Il comitato permanente della convenzione di Berna ha votato a favore della richiesta dell’Unione europea di abbassare il livello di protezione per i lupi.
Bisogna salvare pecore e capre sbranate, mucche sgozzate e asinelli uccisi dal Gargano al Salento dove la presenza del lupo si è moltiplicata negli ultimi anni con il ripetersi di stragi negli allevamenti, con picchi di densità di 6 lupi per 100km2 nelle province di Bari, Taranto e BAT, ma anche a Foggia si contano 5,3 lupi per 100Km2, con il fenomeno che sta crescendo in provincia di Lecce. E’ quanto afferma la Coldiretti Puglia, sulla base delle stime ISPRA sulla densità media di lupi nelle aree soggette a campionamento genetico non invasivo, in occasione del pronunciamento del comitato permanente della convenzione di Berna per la conservazione della flora e della fauna selvatiche e dei loro habitat naturali, organo del Consiglio d’Europa, che ha votato a favore della richiesta dell’Unione europea di abbassare il livello di protezione per i lupi. L’indirizzo va incontro alle crescenti richieste da parte degli enti locali di maggiore flessibilità per gestire più attivamente le concentrazioni critiche di lupi.
Secondo una stima dell’Ispra la popolazione dei lupi in Italia – ricorda Coldiretti – è aumentata attestandosi intorno ai 3.300 esemplari, 950 nelle regioni alpine e quasi 2.400 lungo il resto della penisola. Dati secondo i quali il lupo non è più a rischio estinzione – sottolinea la Coldiretti – mentre aumenta il pericolo della scomparsa della presenza dell’uomo delle montagne e delle aree interne, con effetti devastanti sull’economia e sull’occupazione di questi territori, ma anche sull’assetto idrogeologico. Senza la costante opera di manutenzione assicurata dalle aziende agricole – conclude Coldiretti – cresce il degrado ambientale che porta con sé frane e alluvioni, rese ancora più devastanti dagli effetti dei cambiamenti climatici.
Dopo gli attacchi dei lupi, agli animali a volte feriti o uccisi si aggiungono – precisa la Coldiretti Puglia – i danni indotti dallo spavento e dallo stato di stress provocato dagli assalti, con ridotta produzione di latte e aborti negli animali sopravvissuti. Sono essenziali misure di contenimento per non lasciar morire i pascoli e costringere alla fuga migliaia di famiglie che da generazioni popolano le aree rurali più difficili dove l’allevamento è l’attività principale, ma anche i tanti giovani che faticosamente sono tornati per ripristinare la biodiversità perduta con il recupero delle storiche razze pugliesi, come la pecora ‘Gentile’ di Altamura o la ‘Moscia’ leccese. Il problema dei grandi carnivori sta diventando insostenibile ed è necessario trovare una soluzione in tempi rapidi.
Negli ultimi anni si è reso necessario un continuo vigilare su greggi e mandrie, al fine di proteggerle dagli attacchi poiché recinzioni e cani da pastori spesso non sono sufficienti per scongiurare il pericolo. La resistenza degli agricoltori è al limite – spiega la Coldiretti regionale – è urgente trovare nuove modalità di azione che permettano di organizzare in maniera più efficace un sistema di gestione di questi animali predatori, che non sono più specie in via di estinzione.
Del resto, questa situazione si somma – aggiunge Coldiretti Puglia – ai problemi di sovrappopolamento di numerose altre specie selvatiche, dai cinghiali agli storni, dai cormorani alle lepri fino ai pappagalli verdi, che si moltiplicano in una situazione di assoluta mancanza di adeguate misure di programmazione necessarie per evitare il conflitto con il lavoro agricolo.
Serve responsabilità nella difesa degli allevamenti, dei pastori e allevatori che con coraggio continuano a presidiare le montagne e a garantire la bellezza del paesaggio. Senza i pascoli – conclude la Coldiretti Puglia – le montagne muoiono, l’ambiente si degrada e frane e alluvioni minacciano le città.