Stop alla vendita della canapa light. Parte dalla Procura di Taranto, a firma del procuratore capo Carlo Maria Capri- sto, dell’aggiunto Maurizio Carbone e del sostituto Lucia Isceri, un decreto di perquisizione e sequestro, affidato ai militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza, destinato a fare il giro dell’Italia. Viene – bruscamente – invertita la tendenza avviata nel 2016, quando fu varata la legge contenente disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale. Da due anni la vendita della cannabis light è considerata legale, purché il valore del The (tetraidrocannabinolo, principio psicoattivo della marijuana) oscilli tra lo 0,2 e lo 0,6 per cento, come imposto dalla legge. Entro questo limite, non si può – almeno fino a ieri non si poteva – parlare di sostanza stupefacente. Molte aziende agricole hanno cominciato a riconvertirsi, sposando la coltivazione della canapa. Sono nate aziende all’ingrosso, è aumentata l’offerta dei negozi che vendono articoli per fumatori, i tabacchini hanno aggiunto referenze sui loro banconi, sono perfino spuntati negozi automatici H24 nel pieno centro di Taranto, accanto a licei e scuole medie, con tanto di vetrine evocative con l’inconfondibile foglia verde di marijuana, sono apparsi manifesti pubblicitari 6×3 pubblicizzanti siti e punti vendita evocativi. La stretta è scattata un mese fa, quando i finanzieri hanno effettuato una serie di controlli in alcuni esercizi commerciali che tra le altre cose vendevano i prodotti derivati dalla canapa, sottoponendo a sequestro la merce e denunciando i rivenditori per detenzione finalizzata allo spaccio di sostanza stupefacente. Quel sequestro non fu convalidato dal gip Vilma Gilli – come sollecitato dalla Procura – perché i termini erano ormai decaduti, ma il magistrato ha comunque emesso un decreto di sequestro preventivo, esaminato e confermato dal Tribunale del Riesame. Il punto nodale è la liceità della commercializzazione delle infiorescenze per uso umano. Secondo il gip Gilli, se il principio attivo (The) è inferiore allo 0,2% la detenzione e la cessione esulano dal testo unico sulla droga (legge 309 del ‘90). Se invece la percentuale è tra lo 0,2 e lo 0,6% la commercializzazione non è lecita e integra, anzi, la detenzione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti. Una detenzione diversa da quella canonica: perché siamo abituati a spacciatori che operano nell’ombra, usando linguaggio criptico e soldi in contanti. In questo caso, invece, siamo al cospetto di attività autorizzate dalla Camera di Commercio, forniture fatturate, pagamenti tracciati. Con il provvedimento eseguito ieri la Procura alza il tiro e ritiene, dopo una accurata analisi della normativa vigente, dei lavori preparatori della legge del 2016 e, in ultimo, della circolare firmata dal ministro Salvini a luglio scorso, che il The sia ricompreso nella tabella delle sostanze stupefacenti senza alcuna soglia di valore; che la legge del 2016 non ha introdotto alcuna soglia, né ha modificato il testo unico sugli stupefacenti; che la stessa legge non ha incluso tra le finalità e gli usi possibili della coltivazione della canapa la produzione di infiorescenze, fresche ed essiccate. In nessun caso, insomma, secondo la tesi dei magistrati guidati dal procuratore Capristo, la legge 242 del 2016 ha previsto la commercializzazione al dettaglio dei prodotti rinvenienti dalla coltivazione della canapa perché l’uso di tali fibre è previsto unicamente in campo industriale. Ai 50 indagati – tra produttori, grossisti e commercianti al dettaglio – viene contestato il quinto comma del testo unico sugli stupefacenti, il fatto di lieve entità. Ma la Procura ritiene configurabili anche la frode in commercio (per aver proposto ai clienti prodotti con etichette palesemente fuorvianti), la violazione amministrativa della legge sul contrabbando di tabacchi semilavorati e di quella in materia di alimenti.
Mimmo Mazza
gazzettamezzogiorno