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Vietare alla moglie di uscire è violenza

È quanto si evince da una sentenza della Cassazione che conferma la misura cautelare del divieto di dimora nello stesso comune di residenza della moglie emessa dal Riesame di Lecce

Rischia un’accusa per violenza privata, e dunque una condanna fino a 4 anni, l’uomo che costringe la propria moglie a vivere chiusa in casa, obbligandola a modificare radicalmente ogni abitudine di vita. È quanto si evince da una sentenza della quinta sezione penale della Cassazione (n. 31158), con la quale è stata confermata la misura cautelare del divieto di dimora nello stesso comune di residenza della moglie emessa dal tribunale del Riesame di Lecce nei confronti di un uomo, indagato per il reato di violenza privata (articolo 610 del codice penale). Quest’ultimo, secondo l’accusa, aveva, in più occasioni, costretto la moglie a «modificare le proprie abitudini di vita, rinunciando ad uscire a piedi e, comunque, a limitare le proprie uscite, a vivere chiusa in casa, controllando continuamente le immagini provenienti da una telecamera esterna appositamente installata, a richiedere la compagnia della madre nelle notti in cui il marito era impegnato in turni di lavoro notturni». Il giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta del pm di applicazione della misura di arresti domiciliari nel confronti dell’indagato, non ritenendo «ravvisabili» nella fattispecie gli estremi del reato in contestazione. La richiesta di misura cautelare, anche se limitata al divieto di dimora, era invece stata accolta dal Riesame.
La Suprema Corte, quindi, ha rigettato il ricorso avanzato dal difensore dell’indagato, nel quale si spiegava, tra l'altro, che «le asserite limitazioni del libero comportamento della persona offesa non erano riferibili ad alcuna minaccia, ma solo ad attenzioni amorose, ed erano ascrivibili ad autonome scelte di vita della stessa». Per gli “ermellini”, invece, «con motivazione idonea, immune da vizi od incongruenze di sorta, il giudice del riesame ha diffusamente argomentato in proposito, giungendo alla corretta conclusione degli elementi costitutivi dell’ipotizzata fattispecie delittuosa».
Il rilievo, secondo i giudici di piazza Cavour, «è tecnicamente ineccepibile in ragione della peculiarità della fattispecie in oggetto, contrassegnata da un sistema di reiterate molestie e minacce tali non solo da costringere la persona offesa ad un radicale cambiamento del suo regime di vita, ma a tollerare anche pesanti intrusioni nella sua vita privata e nella sfera della sua riservatezza».