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Sicurezza e immigrazione: un legame pericoloso

Tonnellate di immondizia, centinaia di morti bianche sul lavoro, pirati della strada che falciano pedoni e fuggono, rom che improvvisamente si mettono a rubare bambini, assalti e distruzioni di campi rom da parte di onesti cittadini in rivolta contro i “ladri di bambini”, ronde padane o democratiche a caccia di delinquenti, zingari, rom, rumeni, immigrati clandestini…Ma, cosa sta capitando all’Italia e agli italiani? E’ la domanda che accompagna le immagini televisive, gli articoli di giornali, i dibattiti pubblici e privati, le scelte politiche degli ultimi mesi.
Lorenzo Prencipe
Presidente del CSER – Centro Studi Emigrazione Roma

 

Il Presidente del Consiglio Berlusconi, presentando il “pacchetto sicurezza” – una serie di provvedimenti “d’urgenza” per rassicurare gli italiani vittime della paura dell’immigrato, clandestino e delinquente – ha sottolineato che “il tema della sicurezza e quello del diritto degli italiani a non avere paura è un diritto primario che lo Stato deve garantire”.
Sembra tutto così naturale ed evidente. E’ utile, però, ricordare altri due aspetti vitali per una sana convivenza umana. Innanzitutto la convinzione che un’efficace tutela del diritto alla sicurezza rientra nel novero dei diritti fondamentali e inalienabili della persona umana, di ogni persona, indipendentemente dal fatto che essa sia italiana o straniera. In secondo luogo, è pericoloso considerare la “sicurezza” come il nuovo idolo cui sacrificare tutto, dimenticando le garanzie democratiche, calpestando i diritti individuali, giustificando le ingiustizie e le violenze sommarie.
Non ci si può sentire sicuri solo per il fatto che cacciamo via o eliminiamo (anche con le molotov) il nemico, chiamandolo zingaro, rom, rumeno o immigrato clandestino… Voler difendere la “sicurezza” di alcuni riducendo o negando i “diritti” i altri non solo non sconfigge la paura, ma mina alle radici la reciproca fiducia necessaria per vivere insieme tra persone di diverse origini e appartenenze culturali.
Il pacchetto sicurezza del governo Berlusconi
Il Governo, nel Consiglio dei Ministri di Napoli del 21 maggio 2008, ha approvato il seguente intervento normativo, costituito da un decreto legge e un disegno di legge sulla sicurezza, cui si aggiungono tre decreti legislativi correttivi sui ricongiungimenti familiari degli stranieri, sul riconoscimento dello status di rifugiato e in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari nonché un disegno di legge sulla banca dati nazionale del DNA.
Alcune considerazioni e preoccupazioni
Tra le norme indicate (sia nel decreto che nel disegno di legge) ve ne sono alcune condivisibili, come la confisca di beni dei mafiosi e loro destinazione a fini sociali; la stretta su omicidi colposi causati da guida in stato di ubriachezza; la lotta allo sfruttamento di minori per accattonaggio, ma queste proposte non devono servire da alibi per convincere l’opinione pubblica italiana della “bontà” di tutto il “pacchetto sicurezza”. E’ necessario, perciò, rilevare che molte delle norme contro l’immigrazione sono in contrasto con i diritti fondamentali della persona umana ed inefficaci nella loro applicazione.
Circa il reato d’immigrazione clandestina
L’introduzione del reato di immigrazione clandestina è una misura sproporzionata che finirà per ingolfare il sistema giudiziario e carcerario e spingerà gli immigrati senza permessi a delinquere. In una società civile, è normale che gli immigrati (come qualsiasi altra persona) che delinquono siano puniti in maniera proporzionale ai loro delitti, ma non si può, però, sostenere che il problema della sicurezza dipende solo dall’immigrazione. E’ soprattutto il degrado a causare l’insicurezza.
In Italia ci sono tanti immigrati irregolari che lavorano nelle famiglie come colf, badanti, baby-sitter, nell’agricoltura, nell’edilizia e nelle piccole e medie imprese che non possiamo chiamare delinquenti, ma che lo diventeranno con l’introduzione del reato di clandestinità. Considerando che sono state presentate 728.917 domande di permesso di soggiorno (411.776 di colf e badanti) e che i posti disponibili sono 170.000, rimangono fuori 558.917 persone che, con il nuovo reato, diventano “automaticamente” delinquenti.
Inoltre, se l’immigrazione clandestina diventasse reato, dovrebbero finire in carcere per favoreggiamento anche centinaia di migliaia di cittadini, italiani e non, che hanno badanti o lavoratori immigrati non regolari…
Il “generico” reato di immigrazione clandestina non è sostenibile giuridicamente. Infatti, con il reato di immigrazione clandestina si fa diventare reato la semplice condizione personale di essere straniero, in contrasto con quanto la Costituzione stabilisce in materia di eguaglianza. La Corte costituzionale ha già ribadito che solo una condotta che lede beni costituzionalmente garantiti può giustificare il ricorso alla sanzione penale. E’ reato, infatti, non la mera clandestinità dello straniero, ma una clandestinità accompagnata da elementi oggettivi, accertati dal giudice, da cui risulti una pericolosità sociale, senza dimenticare, però che la sola povertà non è sinonimo di criminalità.
Sono previste, inoltre, aggravanti per i reati commessi da stranieri, incrinando la parità di trattamento con riferimento alla responsabilità personale e in contrasto con quanto già stabilito dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 22 del 2007, che ha messo in guardia il legislatore dal prendere provvedimenti che prescindano «da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili», introducendo sanzioni penali «tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi di eguaglianza e proporzionalità».
