Dietro l’opaca siepe
Studioso dell’incisione e direttore a Roma del Gabinetto Nazionale delle Stampe, il garganico Alfredo Petrucci (San Nicandro Garganico 1888 – Roma 1969) è “anima poliedrica di scrittore, di poeta e di pittore”, per dirla con Vocino.
Il suo è un viaggio mentale à rebours, un’ansia di ritorno alla terra garganica che aveva lasciato per un altrove di responsabilità.
Alla pineta, “orgoglio del Promontorio” come egli stesso la evoca, Petrucci dedica la lirica che compare nella raccolta Dietro l’opaca siepe, pubblicata postuma nel 1979.
Pineta giovane
Crescere ti vedo in disparte
poco alla volta ogni giorno,
come la fanciulla cui turba
l’ora di sentirsi donna
e arrossendo e sbiancando
i seni in boccio si preme.
Di te, ancora acerba e leggiera,
si copre declinando al mare
il fianco aspro del monte.
Ma già sue prove fa il vento,
passando fra scaglie ed aghi,
e gemere in gara sé ascolta
col fiotto dell’acqua che al lido
smeraldina si frange.
Nuova a lui stesso questa
flebile voce, nuovo
all’usignolo il suo canto;
nuova ai mortali la notte
che chiara e tonda conduce
a te, d’agosto, la luna!
Alfredo Petrucci
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Italia per terra e per mare
1952
Nella primavera del 1929 vedevano la luce sulle pagine de La Stampa i reportages, che il romanziere bolognese Riccardo Bacchelli (1891 -1985) aveva raccolto nelle sue peregrinazioni in terra garganica. Era stato ospite di Giustiniano Serrilli e successivamente della sua famiglia.
Da San Marco in Lamis “rusticale e civile cittadina” aveva mosso il suo interesse presago nelle direzioni e verso gli aspetti del Promontorio, che il futuro avrebbe confermato di forte rilevanza ambientale.
Raccolti nel libro Italia per terra e per mare (1952), gli articoli conservano le vibrazioni del sentimento e una forte caratura poetica.
Strade e paesi
La strada che risale fra mandorli doviziosissimi, e che lungo le coste di Monte Jacotenente, fra i boschi di quercie rade e poi giù per le pendici del Chianconcello fra vallate di lecci dall’ombria notturna e dalla lucente foglia, conduce a Vieste, è un beneficio della guerra. Fu compiuta per certe necessità della Regia Marina, la quale sento dire che la facesse anche progettare da ingegneri incaricati.
Se così è veramente, non c’è che da rallegrarsi colle attitudini stradali della Regia Marina. Specialmente nella prima parte, a mezza costa del Jacotenente e, prima, nell’uscir fuori dalle conche di Mattinata e di Mattinatella, la strada si svolge e sale con una maestosa ampiezza, con agevole e forte struttura, che ad ogni girar di spalla l’offrono già percorsa e la promettono innanzi all’occhio ammirato, con piacere di architettura vera ed espressa.
Ed è una buona strada, sulla quale possono sbizzarrirsi gli automobilisti; se i muli dei carbonai e i cavalli riottosi e non avvezzi dei carrettieri, non gli si parin davanti in qualche svolto. Nel qual caso il severo e chiuso volto del montanaro garganico esprimerà con disdegno d’ogni parola tutte le maledizioni e i malauguri onde procedere ornata nel suo cammino la polverosa e spetezzante civiltà meccanica.
Erma, solenne, accompagnata dalla vista del mare, va la strada fra selve, selvette e prati. Tutto era, quando vi passavo, ancor strinato dall’inverno, e le quercie brusivano colle lor foglie secche al vento. Solo le prime voci degli uccelli annundavano la primavera. Sulle cime e negli anfratti la neve persisteva, scintillando il sole senza forza su di essa, come una rigida minaccia.
Ma su Vieste che si protende, che s’adagia sopra il declino d’uno scoglio nel mare, bianca, moresca e marina, simile nell’indolenza a una bella creatura spossata voluttuosamente dal bagno, che si sia sdraiata sul letto dello scoglio per prendere il sole facendosi baciar i piedi dal mare, su Vieste dal nome leggiero e gentile come l’esistenza d’un primo bacio socchiuso, il sole è già vivo, la luce, se non il calore, è già estiva. Il mare è in tutto il grande incitatore di precoci primizie.
Due grandi golfi e due spiaggie fuggenti, lunate, si aprono a levante e a ponente di Vieste. A mare le sta la rada breve, dove si tirano in secco le paranze, e un breve scoglio vicino le alza davanti la torricella del fanale. Dietro sonnecchia il castello, col semaforo e le antenne da segnali al posto dei cannoni sugli spalti.
