi ci veniva suggerendo.

Per chi parte da Napoli per condursi al Gargano, s’incontra in paesi diversis­simi: per luoghi montuosi della catena Appennina delle provincie di Terra di Lavoro, di Benevento, di Avellino; e poi entrando nella provincia di Capitanata, in cui è il Promontorio Garganico, passa per lande estesissime tra colte ed incol­te, e più di frequente deserte, e nude affatto di alberi e di arbusti; le quali fan parte del Tavoliere di Puglia; e poi finalmente vedi l’amenissima e verdeggiante Regione del Gargano di 544 miglia quadrate di estensione, vestita di boschi

3 – Dopo il nostro viaggio, e prima che scrivessimo questa relazione, il eh. Prof. Cesati visitava il Gargano (31 agosto a 3 settembre 1871) dalla parte di S. Giovanni Rotondo.

4 – Le maggiori altezze del gruppo Garganico sono le seguenti, comunicateci dal Chiarissimo Prof. Federico Schiavone dell’ufficio Topografico.

Monte S. Angelo, sulla cui cima è situata la città dello stesso nome Metri   863,7

Monte Calvo, la maggiore altezza     »          1055,7

Monte Nero     »          1041,4

Monte Sacro   »          874,3

Monte S. Lucia           »          510,5

5 – Come è il lago di S. Giovanni. Giace questo lago, di circa 6 chilometri di circonferenza, a pochi chilo­metri da S. Giovanni Rotondo.

vigneti, verzieri, ed oliveti, e, in quanto a paese, amenissima, e soprammodo variata; sicché a dipingerla sarebbe per ogni suo verso acconcissima. Era entrato il mese di Aprile e nel partir da Napoli, lasciavamo il fico, il pioppo, il gelso, che avevano di recente aperte le loro gemme. Notavamo con sorpresa, la vegetazione di detti alberi esser più inoltrata presso la città di Caserta. Ancora presso questa città il noce era avanzato più che a Napoli e altrove, nella sua vegetazione. Ad Ariano il pruno, il pero, il ciliegio, il pioppo non avevano ancora aperte le loro gemme.

Dopo i Ponti di Maddaloni, stando in ferrovia, osservavamo su pei margini de’ campi, in grande abbondanza, la Cochlearia Draba e la Sinapis erucoides, che erano in fiore ed in frutto.

Partiti da Napoli col primo convoglio del giorno 5, Mercoledì, giungevamo a Foggia all’1 p.m. Colà il nostro amico signor Cav. Giulio Avellino ci faceva grata accoglienza, e nel contempo ci proponeva un itinerario del nostro viaggio, inteso a farci visitare la Regione Garganica per la sua intera circonferenza e per la sua altitudine; non tralasciando il lago di Lesina al Nord.

La notte del mercoledì stesso fummo a S. Severo, dove passammo per la via ferrata, giungendovi alle ore 4 1/2 p.m. In questa breve dimora facemmo la conoscenza del bravo Guardiagenerale signor Bucci, il quale modificava l’itinerario del signor Avellino, per adattarlo alla brevità del tempo concessoci. Da S. Severo, donde partimmo la seguente mattina di Giovedì per Apricena, e per la salita di Angarano, giungevamo verso mezzogiorno a S. Nicandro per quell’unica via rotabile.

La pianura che sottostà e precede la detta salita di Angarano, ci allietava la vista con la fiorita Iris biflora degli autori che a noi pare non essere altro che una forma piccola dell’Iris germanica, ed Iris panormitana, Tod.

Il primo albero fra i notevoli che incontravamo per la detta salita di Angarano, era il Prunus Mahaleb. Il terribile Vucàco, così detto colà, Paliurus australis, che cuovre largamente quei poggi incolti, stava in quel tempo per aprire le gemme; sicché non per anco avea perduto la sua tinta cinericea, che presenta durante l’inverno.

Tra le crittogame trovavamo frequente l’Orthotricbum cupulatunr, ol­tre la Grimmia ovata comunissima in tutta la Regione rupestre del Gargano. A S. Nicandro erborizzammo lo stesso dì, o dimorammo la notte. Il giorno se­guente, venerdì, partimmo per Vico, seguendo la medesima strada rotabile. Da lungi a N. O., giù presso alla marina, lasciavamo alle nostre spalle il lago di Lesina, che giace a circa dieci chilometri a nord di S. Nicandro presso il mare, e continuammo il cammino verso Cagnano. Il passaggio pel bosco di S. Nican­dro, assai folto di diverse specie di alberi ed arbusti, ci offriva alla vista le diverse finte delle nuove messe degli alberi che germogliavano: e sovrattutto quelle del Terebinto, dal color rosso, spiccavano sul verde nascente di tutti gli altri alberi.

