Il pm ha chiesto 8 condanne per complessivi 28 anni di reclusione, con pene oscillanti da 16 mesi a 7 anni, nel processo abbreviato in corso davanti al gup del Tribunale di Foggia a 8 dei 9 garganici (il nono ha chiesto di patteggiare) coinvolti nell’inchiesta «Nel nome del Padre». Sono accusati a vario titolo di detenzione illegale di armi; tentata evasione di due detenuti dal carcere di Foggia; e favoreggiamento della latitanza di un mattinatese. Il blitz di Procura e Guardia di Finanza dello scorso 28 febbraio fu contrassegnato dall’emissione da parte del gip del Tribunale di Foggia 11 ordinanze cautelari in carcere ed ai domiciliari nei confronti di 9 persone. Il filone principale dell’inchiesta (quelli minori riguardano il possesso di tre fucili e il favoreggiamento della latitanza del principale imputato) è quello relativo al presunto progetto di evasione di due detenuti dal carcere di Foggia, in programma a Capodanno 2018 e sventato dalla Guardia di Finanza e dalla polizia penitenziaria, che sequestrarono due fili diamantati introdotti in carcere. Quei fili seghettati dovevano essere utilizzati – dicono Procura e investigatori – per segare le sbarre della cella dov’erano rinchiusi due garganici, che poi avrebbero dovuto raggiungere il muro di cinta della casa circondariale e calarsi nel carrello di una autogru in loro attesa all’esterno del penitenziario. Il processo con rito abbreviato in corso davanti al gup Domenico Zeno è stato aggiornato a metà dicembre per le arringhe difensive, sentenza nei primi mesi del 2019. Il pm Ileana Ramundo, in considerazione dello sconto di un terzo della pena previsto dal rito, ha chiesto la condanna a 6 anni di Antonio Quitadamo, 43 anni di Mattinata, soprannominato «Ballino», ritenuto elemento di spicco del clan Romito (4 anni e 4 mesi per la detenzione di due fucili, 1 anno e 8 mesi per il tentativo di evasione); e di 1 anno e 4 mesi di Hechmi Hdiouech, 34 anni di Vieste, per tentata evasione: i due garganici erano rinchiusi a fine 2017 nella casa circondariale di Foggia e avrebbero dovuto evadere a Capodanno 2018, secondo l’ipotesi accusatoria. Il pm ha poi chiesto 6 anni e 8 mesi di reclusione per Danilo Pietro Della Malva, 32 anni di Vieste (5 anni per la detenzione di tre fucili; e 1 anno e 8 mesi per concorso in tentata evasione); 7 anni per il padre Giuseppe Della Malva di 54 anni, anche lui viestano (4 anni e 4 mesi per la detenzione di due fucili; e 2 anni e 8 mesi perché avrebbero favorito in passato la latitanza di Quitadamo). Il pm ha infine chiesto la condanna a 1 anno e 8 mesi del manfredoniano Aronne Renzullo, 41 anni; e quella di 1 anno e 4 mesi a testa per il padre Luigi Renzullo di 70 anni; la mattinatese Marisa Di Gioia di 32 anni (moglie di Quitadamo); e Leonardo Ciuffreda, quarantunenne originario di San Giovanni Rotondo e residente a Monfalcone, in provincia di Gorizia. Questi ultimi 4 imputati rispondono solo di concorso in tentata evasione. Gli 8 imputati, difesi dagli avvocati Michele Arena, Paolo D’Ambrosio, Michelangelo Basta, Francesco Santangelo, Angelo Pio Gaggiano e Salvatore Vescera, respingono le accuse e hanno chiesto il rito abbreviato. Il nono imputato è Anna Filomena Pacillo di 36 anni, moglie di Aronne Renzullo: per lei, l’avv. Basta e la Procura hanno patteggiato una condanna ad una pena minima subordinata alla sospensione della pena, su cui deve pronunciarsi il gup. L’accusa poggia su intercettazioni – alcuni detenuti rinchiusi nella casa circondariale del capoluogo dauno avevano la disponibilità di un telefonino e i finanzieri intercettarono le conversazioni – il cui riscontro sarebbe rappresentato dal rinvenimento e sequestro di due fucili a Vieste a metà dicembre del 2017; e dal sequestro alla fine dell’anno scorso dei «fili diamantati» nascosti in una borsa introdotto in carcere a Foggia e che doveva essere consegnata ad un detenuto: venne sequestrata dalla Polizia penitenziaria che rinvenne nelle cuciture i due fili diamantati.