Il piroscafo bisettimanale delle Tremiti radeva l’isolotto del fanale, e animò, come sanno animar la stesa del mare i battelli, la gentilezza deserta delle onde primaverili. Dalla parte delle scogliere, sui golfi, volavano, o si posavano con quei loro atti impacciati e possenti quando s’acquattano sull’acqua o se ne rilevano, stormi di gabbiani. Alcune massaie versarono in mare cestelli d’immondizie, e i rauchi volatori vi s’avventarono, facendoci godere la più bella giostra e schermaglia e ronda di voli, che si potesse desiderare. Fremevano al vento fresco le lunghe braccia, le gracili impalcature e i cordami delle gran reti a bilancia, che si sporgono sull’Adriatico pescoso dalle rupi nelle vicinanze d’ogni paese della riviera garganica. E dappertutto vi sono gabbiani, come, dappertutto, la storia racconta terremoti e rovine di saraceni, di pirati dalmati, di turchi bestiali in questi paesetti, ai quali oggi il mare dà tanta pace quanta già diede guerra nei tempi andati.
Ma la maggior dolcezza della costiera è da Peschici a Rodi, che si guardano di lontano, candide sulle loro due rupi alte ai capi della spiaggia piena d’amenità.
Peschici era il paese poverissimo, senz’acqua, affastellato sullo scoglio, dove pare ancor timoroso. La gente viveva in parte in caverne scavate dentro la roccia tenera, e, da quel che si vedeva dentro gli usci delle casupole anguste e luride, quelli che stavano in caverne non stavan peggio. Veramente a Pèschici la miseria stringeva il cuore, e vi si conosceva la mancanza di molte cose di prima necessità. Ebbene, Peschici ha nome d’essere il paese che dà le più belle ragazze del Gargano. Io non potrei giudicarne, perché la bella giornata le aveva condotte ai campi sui lavori, e in genere le ragazze sono tenute molto strette e in ritegno. Ma fui informato da alcuni giovanotti buoni conoscitori, e il fatto mi piacque molto, prima per senso di giustizia, poiché era equo compenso della povera Peschici, ricca solo d’una vista superba marina; poi per il bellissimo sberleffo che questo fenomeno faceva all’igiene, della quale io sono nemico, dato che forse farà scemar le epidemie (se è vero), ma di certo sparge e cresce all’infinito per il mondo il fastidio dei paurosi, dei fissati, dei saccenti e intromettenti,, risanatori, educatori, rigeneratori, eugenisti, e simili salutisti ficcanasi.
Che nel più povero e sporco paese nascessero le più belle ragazze, quanto mi piacque! E devon esser belle assai, giudicando da quel che ho potuto scorgere passando.
Ornate di collane e orecchini maiuscoli di vecchia filigrana, velate col fazzoletto o collo scialle, laboriose e riposate, salde donne sono le garganiche; contente dei loro uomini, contenti questi di loro: gran principio di ordine e di civiltà. L’impressione era confermata poi dalla quantità e dalla salute dei bambini, che formicolavano per le strade.
Passato Pèschici, attraversai l’ultimo lembo della grande pineta che veste il monte e la costa in quel punto; e poi cominciano gli aranceti di Rodi. Ma, voltando a monte, presi la strada che conduce a Vico, entratura alla regione dei grandi boschi interni. E da Vico andai a Ischitella, aprica e ben murata, dove un Pinto, Principe d’Ischitella, elevò ai primi del Settecento un palazzo di castigata grazia mirabile; e approffittai d’un lento tramonto aureo ed argentino per scendere coll’automobile a Carpino, bianca sul gran piano verde, e a Cagnano, mentre il Monte d’Elio incupiva contro il cielo crepuscolare, e la vasta palude pigra del lago di Varano trascolorava. Questo lago, e l’altro di Lesina, diffondevano la malaria in questa parte del Gargano, fertile e pur bellissima. Nei prati e nei seminati, più cupi, nelle roccie e nei monti, nel color del mare e degli uliveti pallidi, c’era una gravità, una melanconia, che ben si sposava e si rivelava coll’ora cadente, come per contro a Mattinata s’era rivelata e sposata fin nel nome del paese l’ora sorgente del giorno: era il colore della costa settentrionale e occidentale, di contro al colore orientale e di mezzodì dell’altra costa.
Dalla regione dei due laghi, dove i tentativi di bonifica e di prosciugamento sono una storia lunga ed ardua, tornavamo verso Rodi. Ora nel Varano, che fu base d’idrovolanti durante la guerra e che potrebbe esser porto superbo, si tenevano aperte due foci per uso delle barche e per renderlo salino e risanarlo e impedir la malaria. Ma quando era palude d’acqua dolce, era pescoso, special- mente di capitoni celebratissimi.
Uno della comitiva, un ghiottone, fece la riflessione, dolente molto, che se ne vanno i capitoni dal lago. Sua unica scusa poteva essere che la malaria la conosceva per averla avuta, e maligna.
Ma che non son capaci di sfidare i golosi?