I naturali di S. Nicandro addimandano il Terebinto Lenoamaro, mentre quei di Monte S. Angelo con nome più adatto lo chiamano Trevinto. Della importanza economica di questo alberetto diremo a suo luogo nel catalogo. Ma non potre­mo astenerci fin da questo momento segnalarne la sua frequenza e grande svi­luppo in quei boschi della zona inferiore del Gargano; per modo che il bosco di S. Nicandro si potrebbe ridurre a questa sola essenza; sì da convertirlo in pistac­chieti: come si suol fare in altri siti dello stesso Gargano per l’ulivo spontaneo per la formazione degli oliveti. Perciocché l’ulivo selvaggio si lascia in posto, come naturalmente si trova, estirpandone il resto degli alberi inutili. L’Oleastro, il Corniolo, il Maheleb, il Terebinto, il Lentisco, l’Orno, ed altri alberetti, com­pongono ordinariamente quei boschi.

In questa stessa strada attirò il nostro sguardo il Verbascum phoeniceum che abbiamo raccolto in fiore. Ma non ne abbiamo trovato che un solo saggio, né mai più il vedemmo nel resto del viaggio. Questa pianta bellissima, pei suoi fiori violacei, era in principio di fioritura, e vi deve esser rara; perché né il Tenore, né altri ve l’avevano trovata: come si rileva dalle citazioni delle località nella sua Flora napolitana e nella Flora Italiana del Bertoloni; e dall ‘Erbario Gussoniano.

Il primo borgo dopo quel di S. Nicandro è Cagnano, su di un poggio verdeggiante per culture di alberi diversi, e specialmente per fichi d’india. Giù immediatamente giace il lago Varano, presso il mare, da cui è diviso per una stretta duna: è di figura pressoché quadrata. La sua estensione è di sedici miglia quadrate.

Lasciavamo il lago alle spalle e ci volgevamo su per Carpino. La pianura coltivata a cereali e civaie, è smaltata, secondo il solito, dei fiori gialli della Tulipa sylvestris; e di tanto in tanto scorgevamo tra le biade XAllium nigrum, di cui le foglie erano talvolta tanto larghe, e pendenti, da rassomigliare quelle d’un Haemanthus. Specialmente si verificava siffatta apparenza nei punti più profon­di e pingui di quel suolo calcareo argilloso coverto di cereali. Di questa pianta si terrà parola a suo luogo, nel seguente catalogo.

Siegue ad 8 chil. e mezzo da Cagnano il grosso borgo di Carpino, e poi ad 8 chil. e 1/2 l’altro d’Ischitella, dove giungemmo alle ore tre p.m. Ancora esso borgo, come il precedente, è situato su d’una altura, ed aperto all’orizzonte, con piazza ampia, al solito di quei paesi. E qui per la prima volta che c’imbattemmo in un ruscelletto, che irriga estesi agrumeti, i quali bene stretti e serrati tra loro e cinti di mura, erano ancora carichi dei loro frutti. Sì che ci si parava innanzi una scena novella, ed a paesaggio acconcissima.

Gli agrumeti si estendono da Ischitella fino alla marina di Rodi, per circa otto chilometri, irrigati da parecchie sorgenti che si succedono in quel tenimento. Gli agrumi del Gargano formano un articolo di grande esportazione per l’estero, per la via dell’Adriatico; facendo­ne carico alla vicina marina di Rodi. E qui cade in acconcio ricordare che le arance, come ogni altra maniera di frutte del Gargano, sono per la loro qualità estimate d’assai.

Continuando il viaggio, alle cinque p.m. giungemmo a Vico, città amenissima, che dista da Ischitella presso a sei chilometri. Colà, prima che sopravvenisse la notte, profittando della cortesia del nostro amico sig. Dottore Antonio Mastromatteo, distinto medico di quella città, osservammo un suffrutice aroma­tico, non ancora in fiore, che è la Satureia cuneifolia (Satureia montana, vari).

