Menu Chiudi

MAFIA GARGANICA/ VENDETTE ED OMICIDI, LA LISTA DEL PENTITO PETTINICCHIO. MORTI, DROGA E RACKET DA MONTE SANT’ANGELO A VIESTE, DA MATTINATA A MANFREDONIA DOVE I CLAN CONTROLLAVANO IL MERCATO ITTICO

Sapevano quello che dove­vano dare, ma non sapevano quel­lo che dovevano avere”. Così Enzino Miucci, montanaro a capo del clan Li Bergolis-Miucci, scri­veva in una lettera parlando dei nemici Romito, poi diventato gruppo Lombardi/Ricucci/La Torre, che annunciavano vendet­te e omicidi.

Quello stesso Miucci che all’invito dell’emissario di un boss rivale di allontanarsi da Monte mettendogli anche a dispo­sizione le chiavi di una casa a Manto­va rispose: “gli in­fami devono andare camminando, e io me ne devo an­dare? Ringrazialo a Matteo, le chiavi te le puoi anche riportare…”.

Le pri­me dichiarazioni del neo pentito del­la mafia garganica, Matteo Pettinicchio, 40anni di Monte Sant’Angelo, una delle ca­pitali della mafia garganica, com­paesano e braccio destro di Miuc­ci “u criature”, prima gola pro­fonda nel clan Li Bergolis mentre abbondano quelle tra le fila rivali – sono anche un… trattato di filo­sofia criminale.

Oltre 180 pagine di verbale di chi ha confessato d’essere entrato nel 2000 a soli 15 anni nel potente clan dei mon­tanari; e sta ora ricostruendo alla Dda 25 anni di storia della mafia garganica; di ex alleati poi nemici; di una trentina di morti ammaz­zati; di alleanze con la “Società”; di fiumi di soldi grazie a droga e racket; di controllo del mercato ittico, attraverso imposizioni e forniture.

“Dottore, noi ci informavano sempre del gruppo antagonista” la spiegazione di Pettinicchio al pm Ettore Cardinali “perché c’era la guerra in corso, anche se ul­timamente loro erano stati deci­mati. Le persone più importanti, quelle più capaci di cui aver paura non c’erano più: Mario Luciano Romito e Pasqua­le Ricucci erano stati uccisi” (il primo nella strage del 9 agosto 2017; il secondo sotto casa a Macchia a no­vembre 2019) “e Matteo Lombardi era stato arrestato”, ad aprile 2019 per l’omicidio di 2 anni prima di Giuseppe Silvestri a Monte con successiva condanna all’ergasto­lo.

“Da quando c’era stato il fatto di Silvestri, Lombardi doveva mo­rire: lo avremmo pure ammazzato prima di Ricucci perché era più pericoloso, però fù arrestato, sa­pevamo che non sarebbe uscito più, quindi è stato ammazzato Ri­cucci. Loro 3 – Romito, Ricucci e Lombardi – erano quelli più ca­paci di fare azioni; gli altri erano sotto e senza la forza di quei tre… . Personalmente a me e Miucci nemmeno dopo mille anni ci pren­devano. Potevano ammazzare persone intorno a noi, ma a non avevano la forza di prenderci, non esiste”.

Pettinicchio ha parlato di ne­mici ammazzati e da ammazzare. “Francesco Pio Gentile” (ucciso a Mattinata il 21 marzo 2018) “era cugino dei Romi­to; era uno dei capi su Mattinata in­sieme a Francesco Scirpoli. Gentile voleva ammazza­re a noi, parecchie volte si è vantato che ci avrebbe ucciso. Ed è stato am­mazzato lui. Come dovevamo elimi­nare Scirpoli, uno che ha fatto omicidi sparando con i Kalashnikov.

Per noi elementi come Gentile, Scirpoli erano facili da ammazzare: vi dico la verità, questi li ammazzavano massimo in due giorni; non si guardavano intorno, li trovavi davanti al bar, al circolo dove è stato poi preso Gentile. Tant’è che quando abbia­mo fatto l’agguato a Gentile, il giorno prima lui stava insieme a Scirpoli: non si fece niente perché era pieno di gente, per non pren­dere persone innocenti, tanto di­cevamo ‘questi li prendiamo tutti i giorni’”.

