Non solo la voglia di cambiar vita, ma dietro la scelta di pentirsi anche “il diritto della gente del Gargano che merita rispetto e di non essere più calpestata da chi ha commesso tanti reati”. Così Francesco Notarangelo, 60 anni, mattinatese detto “Natale”, per 30 anni legato al clan Romito (poi evolutosi in clan Lombardi/Ricucci/La Torre) per conto del quale si occupava di contrabbando di sigarette prima, quindi custode di armi e auto rubate, e di seppellire le vittime della lupara bianca, ha motivato la scelta maturata nell’ottobre scorso di collaborare con la Giustizia.
In videocollegamento da una località segreta, il malavitoso ha deposto nella tranche del processo “Omnia nostra” in corso in Tribunale a Foggia. Notarangelo nel processo-gemello a 19 imputati che hanno optato per il giudizio abbreviato è stato condannato in appello a 6 anni, 2 mesi e 10 giorni per mafia e favoreggiamento.
“ADDETTO AL BOSCO” – “Ero addetto al bosco: cioè occultavo cadaveri, davo ospitalità a latitanti, nascondevo armi e auto rubate. Lo scorso gennaio ho fatto ritrovare ai carabinieri accompagnandoli sul posto una carabina e un fucile. Sono entrato nel gruppo Romito nel ’96 a lavorare con le sigarette di contrabbando; finite le sigarette custodivo armi e macchine; dal 2008 le armi sono passate a custodirle i fratelli Andrea e Antonio Quitadamo” (pentiti nel 2022) “. Io ho partecipato a rapine e spacciavo cocaina, 50 grammi al mese non di più perché il paese non è grande: i soldi della droga non li dividevo col gruppo. I capi erano i fratelli manfredoniani Franco e Mario Luciano Romito” (uccisi nella guerra contro i rivali ex alleati Li Bergolis: Franco a aprile 2009 a Siponto; Mario Luciano a agosto 2017 nella strage con 4 morti vicino San Marco in Lamis).
“La loro parola era importante, non potevi dirgli di no: se rifiutavi morivi. Erano spietati, uccidevano. Nel 2007/2008 poi con i Romito si misero Matteo Lombardi” (ergastolano e imputato in Omnia Nostra) “e Pasquale Ricucci che si staccarono dai Li Bergolis”. Ricucci, alias “Fic’secc”, è stato ucciso a novembre 2019 a Macchia nella guerra con i Li Bergolis.
OMICIDI E LUPARE BIANCHE — Senza entrare nel dettaglio perché sono ancora in corso indagini, Notarangelo rispondendo ai pm della Dda Ettore Cardinali e Luciana Silvestris ha accennato a una serie di omicidi: “Ivan La Rosa; Omar Trotta, rivale del clan Raduano a Vieste; Leonardo Clemente, ucciso per dare una risposta ai Li Bergolis che avevano ammazzato Michele Romito e ferito lo zio Mario Luciano; Silvestri al porto di Mattinata; e Giuseppe Silvestri a Monte, Giovanni Di Bari; Iaconeta perché non aveva pagato la droga a una persona; Gianluigi Quitadamo perché parlava male dei Romito; Giovambattista Notarangelo; Luigi Spagnuolo e Bianchi di cui non ricordo bene il nome.
Io ho partecipato all’occultamento dei cadaveri di Francesco Libergolis, Francesco Simone e Francesco Anniento, vittime della lupara bianca. Antonio Quitadamo mi riferì di aver tolto i cadaveri di Libergolis e Simone”.
“AIUTAI I KILLER DI PERNA” – – Notarangelo ha confessato un ruolo di favoreggiamento nell’omicidio di Girolamo Perna, al vertice del clan viestano Perna/Iannoli alleato dei Li Bergolis, ucciso nell’aprile 2019 dal clan Raduano. “L’omicidio di Perna l’ha consigliato il signor Danilo Della Malva” (ex esponente di spicco del clan Raduano pentitosi nel 2022) “nel senso che ha pagato 10 mila euro per 4 mesi per farlo uccidere: i soldi me li portava Bartolomeo Notarangelo” (ucciso a Mattinata nel giugno 2024) “e io davo 5mila euro a Ricucci e 5mila euro ai mattinatesi. Fu il cognato Antonio Quitadamo a mandare Bartolomeo Notarangelo a uccidere a Vieste Perna. Bartolomeo venne da me a chiedermi uno scooterone o una moto per commettere l’omicidio”.
ALLEVAMENTI – – Spazio anche all’arroganza dei malavitosi nell’impossessarsi di bestiame e terreni. “I fratelli Quitadamo e Francesco Scirpoli avevano gli allevamenti a Mattinata: occupavano i terreni, rubavano le bestie, facevano di tutto per far andar via i proprietari e i terreni se li tenevano loro. Non andavano a denunciare ai carabinieri per paura di subire altri danni. Le mucche poi le mandavano a pascolare nei terreni di altri proprietari che non dicevano niente. E che dovevano dire? Se parlavano anche quelle poche vacche che gli erano rimaste, se le portavano…”.
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