Di questa pianta quel dotto medico ci faceva notare fuso che ne fa la gente povera di quel contado contro le febbri intermittenti. Lungo il detto cammino noi trovava­mo qua e là un nuovo soggetto, che ci distraeva piacevolmente dalle nostre occu­pazioni botaniche.

Erano dei rognoni di quarzo piromaco, ora erranti, ed ora in sito, nei terreni d’alluvione. La loro figura è or perfettamente globosa or ovoidale, altre volta lageniforme assai bizzarra. La loro superficie levigata, è coverta di pati­na bianca che te li farebbe credere di natura calcarea. Ma l’inganno tosto sparisce sotto i colpi di martello, il quale scovre, rompendoli, la selce piromaca.

Spessissi­mo il loro centro contiene un nucleo di materia bianca pulverulenta, simile alla patina esteriore di sopra descritta. Talvolta erano vuoti; e di cosiffatti ciottoli vedevamo di diversa grandezza; da quella di un uovo di colomba, a quella di un’arancia. Ve ne erano delle più grosse e di forma depressa ed anche tabulari, coi margini però rotondati. E tra l’una e l’altra forma vedevi infiniti passaggi.

Giunti a Vico, a circa 6 chilometri da Ischitella, la strada rotabile volta giù per Rodi dove finisce. Onde per continuare il viaggio per Peschici, secondo il nostro itinerario, è stato d’uopo provvederci di vettura a piedi e di guida, forniteci dalla gentilezza del lodato dottore.

Che senza cotali mezzi ci sarebbe stato difficilissi­mo seguire il cammino pel diritto sentiero. E via intrigata, che ora sale ed ora scende per poggi che incessantemente si seguono. Per essa via, per la prima volta incontrammo sul Monte Cruci, un bosco di Pini d’Aleppo, mantenuto per uso dell’estrazione della resina. La quale estratta, si porta a Peschici, dove si manipo­la per cavar la trementina; poi l’acqua di ragia così detto 1’olio essenziale di tre­mentina-, e finalmente la pece.

Lungo il sentiero su per quei poggi notavamo le colture dell’ulivo, interzate di tanto in tanto da carubi, i quali in quel terreno calcare ghiaioso e sassoso allignano in modo più che ordinario; giungendo alle maggiori dimensioni che questo albero può prendere. Il Carubo addimandasi per tutti i paesi garganici col nome di Pistaccia, o Pistazza.

Lungo la stessa via, quasi sempre straripevole, ci si offrivano di tanto in tanto gruppi e boschetti di Pino d’Aleppo, di Pistaccia Lentiscus, che era presso a fiori­re; e di Pyrus Pyraster in fiore da più giorni. Siegue giù il piano di Peschici, popolato di vigneti oliveti e terre seminatorie. E poi si viene incontro alla colli­na, che si protende nel mare, e sulla quale è situato il borgo di Peschici. Prima di giungervi osservavamo il Delphinium Staphysagria non ancora in fiore.

A Peschi­ci poche ore di dimora, non trovandovi albergo: e poi nello stesso dì, alle ore 1 p.m. partimmo per Viesti. Su per quei monti, i quali per la loro poca altezza si vorrebbero meglio addimandare colline, sta un sentiero, anzi che una strada, che mena a Viesti. Con l’aiuto di una buona guida6 e col mezzo del cavallo seguim­mo questa via, la quale pel botanico è molto proficua; perciocché si passa per entro uno esteso bosco composto di varie specie, e talvolta di soli Pini d’Aleppo che sono i primi ad incontrarsi per la via.

Un individuo di questo Pino nell’en­trare del bosco richiamavane l’attenzione; perciocché avea tutte le foglie prese da una malattia, che è l’Aecidium Pini del Person, o Peridermium oblongisporium dei moderni. Ne abbiam raccolti molti saggi. Ben vero che non ci veniva fatto d’incontrare detto fungo in altro individuo di Pino, fuor che in quello. Il Pyrus Malus si mostrava in fiore. E molti alberi spontanei di fico non per anco germo­gliati erano lungo la via, ed in siti più o meno inaccessibili. La Clematis Vitalba si mostrava giunta alle sue maggiori dimensioni; avendocene di taluni individui col tronco più che un decimetro di diametro.

[1] – Per nome Leonardo d’Amato da Peschici.

