Ricostruito l’agguato. Avvenne il 27 luglio 2017 all’interno di un ristorante nell’ambito della guerra tra i clan Raduano e i rivali del gruppo Perna/Iannoli. Al processo di Corte d’Assise di scena in videoconferenza il pentito Antonio Quitadamo di Mattinata, più conosciuto come “Baffino”.
A dire del pentito Antonio Quitadamo reo confesso dell’omicidio, fu il boss di Vieste Marco Raduano (pentitosi a marzo, ha confessato) a ordinare di ammazzare Omar Trotta all’interno del suo ristorante; Gianluigi Troiano (neo pentito, ha confessato) ebbe il compito di accertarsi che la vittima fosse nel locale e avvisare i 2 killer telefonicamente; a sparare fu un tale Angelo sanseverese, con la pistola calibro 380 di proprietà dello stesso Quitadamo che gliel’aveva ceduta.
Quitadamo, 48 anni, allevatore di Mattinata soprannominato “Baffino”, pentitosi nel maggio 2022, è stato interrogato in videoconferenza da una località segreta nel processo in corte d’assise a Foggia a Gianluigi Troiano, 31 anni viestano, pentitosi nei giorni scorsi; e Angelo Bonsanto, 35 anni, sanseverese, detenuto per altre vicende. I due imputati (Troiano ora è assistito dall’avv. Signorile; Bonsanto dall’avv. Luigi Marinelli) rispondono di concorso nell’omicidio aggravato dalla mafìosità di Omar Trotta, assassinato a colpi di pistola sotto gli occhi di moglie e figlioletta nel suo ristorante di Vieste il 27 luglio 2017 nell’ambito della guerra tra il clan Raduano e i rivali del gruppo Perna/Iannoli che dal gennaio 2015 all’estate 2022 ha contato 19 fatti di sangue con 10 morti, 1 lupara bianca e una serie di agguati falliti. Secondo l’accusa Bonsanto è il sicario che sparò a Trotta, Troiano colui che informò i killer che la vittima era nel ristorante.
Per l’omicidio Trotta sono già stati condannati in primo grado nell’ottobre 2023 dal gup di Bari nel processo abbreviato Raduano quale mandante che voleva vendicare l’omicidio del cognato Giampiero Vescera ucciso a Vieste nel settembre 2016; lo stesso Antonio Quitadamo, cui sono stati inflitti 12 anni e 4 mesi anche per mafia e altri reati; e l’altro pentito viestano Danilo Pietro Della Malva a 11 anni, a sua volta colpevole anche di mafia e altri reati.
Il pm della Dda Dda Ettore Cardinali e i difensori di Troiano e Bonsanto si sono accordati per acquisire i verbali d’interrogatorio di Antonio Quitadamo, per cui non c’è stato bisogno di sentirlo. Nelle sue dichiarazioni il mattinatese ha riferito d’aver fatto parte per anni del clan manfredoniano Romito, attualmente denominato Lombardi/Ricucci/La Torre, dal 2007.
Alleato del gruppo Romito in guerra con i Li Bergolis, era il clan di Marco Raduano che dopo l’omicidio del cognato chiese aiuto a Pasquale Ricucci di Macchia, detto “Ficsecc”, al vertice del clan, ammazzato l’il novembre 2019 nella guerra con i Li Bergolis da killer ancora ignoti Raduano ogni mese versava 10mila euro al gruppo Romito – ha detto il pentito Quitadamo – di cui 5mila destinati ai mattinatesi “per stare a disposizione”; e 5mila ai manfredoniani-macchiaioli.
Stando al racconto di Quitadamo, fu nell’ambito di questa alleanza che il giorno prima dell’omicidio di Trotta, il mattinatese Francesco Scirpoli (ritenuto elemento di spicco del clan, estraneo all’omicidio) disse a Quitadamo in quel periodo latitante, di recarsi a Vieste “che devono fare un lavoro”. Quitadamo obbedì e in una campagna a Vieste incontrò i due killer incaricati dell’agguato: mi tale “Angelo sanseverese con una macchia sul braccio”; e un foggiano che gli disse d’essere parente di un boss della “Società foggiana”.
Raduano gli presentò Troiano che – ha detto il collaboratore di Giustizia – ebbe l’incarico di recarsi nel ristorante di Trotta poco prima dell’omicidio con la scusa di ritirare il pranzo da portare a casa per accertarsi della sua presenza e quindi informare i sicari che l’obiettivo era nel locale; il neo pentito Troiano ha confessato il coinvolgimento nell’agguato. Raduano – ha aggiunto Quitadamo – mostrò ai sicari la foto di Trotta; “Angelo la ritagliò, se la guardò bene e poi mi disse di buttarla: io la bruciai”.
Fu sempre Raduano, ha proseguito Quitadamo, a consegnare due pistole da usare per l’agguato: una calibro 22 e una calibro 9, ma Angelo rifiutò la calibro 22 e disse: “che devo fare con questa, mi devi dare una 38 o una 357”, al che Quitadamo gli consegnò suo malgrado la propria pistola, una calibro 38 special, “quella usata per l’omicidio di Trotta”.
Il giorno del delitto, ha riferito Quitadamo, i due sicari raggiunsero il ristorante su uno scooterone; ricevettero la telefonata di Troiano che confermava la presenza dell’obiettivo; entrarono nel locale; Angelo sparò a Trotta e il foggiano ferì Tommaso Tomaiuolo che era al tavolo con la vittima. “Omar aveva la bambina in braccio, appena vide i killer passò la piccola alla moglie: me lo disse poi Angelo” il racconto di Quitadamo. I due assassini fuggirono con il motociclo; Quitadamo ne attese il ritorno e in auto li accompagnò fuori Vieste dopo poi i sicari si divisero.
“Raduano poi andò in un capannone dove c’era la droga di Trotta e se la prese: c’erano 2 quintali di marijuana. A me disse: ‘str.. hai perso 150mila euro’ perché mi aveva invitato a andare con lui ma io avevo rifiutato”. Prossima udienza il 10 gennaio per l’interrogatorio del pentito Raduano.
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