Dopo l’Unità d’Italia anche la Capitanata fu interessata al fenomeno del brigantaggio, le autorità governative spesero non poche energie per sedare quella che fu una vera e propria rivolta contro il nuovo governo. Sbandati dell’ex esercito borbonico, contadini e braccianti, si videro costretti con il nuovo governo ad una leva militare forzata che durava più anni, e dovettero abbandonare le loro terre ed i loro affetti; l’alternativa era darsi alla macchia ed al brigantaggio, che il nuovo Governo combattè con una serie di leggi speciali e varie azioni militari. La prefettura della provincia di Capitanata, che aveva sede a Foggia, in esecuzione di un disposto del 25 settembre del 1862, compilò un Quadro nominativo degli individui datisi al brigantaggio nella provincia di Capitanata, documento che fu realizzato ricavando i nominativi dei briganti dalle relazioni e dalle note stilate dai sottoprefetti, sindaci, comandanti delle guardie nazionali, e dei carabinieri reali, delegati di P.S., e reverendi parroci, trasformatisi per l’occasione in agenti informatori della Prefettura. Ancora oggi, del resto, fra la vasta documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Foggia e presso altre storiche istituzioni, è possibile ricavare nomi ed episodi di quegli anni. Questo Quadro nominativo contiene l’indicazione di ben 509 individui considerati briganti, ma in realtà a volte solo renitenti alla leva; tra essi vi sono elencati anche alcuni ex soldati borbonici e, addirittura, un disertore dell’esercito piemontese, tale Luigi Sodani originario di Vigevano e già in forza al 49° Fanteria del Regio Esercito. Dei 509 briganti, però, 184 erano già in carcere, 13 erano morti e solo 312 erano latitanti ed operativi. Tra i comuni di origine dei briganti, la rappresentanza più numerosa è quella del Gargano, come Monte Sant’Angelo, da cui provenivano ben 102 briganti, San Marco in Lamis con 50 e Cagnano con 18; le cittadine più grandi ed in pianura annoveravano pochi briganti, come Foggia, soltanto 1, Manfredonia 8, San Severo 12 e Cerignola nes-suno; emergono poi Torremaggiore con 28 individui, San Paolo Civitate con 22 ed Apricena con 18; sui Monti Dauni ecco Castelnuovo con 12, Casalvecchio con 13, Candela 11, Pietramontecorvino 11, Panni 11 e ben 59 indi¬vidui provenienti da altre province. Vari i mestieri di queste persone, in gran parte braccianti e contadini, ma anche pastori, calzolai, negozianti, vaccari, bovari, muratori, carpentieri, vetturali, carrettieri, cavapietre ed altre attività. Non mancano le donne, come Teresa Pannisci, denominata la porcara, originaria di Candela e tale Recchia Anna, di 24 anni, domestica, originaria di Tufare, ma aggregatasi alle bande di briganti che operavano in Capitanata. Singolari anche i vari soprannomi con cui sono indicati i briganti, come: Boccasenzosso, Recchiamuzzo, Trippetta, Passariello, Pippariello, Monachello, Cazzullo, Pistoncello, Scopetta, Pochinchiostro ed altri particolari nomignoli.
Carmine de Leo