Il Fraxinus Ornus, non ancora in frondescenza, vi era raro, onde non se ne traeva profitto in quel tenimento, come altrove. Dopo il bosco or detto siegue una larga valle, o piano, che si addimanda Piano di Peschici, senza alcun ruscel­lo, secondo il solito, nè stillicidio alcuno. Sieguono due pianure l’una detto Piano grande, e l’altra Piano piccolo di Viesti ambedue coverte da uliveti. La potagione che si fa di questi alberi colà è periodica: cioè in ogni quattro anni.

Si pota generosamente e si fa uso di acconcie scale a piuoli in questa operazione. Era il mese di aprile e gli uliveti di Viesti si stavano potando, ed una buona metà della chioma degli alberi era abbattuta. Questa pratica ivi si differiva all’aprile, che è un po’ tardi, in grazia del frutto che ancor pendeva dall’albero. E lodevole il modo di acconciar l’albero a globo, potando i rami dicotomicamente. Il palco si porta a formare un piano in su, come ad un cono rovescio: donde si eleva poi la chioma, la quale, coll’accrescimento prende la forma globosa.

Ed eccoci a Viesti piccola città sul lido del mare, che per i suoi andirivieni ci ricordava quel di Miseno e Baja. Luogo amenissimo, ma infettato dalla mal’aria, cagionata da un vicino laghetto. Nel vedere questa piccola città di 6000 anime non si può non augurarle un felice avvenire.

La mattina del dì 9, che era giorno di Pasqua, facevamo un’escursione pe’ dintorni della città, che ci davano ad osservare la Cerinthe aspera in grande ab­bondanza ed in piena fioritura. Il suo aspetto è ben diverso da quello della Cerinthe gymnandra del Gasparrini; onde davamo ragione al lodato botanico della novità della sua specie. Il Lithospermum tinctorium del Decandolle, su pei poggi arenosi lussureggia, ed era allora in fioritura.

L’avevamo veduto già un’altra volta dopo Apricena, coll’Iris biflora. L’altra pianta ancor della famiglia delle boragginee, assai comune, è il Cynoglossum cheirifolium. Su pei siti sassosi trovavamo il Iuniperus phoenicea ed il Rhamnus pusilla, che fino allora credevamo esclusivo delle alte montagne. Ricordiamo pure che in quei dintorni sono delle rocce calcari, ricche di licheni litoidei; i nomi dei quali figurano nel nostro Catalogo.

Dopo la detta escursione partivamo da Viesti, alle ore nove a m., per Montesantangelo, facendo la via più diretta che è quella delle montagne di Viesti, lunga circa quarantasei chilometri. Spendemmo la giornata intera ed un’ora della notte per far la detta traversata, e trovarci a Montesantangelo, principal meta del nostro viaggio. Il giorno di festa, e propriamente la Pasqua, rendeva la campagna assolutamente deserta. Dopo l’escursione marittima presso Viesti continuavamo per la salita ad osservare alberi ed arbusti della zona marittima, come l’Oleastro dalle grosse dimensioni; e poi più in su il Ginepro {Juniperus Oxicedrus), alberetto di mezza costa: il Leccio; di raro qualche Corbezzolo ed Erica arborea; il Cytisus triflorus vi era già fiorito da più tempo.

Sormontata questa zona guadagnammo le maggiori alture, popolate di Cerri (Quercus Cerris), come attestavano le cupole dell’anno passato cadute per terra: non avendo ancora schiuse le sue gemme per riconoscerlo altrimenti. E tosto dopo trovavamo i Cerri coi Faggi, presso a germogliare ancor essi. Di piante fiorite nulla rinvenivasi, quando in un solo sito allietava il nostro cammino il Narcissus poeticus in piena fioritura, e largamente diffuso. Non pertanto non fu più altrove veduto. Ed eccoci ora a dire delle piscine.

Le piscine sono delle grandi conserve di acqua piovana raccogliticcia, costru­ite di pietre e calcina, di figura circolare del diametro di 20 metri circa e 10 profonde. Sono le sole fonti artificiali destinate a dissetare l’armento, e gli uomi­ni. Con un catino appeso ad un trave, od altaleno, si attinge dell’acqua più o men pura, secondo meno o più è avanzata la stagione.

Noi ci fermammo a quella detta la Fontana bianca. Il nome di fontana si rileva, dall’or detto di sopra, quanto poco le convenisse; perchè la era una grande vasca d’acqua piovana raccogliticcia e fangosa. Era come rustico edificio, in mezzo ad una artificiale radura del bosco. Attorno alla detta piazza faceano bella mostra di sè degli annosi Agrifogli di grosso diametro (di 30-40 centim.).

