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NEL GARGANO DEI GRANDI VIAGGIATORI (8)

Nel segno del turismo intellettuale. Il novecento alla scoperta dell’ambiente

Sulle ceneri della stagione del Grand Tour, il dilatarsi dell’immaginario persona­le, che con la diffusione della cultura diventa immaginario collettivo, accompagna la trasformazione del viaggiatore romantico nel turista contemporaneo.

Affascinati dalla natura, talvolta stretti in un rapporto conflittuale con essa, come per il romanziere e drammaturgo inglese Graham Greene in visita nel 1949, “per curiosità”, a Padre Pio a San Giovanni Rotondo, intellettuali e ricercatori scoprono nella regione garganica un campo di vasta ricognizione paesaggistica e, per certe intuizioni, ambientale.

“Una vera isola biologica” è definita dal naturalista Alessandro Trotter della Scuola di Agraria di Portici, il quale, sulla base del resoconto dell’escursione del Pasquale e del Licopoli nonché delle profonde analogie con la flora balcanica, confer­ma al Promontorio un ruolo di centralità adriatica.

Alpari dell’intrecciarsi di civiltà e di dialettiche culturali tra le due sponde, è una larga raccolta di specie e di associazioni, /Asphodeline liburnica o la Genista dalmatica come la Campanula garganica, “a dimostrare come il Gargano sia assai ricco di elementi balcanici, immigativi secondo ogni probabilità a mezzo di terre interposte ed attualmente scomparse”’. In quegli anni di ancor rigoglioso commercio agrumario interadriatico, il botanico geogafo, sia Rigo e Porta che Martelli e Béguinot, percorre in prevalenza il versante nord-orientale, mettendone in evidenza le caratte­ristiche geomorfologiche e climatiche propizie alla coltivazione degli agumi e alla vita di un’oasi che, tra Rodi, Vico e Ischitella, aveva affascinato il Beltramelli come il Trotter.

Lungo le cicatrici bianche aperte tra le selve, sui tornanti dell’Ingarano, al trivio di Romondato o scavate nei calcari dei terrazzi digadanti dalla pineta Marzini nella piana di Catenella, pochi escursionisti si pongono prima e durante la gande

1 – A. Trotter, A traverso il Gargano. Notizie ed osservazioni botaniche, in “Bullettino dell’Orto Botanico della R. Università di Napoli”, Napoli, 1911, t. Ili, p. 249.

guerra. I contrasti fascinosi della Montagna, nella scoperta dallo rciarabbà ma anche sulle prime carrozze senza cavalli, colpiscono attraverso i costumi e le usanze caratte­ristiche più che per le grazie dell’arte.

Allo Sperone d’Italia si continua comunque a salire per studiare la flora ed “erborizzare”, come fa Adriano Fiori, due volte, fino al 1915. La frequenza dell’ap­proccio e degli sguardi si fa, nel medesimo tempo, occasione di resoconti seriali, illu­minati tuttavia da sempre più acuta sensibilità.

In quell’anno, il raffinato scrittore inglese Norman Douglas riporta in Old Cala­bria le esperienze di viaggio, disincantate e a tratti ironiche, vissute tra la gente di Manfredonia e Monte Sant’Angelo, protesa nel miraggio dell’emigrazione, e i monu­menti in rovina di Siponto, sullo sfondo di una pianura abbandonata. Quasi un antesignano del turismo intellettuale, che prenderà corpo solo alcuni decenni dopo.

E Monte Sant’Angelo rappresenterà la tappa di elezione anche per un intenso itinerario di Corrado Alvaro e per le esclusive, imprevedibili epifanie che vi raccoglie il drammaturgo statunitense Arthur Miller.

“Una montagna è vita, è movimento. Al di sopra di questo Tavoliere, di questa tavola liscia, il Gargano assume un portamento di essere vivente. Esso si muove, freme”, aveva annotato AndréMaurel in Petites villes d’Italie, pubblicato da Hachette a Parigi nel 1910. E a questi sembra rispondere Nicola Serena di Lapigio in una Lettera al Gargano sul giornale “La Tribuna” del marzo 1913: “Tutte le vie del Gargano, tutti i paesi pei quali fra pochissimi anni passerà la ferrovia, noi percor­remmo in un rapido giro, sferzati sui volti dal vento della corsa e più dalla impetuosa tramontana che soffiava rigidissima financo dove l’aria suol essere tiepida sempre e dove più caldi si avvivano alla vista gli smalti dei giardini d’agrumi. Nell’aria cristallina ogni colore era più limpido, ogni rilievo era più deciso, ogni cosa lontana era svelata”.

Vagheggiare un paese e porlo al centro delle proprie speranze e inquietudini è prima immagine interiore, poi ragione di un viaggio di sorprese per la scrittrice statunitense Caterina Hooker. Ln Through thè Heel of Italy (Attraverso il Tallone d’Italia), pubblicato a New York nel 1927, con la decisione dell’incisore la Hooker descrive il suo viaggio in automobile.

Dopo essersi raccomandata, assieme agli accompagnatori, a San Giuliano patro­no dei viaggiatori, incontra il Gargano “di cui le pendici meridionali sono più o meno conosciute dai viaggiatori, ma le settentrionali non lo sono affatto. In queste – rileva la Hooker nel testo tradotto da Livia Vocino per i Quaderni de II Gargano- non ci sono tesori d’arte, non chiesefamose, non ferrovie, né ve ne accenno nelle guide turistiche. Era dunque la mia una sfida alla curiosità ”.