Circa il diritto d’asilo
In Italia, nel 2007, hanno fatto richiesta d’asilo 14 mila persone, settemila delle quali arrivate via mare. Il 10% ha ottenuto lo status di rifugiato, secondo la convenzione di Ginevra, mentre oltre il 50% ha ottenuto la protezione umanitaria. Dunque, le autorità italiane hanno accertato che più del 60% di chi chiede asilo politico non mente.
Se dovesse passare la proposta di restringere i termini del ricorso e del riesame e quindi di espellere chi chiede lo status di rifugiato, dopo il primo diniego da parte della commissione che esamina, si rischia di cacciare persone che avrebbero tutto il diritto di essere considerati profughi.
L’abolizione dell’effetto sospensivo del ricorso avanzato dal richiedente asilo che, in prima istanza, abbia ricevuto una decisione negativa alla sua domanda di protezione è in contrasto con quanto stabilito dall’articolo 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ove si enuncia che “ogni persona ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale”.
Considerando che, secondo le statistiche europee, il 30 per cento delle richieste d’asilo vengono accolte solo in seconda istanza, l’eliminazione della seconda istanza di giudizio sulle richieste di protezione internazionale negherebbe al potenziale rifugiato la possibilità di fuggire le persecuzioni e le torture di cui è vittima nel paese d’origine.
Ma, i rom meritano di essere cacciati!
La rivolta di Ponticelli contro i rom è un assalto xenofobo che svela le responsabilità di molti “imprenditori della paura” che hanno individuato il nemico “interno” nell’immigrato clandestino, nell’etnia rom. E la paura dell’altro aumenta dinanzi alla notizia del tentativo di furto di una bambina da parte di una rom…
Ora, anche ammesso (e non è del tutto certo, come rivela EveryOne – il Gruppo di cooperazione internazionale per i diritti umani che in www.everyonegroup.com/it/ ricostruisce il caso di Angelica, ragazza Rom accusata del tentato rapimento di una bambina di sei mesi avvenuto a Napoli, nel quartiere Ponticelli. Infatti, oltre alla conferma che si tratta di una montatura, Angelica è risultata essere una giovane slava e non una Romnì, ma non è la prima volta che reati commessi da altre etnie vengono addossati ai Rom al fine di giustificarne la persecuzione) che la notizia corrisponda al vero, quell’episodio sarebbe l’unico caso “fondato” che si ricordi di un tentativo di rapimento da parte dei rom, e questo a fronte delle decine di migliaia di bambini che scompaiono in Italia.
E poi ci sono gli immigrati clandestini?
Ma, l’immigrato clandestino non è un criminale a-priori, come si vorrebbe far credere. Le persone che i provvedimenti previsti nel “pacchetto sicurezza” si vorrebbero tenere lontane dall’Italia fuggono, nella maggior parte dei casi, dalla povertà, quando non da guerra e persecuzioni. E non sarà certo il reato di “immigrazione clandestina” a tenerle lontane.
Migrare non è un crimine, ma è invece criminale un sistema economico-finanziario mondiale (l’11% della popolazione mondiale consuma l’88% delle risorse) che forza la gente a fuggire dalla propria terra per sopravvivere. L’ONU prevede che entro il 2050, i cambiamenti climatici produrranno un miliardo di “rifugiati climatici”. I ricchi inquinano, i poveri pagano e vengono, in più, criminalizzati.
L’Italia deve invece fare seriamente la sua parte nel combattere la povertà nel mondo, adeguando, ad esempio, le proprie quote di aiuto allo sviluppo ai livelli degli altri paesi europei. E, soprattutto, non deve cancellare dalla memoria di essere un popolo che è stato fino a ieri (e continua ad essere anche oggi) un popolo di migranti: “quando gli albanesi (rumeni o rom) eravamo noi”, eravamo poveri, siamo stati discriminati e osteggiati e abbiamo dovuto lottare per i nostri diritti…
In conclusione
La povertà non è reato. La logica del “pacchetto sicurezza” trasforma, invece, il diverso (il povero) in nemico e pone sullo stesso piano chi fugge dalla fame, dalla miseria e dalla guerra e chi, invece, viene in Italia per delinquere.
Molti che, in buona fede, invocano leggi speciali credendo che solo così avranno maggiore sicurezza, non si accorgono che il senso di insicurezza non nasce solo dal diffondersi di fenomeni criminali, ma da una richiesta di protezione contro un mondo percepito come ostile, contro presenze inattese in territori da sempre frequentati da una comunità coesa, dunque contro mutamenti culturali. Che fare, allora?
Perseguire le vere illegalità, punire chi sfrutta il lavoro nero, neutralizzare le centrali del crimine, dell’accattonaggio, della prostituzione, tutto questo va fatto, ma non basta, perché continuerebbe a legittimare la tesi che per dare sicurezza ai “poveri” italiani bisogna dar la caccia ai poveri stranieri. C’è soprattutto bisogno di capacità di mediazione e di educazione alla convivenza da parte di sindaci, istituzioni, organizzazioni sociali, chiese. Infatti, quando si limitano i diritti e le garanzie di alcuni, minore è la libertà e la sicurezza per tutti.
L’Italia si dichiara paese cristiano ed i cristiani sono i seguaci di Gesù di Nazareth che si è identificato con gli affamati, i carcerati, gli stranieri. Non è possibile che le comunità cristiane tacciano (cedendo, a volte, alla tentazione di giustificarle) dinanzi a queste tendenze razziste e xenofobe. Rimanere in silenzio vuol dire essere corresponsabili della situazione attuale e futura. Martin Luther King lo aveva già affermato: “Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti”.
Roma, 24 maggio 2008
Lorenzo Prencipe
Presidente del CSER – Centro Studi Emigrazione Roma
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