Dopo il riposo di qualche ora ripigliammo il viaggio, studiando il passo per giungere la sera a Montesantangelo. Guai a noi se vi ci avesse sorpresa la notte! La via straripevole è senza traccia: di tratto in tratto limitata solo dalle mura a secco che chiudono le difese; lasciando tra loro una zona circa di 100 metri larga, destinata al passaggio di animali e di uomini. Tali zone addimandansi fratturi-, ma il suolo è di nuda roccia e bucoso.

E per giunta le diramazioni del tratturo facilmente possono fare smarrire il viandante inesperto, od il naturalista, che si allontana dalla guida: ciò ch’era avvenuto ad uno di noi. Le piante che incomin­ciavano a fiorire erano le Corydalis bidbosa, il Lamium maculatum, la Stellaria Holostea e meglio che tutte le altre FEupborbia Baselicis, Ten.

Finalmente in Montesantangelo entravamo ad un’ora di notte. Una città popolata di circa 14000 abitanti, non avrebbe avuto ragione d’esistere su quella vetta, un dei più alti contrafforti garganici, se grandi avvenimenti storici non ve l’avessero giustificato. E Montesantangelo ha la sua storia, ed i suoi monumenti sacri, civili e guerreschi.

Là è la famosa Grotta di S. Michele, accomodata a tempio con una insigne collegiata di che vi officia. Gli uffìcii sacri si ripetono in questo speco grondante. La prima volta che in questo viaggio vedevamo delle gocce d’acqua stillanti da una rupe, essendo da pertutto, eccetto pochi siti, il Gargano asciutto. L’assoluta mancanza di alberi od arbusti, o fruttici che siano, nei dintorni della città, e per le sue strade, aggiungono disagio alla sua posizione tanto elevata quanto inospitale; perchè essa città, è sulla cima di un’erta e nuda montagna, all’altezza di metri 863 sul livello del mare.

La quale avrebbe potuto rendersi più confortevole con le piantagioni nei suoi dintorni. Un grande Olmo presso la grotta di San Michele, solo individuo arboreo che vi esista là attorno, testifica nel suo silenzio la negligenza degli abitanti, ed il torto che hanno a non piantarvi alberi utili; o da ornamento, o da ombra, i quali al certo vi allignerebbero. Noi parliamo nell’interesse, e non per maledire, di quella gente buonissima d’ani­ma come robusta e sana di corpo.

La mattina del lunedì visitavamo in prima in compagnia del Guardia Gene­rale signor Capaldi, la Torre, o Campanile, donde discuovresi un larghissimo orizzonte: la Piana cioè di Puglia dalla parte di Sud-Est, ed il litorale barese, i dintorni della città di Montesantangelo sono ricchi di piante erbacee spontanee; perchè il suolo è scoperto alla luce, come è di tutte le maggiori altezze garganiche: nude di alberi, e di natura rupestre calcarea, e di roccia tutta crepacciata che dà ricetto avariatissime specie.

Il Castello ancor esso ci offriva molto ad erborizzare: assai più di quello che credevamo, atteso alla stagione; e di licheni non pochi come si rileverà dal Catalogo. Fra le piante fanerogame la Campanula garganica, Ten., fu da noi veduta per la prima volta tra le commissure delle pietre del Campanile; poi in abbondanza presso il Castello, dal lato settentrionale.

Non era ancora in fiore. Onde ne portammo saggi per piantarli all’Orto Botanico, dove fioriva poi nel mese di Giugno. E lì stesso l‘Aubretia deltoidea, XArabis albida, che incominciavano a fiorire. Il giorno appresso martedì, prendevamo a visitare la campagna dalla parte orientale della città verso Matinata, per osservare i boschi naturali di Fraxinus Ornus, i quali non ancora erano in frondescenza. In questa gita fra botanica ed agronomica, notavamo, come quei boscaiuoli distinguono in modo pratico, del tutto a loro proprio, gl’individui di Orno produttivi di manna da quei che non ne producono punto, sebbene gli uni e gli altri appar­tengano alla stessa specie.

