Sono 35 gli indagati dell’inchiesta «Neve di marzo» sfociata 48 ore fa a Vieste nell’arresto di 13 persone (altre 2 sono da rintracciare) da parte dei carabinieri del nucleo investigativo di Foggia e del comando provinciale, in esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare (12 in carcere, 3 ai domiciliari) firmate dal gip di Bari Giuseppe De Benedictis su richiesta della Dda che chiedeva una ventina di arresti. Sono 240 i capi d’imputazione contestati a vario titolo ai 35 indagati per fatti del 2017 e 2018: traffico di droga aggravato dalla mafiosità, centinaia di singoli episodi di spaccio di cocaina, hashish e marijuana; alcune imputazioni di porto e detenzione illegale di armi.
«L’inchiesta “Neve di marzo” ha smantellato il clan Raduano», come sostenuto dai pm nella conferenza stampa svoltasi mercoledì mattina a Bari. È infatti la prosecuzione dell’indagine che il 7 agosto 2018 portò al fermo del presunto capo clan Marco Raduano, del nipote Liberantonio Azzarone e di Luigi e Gianluigi Troiano dei quali la Dda chiede la condanna nel processo abbreviato in corso davanti al gup di Bari.
Ecco chi sono i 13 garganici arrestati nel blitz di 48 ore fa. Carcere per i viestani Danilo Pietro Della Malva, 33 anni, detto «meticcio»; Michele Notarangelo, 23 anni, alias «Cristofaro» (l’ordinanza gli è stata notificata in cella, essendo stato fermato il 18 ottobre scorso sempre dai carabinieri su decreto della Dda per il tentato omicidio di Giovanni Cristalli avvenuto il 14 ottobre scorso); Orazio Lucio Coda, 30 anni: Nicola Monacis, 30 anni, detto «lampadina»; Davide Carpano, 28 anni, detto «Daviduccio»; Giuseppe Lo Russo, 21 anni alias «Il nero»; Francesco Paolo De Vita, 25 anni; Carlo Sicignano, 23 anni; Bruno Rinaldi, 20 anni; Gianmichele Ciuffreda, 32 anni, alias «Paparedd»; Paolo Casamassima di 33 anni. Disposti i domiciliari per Giovanna Grilli, 23 anni di Monte Sant’Angelo; e Luca Pio De Vita, 20 anni di Vieste, detto «Lucapone». Altri due giovani viestani – per uno disposto il carcere per l’altro i domiciliari – non sono stati ancora rintracciati.
Il più grave reato di traffico di droga viene contestato a una quindicina di viestani (compresi Raduano, Azzarone e Gianluigi Troiano già a processo ed un minorenne) con le aggravanti di aver fatto parte di un’associazione composta da più di dieci persone; dell’ingente quantitativo di sostanze stupefacenti; e della mafiosità in quanto «l’associazione si avvaleva del cosiddetto “metodo mafioso”» recita il capo d’imputazione della Dda «con minacce e violenze consumate nei confronti dei soggetti che, senza rivolgersi al loro gruppo capeggiato da Raduano, intendevano spacciare a Vieste; e si approvvigionavano di droga da altri soggetti e gruppi criminali». Le indagini poggiano essenzialmente su intercettazioni telefoniche e soprattutto ambientali, con l’utilizzo anche di riprese video, sistema gps per localizzare i veicoli. Un riscontro a quanto emergeva dalle intercettazioni va cercato – dicono carabinieri, Dda e gip – in una serie di arresti in flagranza e sequestri di droga. Nelle 285 pagine dell’ordinanza cautelare del gip c’è spazio anche per una ricostruzione della guerra di mafia viestana, «una vera e propria faida per il conseguimento della leadership nell’esecuzione delle attività illecite sul territorio, in primis per assicurarsi i lauti profitti derivanti dal narcotraffico. L’inizio della faida» annota il giudice De Benedictis «si può fissare con l’omicidio di Angelo Notarangelo, alias “cintaridd” avvenuto il 25 gennaio del 2015: era il capo indiscusso della malavita viestana. Alla sua morte la gestione degli affari illeciti passò nelle mani del nipote Pasquale Notarangelo, che mantenne bene o male unita la consorteria malavitosa, fin quando scomparve a maggio 2017 vittima della lupara bianca. A quel punto il gruppo si spezzò in due fazioni, una capeggiata da Raduano che era stato uno dei fidati luogotenenti di Angelo Notarangelo; e l’altra da Girolamo Perna, parigrado di Raduano», ucciso il 26 aprile scorso. «I rapporti tra le due fazioni» prosegue l’analisi del gip «divennero subito conflittuali, come dimostra il sanguinoso botta e risposta a suon di omicidi che ha visto cadere, come in un gioco di scacchi, pedine ora dell’uno ora dell’altro schieramento, nato dalla compagine una volta unita».
gazzettacapitanata