Infatti 24 ore dopo Gen­tile fu assassinato. In questa lista nera di possibili e scampati obiet­tivi del clan Li Bergolis, il pentito ha indicato tra gli altri Angelo Bonsanto, presunto killer della zona di San Severo alleato dei Fog­giani e dei Romito (“aveva parec­chie persone che non lo vedevano di buon occhio quindi si poteva eliminare facil­mente se usciva dal carcere; aveva un ristorante a Le­sina e lì stava tran­quillo; ne parlai con un po’di gente a San Severo per eliminarlo); e Pie­tro La Torre, manfredoniano, co­gnato di Ricucci: “La Torre è uno che comanda, la droga la gestiva lui, aveva persone sotto di lui.

Era uno solito parlare di sparare in testa a tutti, a chi trovava; diceva: ‘li vado a prendere e li sparo in testa’. Lo diceva sia in carcere sia fuori. Tant’è che dissi a Miucci: ‘mo’ andiamo a bussare a casa e ce lo andiamo a prendere dentro’ perché faceva troppo bordello. Mi avete pure trovato una lettera do­ve scrivevo: ‘se lo prendo in car­cere, gli schiaccio la testa’”.

NEI CLAN COMANDA CHI HA ALLEANZE NON CHI SA FARE SOLO IL KILLER

C’è che spara, chi comanda, chi è “riservato”, e chi viene mandato a dar fastidio a potenziali vittime di estorsione per poter poi farsi avanti e garantire protezione. Così Matteo Pettinicchio, uomo di vertice del clan Li Bergolis-Miucci, de­tenuto dal 2017, pentitosi il 30 gennaio scorso, ha parlato dei ruoli nella mafia garganica e più in generale nelle organiz­zazioni criminali.

“Per come la penso io, chi comanda è quello che più amicizie, più appoggi. Non è che comanda chi è killer. Perché se non hai dietro tutta l’organizzazione, non sei nessuno. Magari anche il ragazzo di 20 anni che va a sparare, se deve fare una cosa da solo non è capace. Deve avere gli appoggi su Foggia, Cerignola, Manfredonia, Vieste. Quelli che hanno questi appoggi, che hanno le conoscenze su Foggia e provincia e magari anche a livello nazionale, sono quelli a comandare. Non so se mi sono spiegato bene; voglio dire che i ruoli apicali sono quelli che hanno le amicizie giuste e cono considerati; che quando vai da una parte sei ritenuto una persona di rilievo. Gli elementi apicali sono conosciuti da tutti: dall’amministrazione comu­nale, dal vigile urbano, dal professore e dal bidello..

Ci sono poi quelli “riservati, che non sono in vista, stanno in disparte, che si mettono però a disposizione. Come Giovanni Caterino”, il manfredoniano condannato all’ergastolo per aver fatto da basista in occasione della strage del 9 agosto 2017 quando nelle campagne di San Marco in Lamis il clan Li Bergolis pur di assassinare il boss rivale Mario Luciano Ro­mito, non esitò a uccider il cognato Matteo de Palma che gli faceva da autista e i fratelli Aurelio e Luigi Luciani in transito sul luogo dell’agguato.

“Caterino faceva parte del nostro grup­po; era uno dei riservati, un ragazzo capace, imo sveglio che però non si è mai fatto vedere con noi; quando veniva a casa di Enzino Miucci, veniva col cappellino. Però il gruppo Romito venne a sapere il nome di Caterino, credo attraverso Marco Raduano” (ex boss di Vieste alleato dei Romito, pentitosi a marzo 2024) “e infatti Caterino a febbraio 2018 sfuggì a un agguato sotto casa a Manfredonia”, organizzato dal clan Ro­mito per vendicare l’omicidio di Mario Luciano.

Singolare poi il ruolo attribuito da Pettinicchio a un espo­nente “minore” del gruppo rivale; “zio Mario era addetto a ubriacarsi e dare fastidio, ma era una cosa organizzata dalla malavita che usava la sua ubriachezza e gli dicevano: ‘vai a dare fastidio a quel locale’ perché poi i proprietari si dovevano rivolgere a loro.

Per dire: se volevano prendere l’estorsione in un bar, mandavano lui ubriaco a fare casino, così poi il pro­prietario si sarebbe rivolto ai nipoti di Zio Mario che avrebbero detto: ‘eh, mo’ me la vedo io’. Lo so perché è successo anche a me: andò nel bar di un mio parente, tutto ubriaco, diceva di dover mettere una bomba. Mi chiamarono all’una di notte, intervenni, lo strattonai, lo stavo mettendo nel cofano dell’au­to, non stava in piedi, con uno schiaffo andava in ospedale. Chi stava con lui disse: ‘no, Matteo, sta ubriaco’. Gli risposi: ‘voi con questa scusa che sta ubriaco…’”.

gazzettacapitanata