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«SE TI VUOI SALVARE MI DEVI VENDERE OMAR TROTTA». IL PENTITO TROIANO SVELA NEL MEMORIALE L’INTIMIDAZIONE DEL BOSS MARCO RADUANO DIETRO L’OMICIDIO DI VIESTE

Catturato a Granada, in Spagna, ha consegnato un memoriale ai pm della Direzione distrettuale antimafia di Bari.

E’ stato l’ultimo arresto per mafia e rapina del 15 ottobre nel blitz “Mari e monti” contro il clan Li Bergolis e 39 arresti ad aver spinto Gianluigi Troiano, viestano di 31 anni, a rimanere… fedele al suo ex boss Marco Ra­duano, seguendolo anche sulla strada del pen­timento. Troiano con una condanna a 9 anni per traffico di droga di cui solo 3 anni scontati, e di fronte alla prospettiva tutt’altro che re­mota di un ergastolo o comunque di una con­danna pesantissima per concorso nell’omici­dio di Omar Trotta per il quale è sotto processo in corte d’assise a Foggia, ha deciso di collaborare con la Giustizia.

E ’il pen­tito numero 12 della ma­fia garganica dal 2017; il quinto del 2014; il settimo a Vieste dove tra il 2015 e il 2019 si sono registrati ben 19 fatti di sangue con 11 omicidi, 1 lupara bian­ca e vari agguati falliti.

Troiano – catturato lo scorso 30 gennaio in Spa­gna vicino Granada do­po 2 armi e 1 mese di latitanza, estradato recentemente in Italia – ha scritto un memoriale. Tre pagine del manoscritto le ha depositate l’altra mattina il pm della Dda Ettore Cardinali in corte d’assise a Foggia, dove Troiano e Angelo Bonsanto sono sotto processo per l’omicidio di Omar Trotta, assassinato nel suo ristorante di Vieste sotto gli occhi di moglie e figlioletta il 27 luglio 2017 nella guerra tra il clan Raduano e i rivali Perna/Iannoli.

Troiano ha confessato d’essere entrato nel ristorante dell’amico Trotta per verificare che fosse presente e d’aver infor­mato con un sms Bonsanto, ritenuto uno dei due killer: il giovane sanseverese difeso dall’avv. Luigi Marinelli si dice innocente.

Così il racconto del neo pentito: “Nel luglio 2017 ero ancora vicino al clan Miucci/Perna” (Enzino Miucci è il reggente del clan Li Ber­golis di Monte Sant’Angelo alleato su Vieste con Girolamo Perna ucciso nel 2019) “ma ri­ferivo tutti gli spostamenti e pianificazioni del gruppo al clan Romito/Raduano.

Mi avevano chiesto di andare nel ristorante di Trotta, ve­rificare la sua presenza e mandare un sms. Nei giorni precedenti Raduano mi chiamò e mi disse che il clan Romito non voleva più aspet­tare, quindi aveva deciso di uccidere Trotta. Mi disse che sarebbero venute due persone da fuori Vieste per l’omicidio; Raduano sapeva già tutti i movimenti di Trotta perché suo nipo­te Liberantonio Azzarone” (pentitosi a marzo scorso) “aveva lavorato come cameriere”.

La mattina del 27 lu­glio 2017, giorno del de­litto, Raduano “mi disse che dovevamo vederci: ci incontrammo e mi fe­ce parlare con Angelo Bonsanto, e mi fece ri­petere dove si sedeva Trotta. C’era anche un’altra persona, parlò poco e con accento fog­giano”: si tratta del secondo killer al momento ancora sconosciuto.

“Tornai in paese, andai al ristorante di Trotta che era con Tommaso Tomaiuolo: a ora di pranzo mi chiesero se rimanevo lì a mangiare come facevo quasi tutti i giorni, risposi no. Ordinai cibo da aspor­to, li salutai, me ne andai a casa che è a 500 metri e inviai un messaggio a Bonsanto per informarlo della presenza di Trotta; spezzai la scheda e spensi il telefonino.

Dopo 20/25 mi­nuti sentii da casa gli spari; e dalle mie te­lecamere vidi persone correre e urlare. Aspet­tai qualche minuto e andai al ristorante: vidi Omar a terra, dava ancora qualche respiro. Poi mi iniziò a inviare sms Girolamo Perna dicendomi di incontrarci e andare a San Gio­vanni Rotondo a vedere le condizioni di Tom­maso”, Tomaiuolo rimasto ferito nell’agguato.

“Con Perna andammo in ospedale a San Gio­vanni ma c’erano i carabinieri e non entram­mo: un cugino di Tomaiuolo ci informò che era fuori pericolo”.

Con queste dichiarazioni Tomaiuolo ha confessato non solo il coinvolgimento nell’omicidio Trotta, ma anche quanto gli con­testa la Dda in “Mari e monti”: cioè di aver fatto parte inizialmente del clan Miucci sino a luglio 2017 quando passò con i rivali del gruppo Raduano, alleato dei manfredoniani Romito. “Gianluigi Troiano alias ‘il nano’, ‘il piccolino’ o ‘il minorenne’ ha fatto parte del clan Li Bergolis sino alla data dell’omicidio Trotta” scrive il gip di Bari nell’ordinanza Mari e monti “quando palesò il transito nel clan con­trapposto Romito/Ricucci/Lombardi, seguen­do le orme del suo referente Marco Raduano. Quando faceva parte della cellula viestana del clan Li Bergolis, Troiano era addetto al settore delle estorsioni e del traffico di droga”.

Del ruolo di Troiano nel clan Li Bergolis hanno parlato i pentiti viestani Danilo Della Malva, Orazio Coda entrambi del clan Ra­duano; e i fratelli Antonio e Andrea Quitadamo del clan Romito. Andrea Quitadamo: “Troiano prima faceva parte del grappo Miucci/Li Bergolis poi passò al gruppo nostro: noi molte cose le abbiamo sapute da Troiano che ha svelato molte dinamiche.

Era ancora nel clan Miucci però faceva la talpa e dava le soffiate a Raduano”. Antonio Quitadamo: “Non lo conoscevo Troiano, me lo presentò Raduano e disse: ‘non ti preoccupare, sta con me’”. Orazio Coda: “Raduano uscito dal car­cere cominciò a fare dispetti a Troiano; poi andò dal padre e gli disse: ‘fai parlare tuo figlio con me, ti do la mia parola che non gli faccio niente ma io voglio sapere punto puntò tutto quello che era successo alle sue spalle quando stava in carcere. Gianluigi Troiano si fidò, si incontrò con Raduano e iniziò a parlare.

Ra­duano gli disse: ‘ti vuoi salvare? Perché se no pure tu stai nella lista nera. Mi devi vendere Omar’. E così è successo. Troiano quando pas­sò con Raduano aveva il terrore di Miucci”.

gazzettacapitanata