Concentrando sempreppiù i nostri lavori intorno alla città, ed acconciate alla meglio le collezioni, il dì appresso, mercoledì scendemmo a Manfredonia. Quella discesa rotabile e comoda, quanto lunga e tortuosa, di circa 21 chilometri, è molto proficua pel botanico, e pel geologo; poiché nel taglio della strada vi si scuovre la stratificazione della roccia, che segna una formazione propria del Gargano affatto diversa da quella della sottoposta piana di Puglia, e dall’Appennino.

Fra le piante fanerogame quello che più c’interessava era la forma pelosa della Campanula garganica, Ten., che qui è comune, mentre rarissimamente si rinviene sulla vetta di Montesantangelo. Questa specie è stata scoverta dal Teno­re la prima volta sulle cime del Monte Sacro, e di Montesantangelo; nè mai dallo stesso veduta in luoghi più bassi.

Questa specie di Campanula, con la sua detta forma pelosa, rappresenta colà al Gargano, la Campanula fragilis con la sua varietà pilosa delle rocce calcari di Castellamare, pianta che non abbiamo incontrata in tutto questo viaggio. Un altro simile riscontro offre essa alla Campanula Cavolini d’Abruzzo, che è una forma di Campanula fragilis. Terminata la discesa s’incontra la sottoposta pianu­ra di Manfredonia, la quale si distende sul golfo dello stesso nome. Quella parte

di essa pianura che è un intervallo di circa sei chilometri tra la città e il Gargano, è di suolo profondo, coltivata a cereali e ad albereti. Siegue poi la città di Man­fredonia, dalle larghe contrade e dai vasti magazzini. Offre viveri a buon merca­to. L’abbondanza che incontrammo di Calamai e di Seppie ci ricordava la etimo­logia della antica Siponto , che stava lì presso dove oggi si trova il tempietto di S. Maria di Siponto. Non potevamo noi dilungarci dalla città ad erborizzare, per la brevità della dimora. Dalle ore dieci a.m. all’una p.m. ci limitavamo a visitare l interno di essa, e la sua rada, che fa l’uffizio di porto. Le sue mura erano coverte di piante, tra le quali primeggiava il Sisymbrium Irio in fiore ed in frutto.

Si partiva all’ora 1 p.m. per Foggia. La campagna di Manfredonia, nell’uscir­ne da questo lato, ci offriva da ogni intorno la trista scena di una vasta pianura incolta e deserta, priva affatto di piante legnose.

In tutto il resto, per più di 38 chilometri, non trovi che campagna incolta, non mai solcata da strumenti rusticali, rimasta nel primiero periodo pascolivo naturale. La poca profondità di quel terreno fa mostrar scoverto alla vista il sottosuolo, il quale è una roccia di tufo calcare incapace alla coltura, perchè duro. Questo si taglia e si estrae da cave, dette tufare, e adoperasi per costruzioni.

Ora questa roccia tufacea, ripetiamo, è coverta da leggero strato di terreno, o scoverta del tutto. Ed ecco la ragione, onde nessuna pianta legnosa vi figura su per tutta quella landa vastissima che si percorre da Manfredonia a Foggia. Nien­tedimeno la pianura è ondolulata: e quindi comprende le bassure da suolo pro­fondo, alternanti con i detti poggi da suolo superficiale. La campagna nei mesi invernali a tutto maggio, è coverta di vegetabili, più o meno acconci al pascolo, che sono delle più fine ed umili graminacee: e tra queste primeggia la Poa bulbosa.

La Poa bulbosa che stava per fiorire al principio di Aprile, si piace di covrire i campi più aridi e sassosi, anche colà dove non è più di uno o due centimetri di terreno agrario sulla roccia: come avviene sulle lave del nostro Vesuvio da qual­che secolo corse. Questa umilissima e perenne graminacea in quelle estese pia­nure, ci assicurava il nostro amico Gussone, tappezza tutta la parte della Piana di Puglia, destinata a pascolo.

Onde queirillustre uomo era fautore della conserva­zione del sitema pascolivo naturale, ab antico usato nel Tavoliere. Non è questo il luogo di entrare in quistioni economiche sul sistema da scegliere per quelle lande che formano il detto Tavoliere: se cioè, il cereale, il prativo, il pascolivo o il misto. Che che ne sia, non potremmo mai assentire, per le ragioni dette di sopra, alla assoluta esclusione di ogni coltura di piante legnose le quali potrebbero at­tecchire nelle bassure, dove il suolo è più profondo, e nelle artificiali colmate che si potrebbero fare, adottando le mura a secco, costruite col sottostante tufo.

