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I BIZANTINI E IL GARGANO (2)

Istituiti i catapani

Verso la fine del decimo secolo interviene un nuovo mutamento nel governo dell’Italia bizantina, cui è preposto il «catepano», un ufficiale militare dotato di grande autonomia, il quale, perciò stesso, sarà in un certo senso costretto a cercare i suoi collaboratori, meno i più importanti e diretti, fra la aristocrazia indigena. Questo peraltro non evitò che all’inizio dell’undicesimo secolo la stessa aristocrazia proprietaria longobarbo-pugliese insorgesse contro gli ufficiali bizantini, colpevoli di un fiscalismo spietato: è la rivolta di Melo, soffocata dopo lunga lotta dalle truppe dell’imperatore, a capo delle quali vediamo comparire nel 1018 un nuovo «catepano» di grande ingegno e di eccezionale energia: Basilio Boiano.

E’ indubbio che sin dal decimo secolo la zona di effettiva dominazione bizantina in Puglia si era, sotto attacchi di diversa provenienza, assai ristretta (cf., fra l’altro, un doc. del 965, in cui si parla dei larghi possessi ih territorio di Lesina di un castaido di Benevento: Citrón Vulturn., U, 183).

Ma il Gargano nel 1000 era saldamente in mano del «catepano», nè sembra che mai i garganici abbiano attivamente collaborato con Melo ed i suoi. Basilio Boiano. quando ebbe soffocata la rivolta pugliese, s’accorse che la regione chiave del «tema» d’Italia era proprio quella più a nord, la piana cioè immediatamente antistante al Gargano:            impossibile conservare la penisola gargantea se non si occuivva il Tavoliere; impossibile d’altra parte difendere l’intera Puglia se al nord la strada per le nuove invasioni rimaneva aperta. Fu così che nel secondo decennio del secolo XI furono fondate dai Bizantini le nuove cittì» di Troia, Fiorentino, Drngonara, Cfivitate, le quali sbarrano con una linea ininterrotta l’ingresso a quella regione che sarà presto chiamata Capitanata, paese cioè del Catepano.

Ma l’opera del Balano non si limita a questo: anche nell’interno del Gargano egli fa giungere la sua lungimirante attività: a Vieste compare un Vescovado indipendente, affidato al vescovo Alfano, il quale fonda la chiesa di S. Giovanni Battista nell’interno della cittadina, e fuori di essa altre chiese rurali, come quella di S. Tecla, in una località al disotto di Coppa Rotunda, che ancora ne conserva il nome (Gart. Trem. Vat., c. 1. e 116). E’ dunque smentita la tradizione secondo cui il vescovado di Vieste sarebbe stato costituito da Pasquale II, tradizione nata da un equivoco in cui cadde l’Ughelli leggendo una bolla di Papa Innocenzo III (Ughelli, It. Sacra, VII, p. 829 e 866). Intanto a Siponto è ricostituito il vescovado; anzi con Leone da Montesantangelo si ha l’arcivescovo: tutti provvedimenti coi quali i Bizantini riescono a sottrarre definitivamente l’intero Gargano all’influenza, sia pure soltanto religiosa, del vicino Principato longobardo; si che anche il Santuario di Monte perse il suo carattere nazionale longobardo e divenne, a poco a poco un sacrario comune a tutte le genti dell’Italia meridionale.

Esaminiamo ora un po’ particolareggiatamente la natura e i modi di questa dominazione bizantina sul Gargano, le condizioni della popolazione locale, i suoi rapporti con i dominatori.

I Bizantini non colonizzarono mai la Puglia; e neppure il Boano, fondando le nuove città, sembra vi abbia inviato genti greche; essi si trovavano di fronte ad una popolazione essenzialmente longobarda, organizzata intorno ad una aristocrazia di origine guerriera ed ora invece di carattere prevalentemente agricolo. La politica del «catepano» consistette nel rendere suoi collaboratori questi capi locali, concedendo loro le cariche stesse dell’amministrazione: in fondo le città garganiche, dotate di clero latino amministrate da ufficiali per titolo bizantini, ma per nascita indigeni, si governavano da sè, a parte il rigoroso fiscalismo centrale. Mai, ad esempio, queste popolazioni longobarde adottarono il diritto greco, ma sempre si rifecero alle leggi del proprio popolo, come quella Berta di Ripalta che nel 1035 elesse a suo avvocato un «imperiale turmarco», ma invocava nei suoi atti la legge di Astolfo (Càrt. Treni. Nap., c. 36).

In alcuni dei documenti del Cartolario di Tremiti compare tra il 1030 ed il 1040 un tipico rappresentante di questa aristocrazia indigena, che amministra i propri paesi per conto del «catepano» bizantino: Vitale turmarco di Vieste. Prendiamolo ad esempio.

