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IL PENTITO GIUSEPPE DELLA MALVA: “VI SPIEGO LA GUERRA TRA I CLAN VIESTANI E GLI OMICIDI ECCELLENTI DEL GARGANO”

Lo scorso agosto ho scelto di col­laborare con la Giustizia perché voglio essere il ragazzo che ero una volta, quando non mi drogavo, non spacciavo. Voglio tornare a essere il ragazzo lavoratore di un tempo, avere la mia famiglia vicina: ho sbagliato e sto pagando. Ero disastrato; mio figlio Danilo si era pentito nel 2021; io non ho collaborato prima perché avevo paura che fa­cessero male all’altro mio figlio, che nei mesi scorsi a Vieste è stato massacrato di botte quando non ero ancora collaboratore di Giustizia.

Chi l’ha picchiato avrà pensato: ‘facciamogli una bella li­sciata prima che pure il padre si butta’” (a penti­mento) “Allora arrivato a questo punto mi sono detto: lo volete massacrare? E mò vi faccio vedere io”. Cosi Giuseppe Della Malva, 61 anni, viestano, ha motivato

il pentimento, deponendo nel processo “Omnia mo­stra” in corso in Tribunale a Foggia a 24 coimputati; lui nel giudizio abbreviato è stato condannato a 11 anni e 4 mesi per mafia, armi e violenza privata.

Giuseppe Della Malva ha confessato il coinvolgimento nell’omicidio-lupara bianca di Pasquale Notarangelo, scomparso a Vieste a maggio 2017: era il nipote di Angelo Notarangelo, alias “Cintaridd” ex capo dell’omo­nimo clan ucciso a gennaio 2015: dalla scissione del gruppo nacque la rivalità tra il gruppo capeggiato da Marco Raduano e la batteria De Pema/Iannoli. Raduano, l’ex boss pentitosi a marzo 2024, ha confessato una dozzina di omicidi, tra cui quelli di Angelo Notarangelo e del nipote Pasquale; in quest’ultimo delitto ebbe un ruolo anche Giuseppe Della Malva.

“Certo che mi sono dichiarato col­pevole, c’ero anche io” ha detto il pentito: “Lo abbiamo ammazzato perché lui voleva i 20mila euro di un’estorsione e uno stipendio. Marco Raduano gli disse: ‘sì, sì: quanto vuoi di stipendio, mille euro?’ e arrivarono a 1500. Raduano gli chiese: ‘però devi farmi un favore, devi portare questo scooterone a una persona ma era una scusa per ammazzarlo. Raduano venne da me e mi disse: ‘Giusè stasera vuoi venire pure tu?’ e acconsentii”.

Giuseppe Della Malva si è soffermato sulla guerra tra i Li Bergolis e i Romito/Lombardi/Ricucci; ha raccontato che Raduano inizialmente era con i Li Bergolis, ma quando gli ammazzarono il cognato Gianpierò Vescera nel settembre 2016 mentre lui era in car­cere, una volta libero passò con il gruppo Romito. Si è quindi soffermato su una serie di omicidi a Vieste: di Vescera “per una partita di marijuana non buona che lui non voleva”; Omar Trotta “che quando morì Vescera era sul posto, per cui per Raduano doveva essere ammazzato”; Antonio Fabiano “perché era vicino a noi del gruppo Raduano, era vicino a mio figlio Danilo”; Gianmarco Pecorelli “perché lui coi cugini Giovanni e Claudio Iannoli cercò di as­sassinare Raduano” a marzo 2018; Gianbattista Notarangelo di aprile 2018 (“mio figlio Danilo mi disse: ‘hai visto come l’ho combinato?”’); del tentato omicidio di Perna che due anni prima d’essere eliminato, sfuggì alla morte a marzo 2017 “quando andarono a sparargli mio figlio e Ra­duano: si salvò perché aveva la figlia con sé”.

 Giuseppe Della Malva ha indicato nel defunto Mario Romito, ucciso a agosto 2017 nella strage di mafia garganica firmata dal clan Li Bergolis, uno degli uomini al vertice della criminalità garganica. “Era un tipo riservato e rispettato non solo in carcere, ma in tutto il mondo perché era un artista nel rapinare blindati e commettere omicidi”. Quanto al suo passato, il pentito ha detto d’aver “sempre spacciato sin da giovanissimo: mi dro­gavo e spacciavo, è andata così fino all’arresto” nel dicembre 2021 nel blitz “Omnia nostra” con 32 fermi.

“Non ho spacciato solo quando mi obbligarono a non farlo più perché aveva preso in mano la situazione Angelo No­tarangelo, il vecchio boss di Vieste”, ucciso a gennaio 2015 da Raduano per prenderne il posto. In seguito al quel veto, Giuseppe Della Malva ha detto d’essersi rivolto inizialmente a Enzino Miucci di Monte al vertice del clan Li Bergolis.

“Io non appartenevo a quel gruppo, ma qualche volta avevo comprato la cocaina da Miucci che in­tervenne su Angelo Notarangelo; Miucci in car­cere prese a Notarangelo e lo fece diventare mezzo metro. Per questo problema con Notarangelo mi rivolsi anche a mio figlio Danilo: lui era in carcere, mi scrisse di rivolgermi al mattinatese Francesco Scirpoli; andai a Mattinata, Scirpoli mi fece parlare con Matteo Lombardi” (al vertice del clan Lombardi/Ricucci/La Torre) “che mi disse che la situazione l’avrebbe sistemata lui. Dopo qualche giorno a Vieste venne Francesco Scirpoli a dirmi che tutto era a posto, che Lombardi avrebbe detto a Angelo Notarangelo che se io cadevo e mi facevo male, se la sarebbero presa con loro.

Ma non era niente a posto perché né Miucci né Lombardi riuscirono a risolvere la situazione: mi ero bloc­cato nello spaccio perché non potevo fare più niente”.

gazzettacapitanata