7 – Detta dai Greci Sepius, dalle seppie che vi porta il mare. V. Strabonis, Rerum geographicar. Lib. VI, p. 435. Amstelaedami 1707. Onde Siponto significherebbe mar delle seppie.

Ma il grave danno prodotto dal pascolo naturale non si arresta qui. Egli è più a lamentare gli estesi campi coperti di Asfodelo (Asphodelus ramosus, detto volgar­mente Avuzzo, il quale non lascia venire in sua consociazione altra pianta. Nè essa stessa, inutile erbaccia delle gigliacee8, è buona per pastura. Ancora le me­diocri pascione sono invase talvolta dalla Ferula communis, altra erbaccia disa­datta a pascere il bestiame, buona solo per leggerissimo combustibile, e per qual­che piccolo arnese domestico.

Ai primi d’aprile questa era germogliata, ma non ancora sviluppata. Le sue ceppaie lasciavano in detta epoca sbucciare i funghi detti funghi Cifergola, che sono una forma d Agaricus Eryngii (volg. Cardarello).

Queste piantacce, e queste pianure incolte, ci ricordavano degli alti-piani di S. Nicandro, coverti del Paliurus australis (volg. Vucàco), di che cennammo di sopra quando ci trovavamo a dire di quelle contrade. Onde dicevamo fra noi: Questa estesa provincia sarà prospera quando dalla sua terra non nascerà più nè il Vucàco (Paliurus australis), nè XAvuzzo (Asphodelus ramosus), nè la Fergola (Ferula communis).

Questo avvenire per quella provincia non sarà lontano. E sarà quanto prima imitato l’esempio, che l’illustre citato Gussone offriva nel vicino bosco artificiale di Tressanti fin dal 1837: quando in quella tenuta della ex casa regnan­te ei, il Gussone, piantava il bosco dal detto nome di Tressanti. Da alta parte gli alberi da ombra oggi si van ponendo lungo la strada ferrata, che percorre la Puglia nella sua lunghezza.

Ancora ella è ben naturai cosa, che le pascione di suolo profondo si converta­no in campi cereali e prativi ed in alto pascolo: ed il suolo più superficiale si abbandoni al basso pascolo.

Per tal modo il Tavoliere di Puglia sarà il granaio dell’Italia meridionale. Così fantasticando e seco noi ragionando, varcato il Candelaro, giungemmo a Foggia alle 3 p.m. Donde la notte all’1 a.m., dopo esserci congedati dallo amico signor Avellino, ripartimmo per Napoli, col desiderio di ritornarvi altra volta, e col proponimento di visitare un sol luogo del gruppo garganico, sia esso monte, o valle, o lago, o piano: e farvici dimora, e ricerche intorno. Tanto importante per la storia naturale ci è paruto quella regione.

Ritornando a Foggia, donde eravamo partiti sei giorni prima, per una via opposta, cioè, per S. Severo, percorrevamo una curva rientrante di circa 224 chilometri. Vedemmo per essa di grosse borgate, e città molto discoste fra loro: non mai piccoli villaggi, o bicocche, o casolari per via; nè fabbricati, eccetto le così dette poste nella pianura, pur troppo distanti fra loro. Campi estesi, nella massima parte saldi. L’armento piccolo lanuto, e qualche mandriano, erano gli esseri animati che popolavano la pianura.

[1] – Si potrebbe adoperare per la fecola, da estrarre dalle radici, e per la fabbrecazione dell’alcool.

Le città e borgate da noi vedute, e già sopra cennate durante questo viaggio, si succedono così, lasciando il gran tratto percorso in ferrovia da Napoli a Foggia:

  Da Foggia a S. SeveroChilometri28,01
» S. Severo ad Apricena»11,01
» Apricena a S. Meandro»10,00
» S. Nicandro a Cagnano»15,18
» Cagnano a Carpino»6,05
» Carpino a Ischitella»8,04
» Ischitella a Vico»5,06
» Vico a Peschici (due ore di vettura a piedi)»13,00
» Peschici a Viesti (quattro ore di vettura a piedi)»20,00
» Viesti a Montesantangelo per via bianca»46,00
» Montesantangelo a Manfredonia»26,09
» Manfredonia a Foggia»38,00

226,44