A Capojale lo sfogo degli operatori dal secondo impianto di miticoltura d’Europa con oltre 50 imbarcazioni e un centinaio di unità lavorative.
C’era una volta la cozza di Cagnano Varano, o meglio di Capojale, la frazione marina del paese garganico. Oggi a causa di cambiamenti climatici, ma anche di altri fattori come l’inquinamento, non c’è più. “Si è estinta”, dicono gli oltre 60 miticoltori di Capojale impegnati in quello che è il secondo impianto di miticoltura d’Europa con oltre 50 imbarcazioni e un centinaio di unità lavorative. “E nessuno fa niente, ci hanno abbandonato a noi stessi, eppure questa era la principale fonte economica di Cagnano, e anche l’orgoglio di questo territorio conosciuto in tutta Italia come il paese della cozza di Cagnano”.
A bordo del motopeschereccio Chimera con alcuni pescatori abbiamo fatto il punto della situazione. “Tra temperature tropicali e mucillagine le cozze sono tutte morte, basti pensare che tra luglio e agosto la temperatura del mare si attestava anche sui 32 gradi. Mai accaduta una cosa del genere. Nel nostro mare non c’è più una cozza e nemmeno un seme vivo, tutto sterminato. Nelle reste solo cozze morte, putrefatte, fango e alghe.
Le ultime cozze – ci racconta Michele – le ho vendute il 13 agosto, ma il cliente mi ha contestato il prodotto perché arrivato a destinazione in condizioni pietose. Ho dovuto restituire i soldi all’acquirente. Da quel giorno non ho più venduto una cozza”. “I danni sono incalcolabili – aggiunge Leonardo Pio -, i costi dell’imbarcazione, gli operai da pagare e come se non bastasse anche le spese per lo smaltimento delle reste, che vanno pulite prima di essere portate al centro raccolta rifiuti”.
saverio serlenga