Il turmarco di Vieste

In. origine il turmarco era un alto ufficiale dell’esercito bizantino, posto a capo di una divisione del «tema»; egli era il personaggio più importante dopo lo stratego. Ma a poco a poco da una parte nell’ufficio del turmarco rientrarono incombenze di carattere civile e non più militare, dall’altra furono fatti turmarchi molti rappresentanti locali — come il nostro Vitale —; cosicché la carica diminuì automa,tica.- mente d’importanza; ai turmarchi sembra rimanessero soprattutto incarichi di natura giudiziaria oltre che amministrativa: molto spesso compaiono nei processi come giudici

o avvocati. Il nostro turmarco di Vieste era un ricco proprietorio terriero; aveva sposato una donna — Teoderada — di facoltosa famiglia forse greca; possedeva per eredità della moglie oltre che per concessione del vescovo Alfano, la chiesa di S. Giovanni Battista in Vieste; le sue terre, vigne, pastini, grano, senapai, giungevano sino nella piana di Caleña, e su di esse pascolavano importanti greggi di ovini e mandrie di porci. (Oart. Treni. Vat, c. I e 1. A Vieste esisteva anche un altro turmarco, Sigo, anch’egli proprietario terriero; e medio proprietario appare quel prete Adelferio di Vieste che nel 1036 è padrone della già nominata chiesa di Santa Tecla, nonché di vigne, orti, grani e cisterne. (Cart. Tran. Val, c. 116.).

Nella stessa Troia nel 1040 un «topoteritl» (cioè un «custode della città») imperiale, non è greco, ma-indiggno: un ‘Pietro Natale, il quale si professa longobardo e rispetta i costumi e le leggi del suo popolo (Carabellese, op. cit., p. 4681.

Dunque nella prima metà del secolo undicesimo, prima della seconda decisiva invasione normanna, prima cioè del suo declino, il dominio bizantino si fonda nella Puglia settentrionale sulla collaborazione — non sappiamo quanto sincera — con l’aristocrazia possidente longobardo-pugliese, la quale comprende sia funzionari amministrativi e giudiziari, sia sacerdoti e anche notai ; ma è raro veder comparire un greco, un estraneo cioè alla popolazione indigena.

Nel Gargano, estremo settore del «tema» pugliese, l’elemento greco, che nello stesso periodo ha quasi completa- mente colonizzato la Calabria, è scarsissimo. Questo mancato tentativo di penetrazione e di assimilazione va spiegato In parte col fatto che nel Gargano i bizantini dominarono relativamente per poco tempo, avendo di fronte una popolazione del tutto o quasi omogenea, ricca di tradizioni e forme di civiltà sue proprie, in parte con la mancanza di iniziativa e di vedute del «catepani» succeduti al grande Boia- no, 11 quale lasciò l’Italia troppo presto, e cioè nel 1028.

Fra il 1038 e il 1040 nuovi torbidi e rivolte scoppiarono in Puglia contro i Bizantini, e lo stesso «catepano» rimase ucciso. Di queste rivolte approfittarono i Normanni, i quali occuparono Melfi e sconfissero due volte nel 1041 le truppe, pur assai superiori di numero, del nuovo «catepano»; ma il Gargano e lo Capitanata erano rimasti tuttavia fedeli al l’Imperatore d’Oriente, tanto vero che nella sfortunata battaglia dell’Ofanto (4 maggio 1041) truppe della Capitanata (Capitinates) militavano nell’esercito bizantino, fra Russi e Traci, Calabresi e Longobardi, compreso lo stesso Vescovo di Troia che morì sul campo (Ann. Bar. MGH SS. V, p. 54).

Non è questo il luogo per occuparci dell’invasione normanna della Puglia; noi ci limiteremo ad esaminare la posizione delle città garganiche in un cosi intricato momento storico. Ebbene, mentre tutta la Puglia, salvo le città marittime, cede agli invasori, il Gargano, protetto dallo sbarramento insuperato delle città di Capitanata, ignora praticamente la avanzata del Normanni, i quali nel 1042, dividendosi idealmente il terreno da conquistare, lo avevano assegnato a Rainulfo d’Aversa. Passeranno ancora nitri anni prima che i Normanni possano tradurre in atto questa dichiarazione di possesso, che è per ora soltanto un desiderio.

Nell’interno del Gargano le piccole e grandi comunità locali continuano tranquillamente la loro vita; a Devia c’è, attiva e ricca, una colonia slava, retta da un suo «luppano» a nome Andrea; questa comunità riconosce la suprema autorità dell’Imperatore di Bisanzio, ma non ammette ingerenze nell’amministrazione e nella giustizia; si governa autonomamente con 1 propri capi-tribù, denominati «iuppani», come ancor oggi sono detti sull’opposta sponda i capi dei villaggi serbi.

armando petrucci

(seconda parte – dal cartolario di tremiti)