L’incantamento, tra poesia e scrittura giornalistica, continua a rappresentare la cifra connotativa del Promontorio. Sia il rondista Antonio Baldini con l’elzeviro Indicazione del Gargano a uno straniero dubitoso, ma ancor più G.B. Angioletti

on l’articolo Luoghi per solitari, apparso su “La Stampa” nel 1950, scrutano le linee più segrete del paesaggio e danno linfa a sguardi sempre meno catturati dall’oleografico.

Nell’alveo della scoperta giornalistica della Montagna, a partire dal 1925, si colloca l’osservazione dell’Angioletti che “la bellezza del Gargano e proprio data dal­la sua verginità, dalla sua selvatichezza, da quel senso di terra primigenia, genuina, che si svela ad ogni passo”.

A questa si richiama l’intenso reportage della scrittrice umbra Maria Luisa Fiu­mi, apparso su “L’Epoca” del 10 giugno 1925. “Bosco di querce: odore selvaggio di frescura; -scrive nell’articolo Alla scoperta della Puglia. Il Gargano dalle profuma­te foreste- ed ecco Vico solitaria con la bruna bellezza delle sue donne inquadrata dalle finestrelle dove la curiosità le raggruppa! E Peschici che, chiusa in un blocco solo, vive dentro il cuore del sasso come la pecchia nell’alveare. E Vieste, la dimenticata, che sta coll’innocenza delle sue case bianca e raccolta come se fra le spiaggegarganiche fosse la vestale prescelta a vegliare il sogno religioso del monte su l’orizzonte del mare”.

Ma, con maggiore efficacia, quel movimento intellettuale prepara il passaggio da una condizione dimessa di natura straordinaria, solo osservata, fruita, descritta, ad una diversa comprensione del rapporto naturacidtura. Nella monografia di Sonzogno “Le Cento Città d’Italia”, nel fascicolo n. 156 II Gargano del5febbraio 1927 Giuseppe Rasi così concludeva: “Il ritmo pulsante del progresso, poche caratteristiche potrà togliere al misterioso fascino di questi luoghi, che nella loro pacata solitudine, pare non debbano essere che perpetuamente destinati alla preghiera, al misticismo e alla serenità delle dolcezze francescane”.

All’escursione “di scoperta”, che non riserva ormai l’affanno cognitivo dei viaggi del tempo andato, rinviano le acute impressioni di un flusso costante di menti e sensibilità itineranti, incuriosite più che interessate.

Di quella stagione, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, sono le folgorazioni che una Montagna ancora arcaica ha prodotto negli incontri con il Cesare Brandi di Pellegrino di Puglia, con la scrittrice Anna Maria Ortese e con Roberto Roversi, poeta e fondatore con Pasolini della rivista letteraria Officina. “Il Gargano -scrive la Ortese nel libro La lente scura. Racconti di viaggio, pubblicato nel 1991- mi ha offerto un tale numero di sorprese, in due giorni, che ancora adesso ne serbo l’imma­gine di un paese stregato. Qui, la bellezza celeste delle cose, ha isolato e perduto gli uomini. In alcuni momenti, sembra non vi sia altro che beatitudine, subito dopo avvertite la presenza di un nero sconforto”.

In Gargano sessantuno paiono armonizzare quasi un contrappunto, i ricordi di Roberto Roversi: “Il Gargano mi piace.E’ così silenzioso o, meglio, è così solitario. Non una terra abbandonata ma una terra ancora da scoprire”.

L’incontro con Pasquale Soccio gli offre una sorta di capacità potenziata di ascol­tare il silenzio e di portarne con sé, duratura, l’eco: “… era tanto il silenzio che si

aspettava qualcosa. Si muoveva perfino sulle nostre braccia, sul collo come un fiato trasparente delle cose. Era qualcosa di inesplicabile che questa terra conservava e dunque difendeva a segno della propria sovranità, della propria cultura; e della propria storia”.

Lasciando poi il Gargano sulfar della sera, arricchito da due forme di pane che porta con sé, scioglie la sua riflessione: “Devo questo spaccato di meraviglia al prof. Soccio, uomo di studio che non dimenticherò ”.

Anche altri grandi della letteratura e prestigiosi giornalisti viaggiano nel Mezzo­giorno e visitano il promontorio garganico: Riccardo Bocchelli, per due volte, e Giu­seppe Ungaretti, che conoscono un giovanissimo Soccio, e ancora Guido Piovene che è richiamato dalla fama di santità” di Padre Pio, un uomo che abita “un conventino sperduto tra i greppi sassosi, sopra una povera borgata di montanari del Gargano”. E mentre si avvia l’età di un chiassoso turismo di massa, sintonie vibratili vengono raccolte nei vagabondaggi giornalistici, come quella di Virgilio Lilli con don Matteo, il farmacista archeologo di Mattinata (^Corriere della Sera del 17 luglio 1959).

Nella scrittura che attraversa tutto il Novecento come una ri-creazione, come uno sfogo dell’immaginario, e nell’infittirsi delle citazioni che potrebbero continuare non è tuttavia da privilegiare il riconoscimento della qualità, testimoniale e metodologi­ca, di tanti viaggiatori «cd/Apulia pernix. Né i loro scritti sono evocati come corteg­giamento per promuovere quello che oggi é chiamato “turisdotto”, cioè percorso forza­to di un’industria che convoglia un rigoglioso flusso di turisti culturali. Non proprio quella, però, che auspicava Michele Vocino.

Il loro cammino, con l’eco delle loro voci, dei commenti, degli stupori a folate, ci piace pensarlo come un ideale incompiuto nelle trame volubili della vita. Un ideai di memoria immaginativa e selettiva che possa, almeno in parte, compensare tanti spaesamento dei giorni nostri.